Dopo più di due mesi di proteste, in Francia il movimento contro la riforma delle pensioni rimane forte e rumoroso. Il 28 marzo, la decima giornata di mobilitazione, non sono stati registrati i numeri record del 31 gennaio o del 7 marzo, e si è visto un calo rispetto al 23 marzo, la precedente giornata di proteste. Secondo il ministero dell’interno alle manifestazioni hanno partecipato 740mila persone, contro gli 1,08 milioni del 23 marzo. Tuttavia, il livello di coinvolgimento resta alto. Secondo la prefettura, a Parigi hanno sfilato in 93mila, in 450mila secondo la confederazione generale del lavoro (Cgt).
Gli studenti delle università e delle scuole superiori hanno partecipato in massa ai cortei, anche se il loro numero è difficile da stimare. A Parigi abbiamo incontrato ragazzi e ragazze che non avevano mai partecipato a una manifestazione. Tra loro c’era Julie (nome di fantasia), studente dell’Istituto nazionale di lingue e civiltà orientali (Inalco): “Per me è la prima volta. Sono potuta venire perché le mie lezioni sono state cancellate. Prima era difficile partecipare, perché la scuola ce lo impediva”, ha raccontato la ragazza di vent’anni. Raramente l’Inalco si mobilita, ma le cose stanno cambiando. “La settimana scorsa abbiamo organizzato un’assemblea generale. Se le manifestazioni continueranno ci sarò anch’io, di sicuro”, ha promesso Julie, anche se ha ammesso di avere “paura delle violenze della polizia”.
Anche tra le militanti più impegnate come Laura (nome di fantasia), “la paura dell’uso della forza” è grande. “La situazione è molto tesa. C’è il rischio di farsi picchiare ogni volta che manifestiamo”, sottolinea la studente di scienze politiche all’università di Parigi. “Ma non abbiamo intenzione di mollare. E siamo sempre di più”.
Maeva, che studia all’Université Paris-Panthéon-Assas, ha partecipato per la prima volta a una protesta. A convincerla a scendere in piazza non è stata tanto la necessità di schierarsi contro la riforma delle pensioni, ma il fatto che il governo abbia usato l’articolo 49.3 della costituzione (che permette al primo ministro di far passare una legge senza il voto dell’assemblea nazionale) e la violenza delle forze dell’ordine. “Queste pratiche antidemocratiche vanno contro le nostre libertà individuali”, sottolinea la studente di diritto internazionale.
Anche per Laetitia e Léo, studenti di quindici e sedici anni che frequentano l’istituto Henri-Wallon di Aubervilliers, il ricorso al 49.3 è stato “la goccia che ha fatto traboccare il vaso”. Hanno deciso di agire e creare un comitato di mobilitazione liceale ad Aubervilliers. Per il momento il comitato è composto solo da sei persone, ma il 30 marzo è in programma un’assemblea per coinvolgere altri studenti. “I ragazzi non hanno abbastanza informazioni su quello che sta succedendo”, sottolinea Laetitia.
I più giovani si sono mobilitati contro la riforma delle pensioni, ma la loro protesta si allarga ad altri ambiti. Come, per esempio, il servizio nazionale universale (un mese di volontariato da svolgere in strutture civili e militari che nel dicembre 2022 il presidente Emmanuel Macron ha detto di voler rendere obbligatorio per via della guerra in Ucraina e della crisi climatica) o la piattaforma di orientamento alla scelta dell’università Parcoursup.
“Abbiamo l’impressione di non essere più in una democrazia e che nessuno ci ascolti”, spiega Arnaud. Lui è figlio di ambientalisti, Laetitia viene dalla “classe operaia”. Il movimento sociale li ha avvicinati. Entrambi sono convinti che il governo abbia “paura dei giovani. Per questo non bisogna mollare”.
A Strasburgo gli studenti erano in testa a un corteo meno numeroso rispetto ai precedenti. “Macron, fai come me, tassa gli amici tuoi”, si legge sul cartello mostrato da Jules, studente di storia. Poco lontano, Manon, Élise e la madre mostrano altri cartelli, come quello con la scritta: “È arrivato il momento delle pulizie di primavera!”. “Per noi è la terza o quarta manifestazione”, spiega Manon, operaia nel settore agricolo. “All’inizio venivamo per la riforma delle pensioni, ma ora siamo arrabbiate per tutto. Alle ultime elezioni abbiamo votato per Macron contro il Rassemblement national, ma ora lui se ne sta approfittando. La Francia è in crisi come mai prima d’ora. L’ambiente è in crisi. Ma Macron non fa nulla”.
A Bordeaux, Lyla Chancelier e Charles Ferré, entrambi di diciannove anni, hanno partecipato “a tutte le manifestazioni”. Studenti di fisica e biologia all’università di Bordeaux, sentono il dovere di partecipare anche se la loro facoltà non è stata occupata e devono saltare le lezioni per unirsi alle proteste. “Denunciamo l’uso dell’articolo 49.3 e la decisione di approvare una legge con la forza”, ha spiegato Chancelier con tono sdegnato. Il 23 marzo i due ragazzi erano presenti quando è stato dato alle fiamme il portone del municipio. Hanno detto di temere che la situazione diventi “più violenta”. “Non è necessariamente quello che vogliamo”, hanno spiegato. “Hanno rafforzato la presenza della polizia, e la violenza è aumentata”.
◆ Il punto principale della riforma delle pensioni, voluta dal presidente francese Emmanuel Macron, è l’innalzamento dell’età pensionabile da 62 a 64 anni entro il 2030. Prevede inoltre che dal 2027 salgano a 43 gli anni di contributi necessari. Il progetto è universale, cioè riguarda tutti i lavoratori, ed è considerato dal governo preferibile a un aumento delle somme da versare per i contributi previdenziali. La riforma è stata presentata al consiglio dei ministri il 23 gennaio. Il 19 gennaio erano cominciate le prime manifestazioni di protesta.Il 16 marzo la riforma è stata votata dal senato e poi approvata ma facendo ricorso all’articolo 49.3 della costituzione, che permette di evitare il voto dell’assemblea nazionale. Les Échos
Tenendo conto degli scontri avvenuti nella settimana del 20 marzo, compresi quelli al bacino idrico di Sainte-Soline nel fine settimana del 25 e 26 marzo, le autorità consideravano ad alto rischio la decima giornata di mobilitazioni. Il corteo parigino, partito da place de la République alle due del pomeriggio, ha sfilato senza incidenti fino a place de la Nation. Alcuni scontri si sono verificati alla fine del pomeriggio, quando sono stati saccheggiati dei negozi. Ma niente di paragonabile alle violenze di giovedì 23 marzo, prima e dopo la mobilitazione.
Alla fine della giornata del 28 marzo la prefettura ha comunicato che le forze dell’ordine avevano arrestato cinquantacinque persone. Scontri tra polizia e manifestanti si sono verificati anche a Strasburgo, Rennes, Nantes, Tolosa e Lione.
La maggioranza di chi scende in piazza non approva il ricorso alla violenza, ma molti si rifiutano di condannarla e puntano il dito contro Emmanuel Macron. A Strasburgo il corteo, del tutto tranquillo, si è diviso nei pressi dell’università mentre gli studenti cantavano “la strada è nostra”. Poco dopo si sono sentite le prime esplosioni. “Questa violenza non mi sorprende”, ha sottolineato Bernard Klautz, pensionato che sfilava nel corteo autorizzato. Secondo lui “è il governo ad aver usato la violenza” fin dall’inizio. “Si raccoglie quello che si semina”, aggiunge Klautz.
Diverse cause si uniscono
Incidenti gravi si sono verificati anche a Lione. Dopo il danneggiamento di alcuni negozi e un fitto lancio di oggetti, la polizia ha risposto con i gas lacrimogeni e gli idranti. Un gruppo che secondo la prefettura era composto da un migliaio di persone in testa al corteo ha impedito più volte il passaggio dei rappresentanti sindacali.
A Tolosa le forze dell’ordine sono intervenute per dividere in due il corteo. Secondo gli osservatori della Ligue des droits de l’homme, le forze dell’ordine “non fermano i manifestanti, ma seguono una nuova tattica: separano i cortei in diversi blocchi”.
A Bordeaux, dove ci sono stati scontri in varie zone, Carine Desbrousses festeggiava i suoi 51 anni. Per lei la battaglia non è più soltanto contro la riforma delle pensioni. Come all’epoca dei gilet gialli, anche in questo caso le questioni sociali hanno preso il sopravvento sulla rivendicazione iniziale (all’epoca era l’aumento del prezzo del carburante).
“Lo abbiamo visto sabato a Sainte-Soline. Le persone cominciano a perdere la pazienza. Diverse cause si uniscono tra loro, com’è successo al tempo dei gilet gialli. C’è anche il tema dei salari e quello della gestione delle risorse idriche. Perché favorire un gruppo ristretto di persone, a scapito dell’interesse generale? I giornali europei stanno parlando di noi, la protesta sta crescendo. Bisogna andare avanti”, sottolinea Desbrousses.
La confederazione dei sindacati intende proseguire la mobilitazione almeno fino alla decisione del consiglio costituzionale, che dovrà pronunciarsi entro il 14 aprile sul testo della riforma per decidere se il suo contenuto e il modo in cui è stato approvato rispettano la costituzione. ◆ as
◆ Oltre agli scontri durante le manifestazioni contro la riforma delle pensioni, il 25 e il 26 marzo ci sono stati degli incidenti anche a Sainte-Soline, nella Francia centroccidentale, tra la polizia e migliaia di persone che protestavano contro un grande bacino idrico, destinato all’irrigazione dei campi agricoli. L’obiettivo della contestazione era la gestione delle risorse idriche, che favorisce il settore agricolo invece dell’intera comunità. Alcune testimonianze raccolte dalla stampa francese denunciano che a Sainte-Soline gli agenti di polizia hanno usato la forza in modo sproporzionato. Sono stati inoltre ostacolati i soccorsi ad alcuni manifestanti feriti in modo grave, due dei quali sono in coma. Il 28 marzo a Rennes sono state aperte due inchieste separate sulla vicenda. Il 29 marzo il ministro dell’interno Gérald Darmanin ha dichiarato che la polizia non ha commesso violenze né ha fatto un uso sproporzionato della forza. Sul sito Mediapart il direttore Edwy Plenel mette in relazione gli incidenti dello scorso fine settimana con i metodi adottati dalle forze dell’ordine contro il movimento che protesta per la riforma delle pensioni: “La repressione senza precedenti del 25 marzo a Sainte-Soline svela non solo l’accelerazione autoritaria di una presidenza pronta a brutalizzare la democrazia per imporre la sua volontà, dimostra anche la cecità dei leader francesi di fronte all’emergenza ambientale. Il governo ha sempre demonizzato e criminalizzato l’impegno e la mobilitazione di chi affronta queste sfide vitali per il pianeta”.
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Questo articolo è uscito sul numero 1505 di Internazionale, a pagina 18. Compra questo numero | Abbonati