Quando a novembre il presidente ugandese Yoweri Museveni ha annunciato che le scuole avrebbero riaperto nel gennaio 2022, Florence Nagawa, 15 anni, aveva deciso di non tornare a scuola già da un pezzo. Nel marzo 2020 tutti gli istituti scolastici del paese hanno chiuso per la pandemia. Da allora Nagawa è rimasta incinta due volte, ed è stata allontanata da casa. Oggi abita con i due figli in una casetta a Kamwokya, un insediamento informale nel cuore di Kampala.
“Dove metto i bambini?”, chiede Nagawa mentre pulisce verdure per la vicina, che la paga meno di un dollaro. “Chi baderà a loro quando non ci sono? Se torno a scuola, come farò a dargli da mangiare?”. Quello di Nagawa non è un caso isolato. La chiusura delle scuole ha superato le 85 settimane, il periodo più lungo del mondo, facendo “più male che bene”, dichiara Filbert Baguma, il segretario generale del sindacato degli insegnanti Unatu.
L’Autorità di pianificazione nazionale (Npa) prevede che fino al 30 per cento degli studenti potrebbe non tornare in classe a gennaio a causa delle gravidanze e dei matrimoni precoci, o del lavoro minorile. Secondo l’Unicef, tra il marzo 2020 e il giugno 2021 l’Uganda ha registrato un aumento del 22,5 per cento delle gravidanze nella fascia di età compresa tra i 10 e i 24 anni. A settembre la ministra dell’istruzione Janet Museveni – che è anche la moglie del presidente – ha giustificato la scelta di tenere le scuole chiuse con la necessità di proteggere quindici milioni di studenti dal covid-19, che in Uganda ha causato più di 3.250 morti. Altri, però, ribattono che il numero dei contagi non giustificava la decisione.
Altri modi di guadagnare
A causa delle norme culturali e dello stigma sociale, le giovani incinte si vergognano a tornare a scuola, osserva Salima Namusobya, direttrice di Niser, un’organizzazione che si occupa d’istruzione. Molti genitori in difficoltà economiche potrebbero dover scegliere di investire nell’istruzione dei figli maschi, mentre le femmine sono date in moglie. Altri bambini ingrossano le file della manodopera nelle miniere, nel commercio o nelle piantagioni. Alcuni vorrebbero tornare a scuola, ma altri si stanno abituando all’idea di guadagnare. “Quando cominciano a ‘toccare’ i soldi, non sentono più il bisogno di tornare a scuola”, spiega Namusobya.
Lo stesso vale per gli insegnanti. Nakityo Teopister, che insegnava alla scuola primaria, oggi frigge manioca e frittelle a Mulago, alla periferia di Kampala. Abbandonata dal marito, con quattro figli da accudire, a trent’anni ha deciso di affittare uno spazio in un negozio per avviare un’attività in proprio. Così Nakityo guadagna più di quanto facesse con l’insegnamento. Il ministero dell’istruzione paga gli insegnanti delle scuole pubbliche, ma chi lavora nelle scuole private non riceve nessun supporto e, di conseguenza, abbandona la professione. Alcune scuole private hanno dovuto restare chiuse o affittare le loro strutture. Ad agosto l’Npa stimava che nel privato circa 3.507 primarie e 832 secondarie rischiavano di non riaprire per difficoltà finanziarie.
Per più di un anno il governo ha cercato di aiutare gli studenti rimasti a casa organizzando lezioni alla tv e alla radio. Ma bambini e ragazzi delle aree rurali non hanno potuto partecipare, e i loro genitori non erano in grado di aiutarli con i compiti. Secondo i dati dell’Npa, più della metà degli studenti ha interrotto il percorso scolastico. Questo potrebbe aumentare il divario tra ricchi e poveri. E gli studenti svantaggiati resteranno indietro, osserva Namusobya: “L’istruzione in teoria dovrebbe ridurre quel divario, ma la situazione sta peggiorando”. ◆ gim
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Questo articolo è uscito sul numero 1440 di Internazionale, a pagina 27. Compra questo numero | Abbonati