Emmanuel Macron ha sbagliato epoca e fa perdere tempo al suo paese. Il presidente francese sta applicando ricette inadatte, come se fosse rimasto intellettualmente fermo all’euforia liberista degli anni novanta e dei primi anni duemila, al mondo prima della crisi economica del 2008, della pandemia e della guerra in Ucraina. Ma oggi dobbiamo affrontare l’aumento delle disuguaglianze, l’eccessiva concentrazione dei patrimoni, la crisi climatica ed energetica. È urgente investire nella formazione e nella salute e creare un sistema economico più equo in Francia, in Europa e nel resto del mondo. Il governo di Parigi, invece, continua a condurre una politica antisociale d’altri tempi.
Nel 2019 Macron aveva provato a sviluppare l’idea di una pensione universale, uniformando le regole tra i diversi regimi fiscali, effettivamente troppo complesse. Ma proponeva una pensione universale ingiusta, che avrebbe mantenuto le disuguaglianze della vita lavorativa fino alla morte. Sono possibili altri tipi di pensioni universali, privilegiando quelle piccole e medie, con un tasso di sostituzione che varia in base al livello del salario, il tutto finanziato da un’imposta progressiva sul reddito e sulla ricchezza. Come, per esempio, il contributo sociale generale (csg), una tassa del 2 per cento sulle cinquecento maggiori fortune. Una misura del genere, da sola, varrebbe venti miliardi di euro.
Togliendo risorse allo stato sociale invece di rafforzarlo, il governo indebolisce la Francia e la sua posizione nel mondo. E manca un appuntamento con la storia
Oggi Macron non fa nemmeno più finta di giocare al modernizzatore dello stato sociale: la riforma delle pensioni del 2023 mira solo a raccogliere soldi. Le sbandierate misure sulle pensioni minime a 1.200 euro, alla fine, riguarderanno meno del 3 per cento dei pensionati, e al governo è servito un anno per arrivare a questa cifra, pur avendo a disposizione l’apparato statale e spendendo miliardi per le società di consulenza. La realtà è che gli sforzi ricadranno soprattutto sulle donne con stipendi bassi e medi, che dovranno lavorare due anni in più sottopagate e in condizioni difficili, ammesso che mantengano il posto.
Al di là di queste ingiustizie e del tempo perso sulle pensioni, il pasticcio sociale della presidenza Macron è evidente anche in altri settori. Se consideriamo le risorse per l’istruzione universitaria, notiamo che negli ultimi dieci anni in Francia il bilancio per ogni studente è diminuito del 15 per cento. Il governo farebbe bene a riflettere sulla lezione fondamentale di tutta la storia economica, cioè che l’investimento nella formazione è la vera fonte di crescita. La costruzione di uno stato sociale è stata un immenso successo nel novecento, e su questo bisogna fare leva per spingersi più avanti. È grazie a investimenti nell’istruzione, nella sanità e nelle infrastrutture che abbiamo raggiunto una maggiore uguaglianza e una prosperità senza precedenti. Le risorse pubbliche mobilitate per l’istruzione sono decuplicate nel secolo scorso, passando dallo 0,5 per cento del reddito nazionale nei paesi occidentali prima del 1914 a circa il 5-6 per cento dagli anni ottanta e novanta.
A metà del novecento gli Stati Uniti erano i leader mondiali nell’istruzione (negli anni cinquanta l’80 per cento dei ragazzi e delle ragazze che avevano l’età per andare alle scuole secondarie prendeva un diploma, rispetto al 20- 30 per cento della Francia o del Regno Unito), e per questo lo erano anche in campo economico. E ci riuscirono riducendo le disuguaglianze grazie alla progressività fiscale. Un sistema che non danneggiava la produttività della più grande economia mondiale, anzi.
La lezione della storia è che la prosperità deriva dall’uguaglianza e dall’istruzione, non dalla ricerca della disuguaglianza. Questo concetto è stato dimenticato e gli investimenti sociali sono rimasti fermi per trent’anni, mentre il numero degli studenti è aumentato. Non bisogna cercare oltre per trovare le ragioni della stagnazione della produttività.
Togliendo risorse allo stato sociale invece di rafforzarlo, il governo indebolisce la Francia e la sua posizione nel mondo. Sta inoltre perdendo un appuntamento con la storia, cioè il passaggio dallo stato social-nazionale allo stato social-globale. Nel novecento lo stato sociale si è sviluppato principalmente all’interno di un contesto di stati nazione, a volte dimenticando le disuguaglianze tra nord e sud del mondo. Inoltre l’occidente non si sarebbe mai arricchito senza una forte integrazione con gli altri paesi del mondo e senza lo sfruttamento spesso brutale delle risorse su scala globale.
Non si possono più ignorare le conseguenze dei danni ambientali causati dall’arricchimento del nord, e ovviamente da Russia e Cina. Lo stato social-globale deve basarsi su un ripensamento del sistema economico mondiale, in cui multinazionali e miliardari siano chiamati a contribuire attraverso il fisco. È questo il modo per rilanciare lo stato sociale e per uscire dalle contraddizioni attuali. ◆ ff
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Questo articolo è uscito sul numero 1503 di Internazionale, a pagina 44. Compra questo numero | Abbonati