Il 24 gennaio Sara Piffer, 19 anni, promessa del ciclismo italiano, è stata investita e uccisa da un’auto in Trentino mentre si allenava con il fratello. A maggio 2024 aveva dedicato la vittoria nella Giornata nazionale rosa – Gran premio città di Corridonia a Matteo Lorenzi, 17 anni, ciclista, ucciso da un furgone mentre era in bici. Tragedie ricorrenti. Nel 2022 Davide Rebellin, ciclista professionista da poco ritirato dalle corse, è stato ucciso da un camion. Nel 2017 la stessa sorte era toccata a Michele Scarponi, vincitore di un Giro d’Italia. La morte dei ciclisti famosi conquista le prime pagine dei giornali, ma ci sono molte altre vittime che restano nell’anonimato.
L’Italia ha il più alto tasso di incidenti mortali in Europa che coinvolgono dei ciclisti: 204 nel 2024 e 197 nel 2023. Il padre di Piffer ha dichiarato che le strade italiane sono un “far west”. Francesco Moser, vincitore di un Giro d’Italia e residente nello stesso paese della famiglia Piffer, ha chiesto alle autorità di “fermare questa mattanza”.
Qualche anno fa, quando sono tornato a vivere in Italia, mi sono ripromesso di mantenere un atteggiamento positivo nei confronti del paese. Non c’è niente di più odioso di un espatriato che si lamenta del paese adottivo. Ma quando si tratta degli automobilisti italiani non riesco a mantenere la promessa. Nel 2023 sulle strade italiane sono morte 3.094 persone, il 15 per cento in più della media europea. Secondo le statistiche Aci-Istat, nel 2023 in Italia ci sono stati in media 456 incidenti stradali al giorno. Nello stesso anno l’Italia ha registrato 52,4 decessi stradali per milione di abitanti. Nel Regno Unito sono 25,1, in Spagna 37. A provare risentimento nei confronti degli automobilisti italiani non sono solo gli stranieri come me. In uno studio pubblicato nel 2022 dall’azienda francese Vinci autoroutes, solo il 16 per cento degli italiani ha dichiarato che i propri compatrioti sono automobilisti civili. Un sondaggio condotto in precedenza dalla stessa Vinci aveva indicato che, secondo gli italiani, il 45 per cento dei compatrioti si comporta in modo irresponsabile, il 35 per cento agisce in preda allo stress, il 26 per cento ha un atteggiamento aggressivo e il 34 per cento guida in modo pericoloso. In un sondaggio del 2023 condotto per conto di alcuni siti di assicurazioni, il 35 per cento degli uomini ha ammesso di aver superato i limiti di velocità, mentre il 34 per cento degli intervistati tra i 35 e i 44 anni ha detto di aver usato il telefono mentre guidava. L’autista del camion che ha ucciso Scarponi ha confessato che nel momento dell’incidente stava guardando un video sullo smartphone.
Non ti ho visto
L’esperienza personale conferma la validità di queste statistiche. Qualche anno fa mio figlio di nove anni è stato investito da un’auto mentre andava a scuola in bici. Il guidatore ha abbassato il finestrino e gli ha gridato: “Tutto bene?”, poi è andato via. Alcuni mesi dopo sono stato urtato da un’auto che in una rotonda non mi ha dato la precedenza. Avevo un giubbotto catarifrangente, le luci anteriori e posteriori accese e il guidatore mi ha detto: “Non ti ho visto”, mentre raccoglievo gli occhiali in frantumi. Quando prendo l’autobus mi capita spesso di vedere l’autista che guida e intanto invia messaggi o guarda gli highlight delle partite di calcio. In autostrada e in superstrada l’abitudine degli italiani di stare attaccati all’auto che precede sfiora il patologico, in alcuni casi lampeggiando furiosamente. Per non parlare dell’uso rarissimo delle frecce, mi dispiace dirlo ma è un segno di straordinaria inciviltà. In un certo senso lo capisco. In Italia l’auto è sempre stata un simbolo di libertà e benessere. L’industria automobilistica rappresenta una buona parte del pil italiano (intorno al 5,2 per cento), con un giro d’affari di 93 miliardi di euro e quasi 250mila dipendenti. Per molto tempo in Italia la famiglia Agnelli è stata la cosa più vicina alla monarchia. Hanno fondato la Fiat e attualmente hanno il 14 per cento della Stellantis, quarta casa automobilistica al livello mondiale. L’abilità italiana nella progettazione e nel design ha fatto nascere una lunga lista di aziende famose di auto o moto: Lamborghini, Ferrari, Maserati, Alfa Romeo, Lancia, Piaggio, Vespa, Aprilia, Ducati.
Il risultato è che in Italia le auto sono diventate un feticcio, qualcosa di antropomorfizzato dietro cui si spasima. “I motori sono come le donne, bisogna saperli toccare nelle parti più sensibili”, diceva Enzo Ferrari, idolatrato fondatore del grande marchio di auto da corsa. È vero, i motori sono sensibili: un centimetro in più sull’acceleratore o un paio di gradi in più sullo sterzo possono fare la differenza tra la vita e la morte, soprattutto per chi non è protetto dalla carrozzeria e da un’infinità di airbag. A farne le spese non sono solo i ciclisti. Nel 2024 gli automobilisti italiani hanno causato la morte di 475 pedoni. Nonostante questa carneficina, molti politici hanno l’abitudine di demonizzare chiunque usi le strade senza guidare un’automobile. Vittorio Feltri, geriatrico frequentatore dei salotti televisivi e oggi consigliere regionale della Lombardia con Fratelli d’Italia, ha dichiarato: “I ciclisti mi piacciono solo se investiti”.
Purtroppo capita spesso che il suo desiderio sia esaudito. Le Bici fantasma (installazioni a carattere commemorativo) sono un ricorrente scorcio malinconico sulle strade italiane. Ogni anno a Milano viene organizzata la pedalata del silenzio, per ricordare i ciclisti morti sulla strada. Ma purtroppo non cambia nulla. In Italia il meglio a cui i ciclisti possono aspirare è di essere bersagliati dai clacson. Il peggio è di dover affidare la vita a un gruppo di prepotenti volutamente distratti. “Non ti ho visto”, ripetono ogni volta. ◆ as
Tobias Jones è un giornalista e scrittore britannico. Vive a Parma. Il suo ultimo libro è Il Po. Viaggio lungo il grande fiume (Mondadori 2024).
Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it
Questo articolo è uscito sul numero 1602 di Internazionale, a pagina 32. Compra questo numero | Abbonati