Alla conferenza ordinaria di Vienna gli stati dell’Opec hanno deciso di non tagliare la produzione di petrolio, e mantenerla dunque stabile a 30 milioni di barili al giorno. La decisione ha fatto istantaneamente scendere la quotazione del Brent sotto i 74 dollari al barile, con un calo di quasi quattro dollari rispetto a ieri.
Le quotazioni del barile di petrolio sono in calo da metà giugno. Rispetto agli oltre 100 dollari al barile degli ultimi tre anni circa, il Brent è calato fino a quota 74 dollari al barile e la situazione per i paesi produttori, in particolare per Venezuela, Iran, Russia e Messico, si è fatta delicata.
Con la decisione di non tagliare la produzione, ha vinto la linea saudita. Lasciando che i prezzi del petrolio scendano, i sauditi sperano di mettere fuori mercato la produzione degli Stati Uniti: l’estrazione del petrolio non convenzionale è molto costosa e, al momento, ha bisogno di prezzi alti per rientrare delle spese.
D’altronde, è stata proprio la grande crescita della produzione negli Stati Uniti, con il conseguente calo delle importazioni, a determinare un aumento della quantità di greggio disponibile sui mercati globali. Grazie all’aumento della produzione interna infatti le importazioni Usa sono scese notevolmente da 8-9 milioni di barili di greggio al giorno agli attuali 7.
Il calo dei prezzi è dovuto anche all’eccesso di offerta. Negli ultimi 10 anni l’aumento degli investimenti per le estrazioni ha portato a un aumento della produzione globale e della capacità produttiva al quale però si è affiancato il calo della domanda nei paesi industrializzati (anche a causa della crisi economica) e un aumento meno forte del previsto della domanda dei paesi emergenti.
Con la decisione dell’Opec di non tagliare la produzione è probabile che i prezzi continueranno a scendere. Un calo che dovrebbe riverberarsi anche sui prezzi di benzina e diesel.
Il petrolio con i prezzi bassi mette in difficoltà i paesi produttori come Venezuela, Iran e Russia (quest’ultima non fa parte dell’Opec) i cui bilanci pubblici sono molto dipendenti dal prezzo del barile, mentre i paesi del Golfo sono meno sensibili al calo dei prezzi perché hanno costi di produzione molto bassi.
Di fatto l’Opec ha rinunciato alla sua classica funzione di cartello, lasciando che sia il mercato a trovare un equilibrio tra domanda e offerta attraverso un calo dei prezzi. La decisione odierna dell’Opec è probabilmente figlia anche del timore sull’efficacia di un taglio della produzione nel far risalire i prezzi: ormai i produttori non appartenenti all’Opec rappresentano infatti oltre il 60% dell’offerta globale di petrolio, e il cartello dell’Opec ha quindi un’influenza sempre minore sui prezzi.
Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it