La guerra a Gaza rischia di rendere ancora più profonda la distanza tra nord e sud del mondo. Le migliaia di civili morti a causa dei bombardamenti israeliani in Palestina, vent’anni dopo le decine di migliaia di vittime dell’invasione statunitense in Iraq, per molti paesi del sud, e non solo nel mondo musulmano, sono la dimostrazione che l’occidente ha due pesi e due misure.
Tutto questo mentre la principale alleanza dei paesi emergenti, i Brics, si rafforza, come si è visto al vertice di Johannesburg che si è tenuto ad agosto del 2023. Creati nel 2009, dal 2011 i Brics comprendono Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica. A parità di potere d’acquisto, il pil combinato di questi cinque paesi nel 2022 ha superato i 40mila miliardi di euro, contro gli appena 30mila miliardi dei paesi del G7 (Stati Uniti, Canada, Giappone, Germania, Francia, Regno Unito, Italia). Le differenze di reddito nazionale medio per abitante restano ovviamente molto alte: quasi tremila euro al mese nel G7, meno di mille euro al mese all’interno dei Brics. In sostanza, i Brics si presentano come la classe media del mondo: quelli che hanno lavorato sodo e sono riusciti a migliorare la propria condizione. E non hanno intenzione di fermarsi. Nel 2014 hanno creato la loro banca di sviluppo. Con sede a Shanghai, in Cina, l’istituto è di dimensioni modeste, ma in futuro potrebbe competere con le istituzioni nate dagli accordi di Bretton Woods (il Fondo monetario internazionale e la Banca mondiale) se quelle non riformeranno i loro sistemi di voto per dare più spazio ai paesi del sud.
Cosa possono fare i paesi occidentali per ristabilire la loro credibilità nel sud del mondo? Innanzitutto smettere di dare a tutti lezioni di giustizia e democrazia
Nel vertice di Johannesburg i Brics hanno deciso di accogliere sei nuovi paesi a partire dal 1 gennaio 2024 (Arabia Saudita, Argentina, Egitto, Emirati Arabi Uniti, Etiopia, Iran), a quanto pare scelti tra una quarantina di candidati.
Diciamolo chiaramente: è tempo che l’occidente abbandoni la sua arroganza e prenda sul serio i Brics. Certo, è facile puntare il dito contro le incoerenze di un gruppo poco strutturato e per lo più informale. Il modello politico cinese somiglia sempre di più a una dittatura digitale e non fa sognare nessuno, così come la cleptocrazia militare russa. Almeno questo garantisce agli altri leader che l’alleanza non metterà il naso nei loro affari.
Dei Brics fanno parte anche delle democrazie consolidate che attraversano alcune difficoltà, non necessariamente più gravi di quelle che si vedono in occidente. L’India conta più elettori di tutti i paesi occidentali messi insieme. Alle elezioni del 2019 il tasso di partecipazione è stato del 67 per cento, contro appena il 48 per cento delle legislative del 2022 in Francia, dove inoltre c’è stato un brusco crollo della partecipazione nei comuni più poveri. Anche la democrazia statunitense ha mostrato le sue fragilità negli ultimi vent’anni, da Guantanamo all’assalto al Campidoglio, e ha dato il cattivo esempio ai trumpisti brasiliani.
Cosa possono fare i paesi occidentali per ristabilire la loro credibilità nel sud del mondo? Innanzitutto smettere di dare a tutti lezioni di giustizia e democrazia, visto che, quando gli conviene, vengono a patti con i peggiori regimi. Più in generale, devono formulare proposte concrete per dimostrare che vogliono davvero condividere il loro potere e le loro ricchezze. Questo richiederà profonde trasformazioni del sistema politico ed economico mondiale, che si tratti della gestione delle organizzazioni internazionali, del sistema finanziario o di quello fiscale.
In concreto bisogna dichiarare che l’obiettivo è una tassazione minima su multinazionali e multimiliardari, con una ridistribuzione del gettito tra tutti i paesi in base alla popolazione e all’esposizione ai cambiamenti climatici. Niente di tutto questo è stato fatto finora: la tassazione minima riguarda solo poche multinazionali, la sua aliquota è troppo bassa e facilmente aggirabile, e soprattutto le entrate che produce vanno quasi esclusivamente a beneficio dei grandi paesi del nord del mondo. Il punto centrale dev’essere la ridistribuzione delle entrate in funzione dei bisogni di ciascun paese, e non in funzione della base imponibile. Molti stati del sud, soprattutto in Africa, sono così poveri che questo sistema farebbe una differenza enorme, anche se si applicasse solo a una piccola frazione del gettito prelevato dalle multinazionali e dai multimiliardari.
Nel suo romanzo Il ministero per il futuro (Fanucci 2023), Kim Stanley Robinson immagina un mondo in cui la trasformazione del sistema economico cambierà solo dopo catastrofi climatiche: milioni di morti in India per il caldo, jet privati abbattuti e navi portacontainer affondate da un ecoterrorismo venuto dal sud, con l’appoggio di un’agenzia dell’Onu disperata per l’immobilismo del nord. Speriamo che la concorrenza dei Brics incoraggi i paesi ricchi a condividere le loro ricchezze prima che si arrivi a tanto. ◆ fdl
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Questo articolo è uscito sul numero 1540 di Internazionale, a pagina 44. Compra questo numero | Abbonati