Il caporedattore di Charlie Hebdo, Gerard Briard (in piedi), l’avvocato Richard Malka (a sinistra) insieme ai giornalisti del settimanale nella redazione di Libération, il 9 gennaio 2015. (Bertrand Guay, Afp)

La riunione di redazione di Charlie Hebdo è durata più di tre ore. Oltre al timone, agli argomenti da trattare e alle scadenze, il 9 gennaio bisognava anche parlare dei morti, dei feriti, degli omaggi e dei funerali. Per l’occasione la sala dell’oblò, dove di solito Libé tiene la sua riunione di redazione quotidiana, è occupata dai sopravvissuti del settimanale satirico. La stanza illuminata da un lato da una grande finestra rotonda, è al tempo stesso riscaldata e aperta per far uscire il fumo delle sigarette.

Sul grande tavolo rotondo ci sono alcuni computer prestati dal gruppo Le Monde, intorno sono seduti Willem, Luz, Coco, Babouse, Sigolène Vinson, Antonio Fischietti, Zineb el Rhazoui, Laurent Léger e gli altri. In tutto 25 persone, con il volto tirato e gli occhi gonfi, il nocciolo duro, gli amici o i collaboratori occasionali, tutti sono qui per preparare il prossimo numero di Charlie Hebdo. Deve uscire il 14 gennaio e avrà una tiratura di un milione di copie, cioè venti volte la tiratura abituale.

“In ospedale ho potuto vedere tutti”, esordisce Gérard Biard, caporedattore di Charlie. “Riss è stato ferito alla spalla destra ma il nervo non è stato toccato. Ovviamente soffre molto. La prima cosa che ha detto è che non è sicuro che potremo continuare a fare il giornale”. Fabrice Nicolino, ferito nel corso dell’attentato, “sta meglio”, anche se “evidentemente soffre molto”. Patrick Pelloux, medico specializzato negli interventi di pronto soccorso e cronista a Charlie, spiega la ferita alla mascella di un’altra vittima, Philippe Lançon, che lavora come giornalista anche a Libé. Nel frattempo il webmaster Simon Fieschi “è stato messo in coma artificiale”. Una ragazza scoppia a piangere. “Non devi sentirti in colpa!”, la conforta Biard. Tutti annuiscono in silenzio. La ragazza che piange è la giornalista Sigolène Vinson, presente in redazione nel momento della tragedia ma risparmiata dagli aggressori.

Biard parla poi dei morti. Come organizzare i funerali? E l’omaggio nazionale? Con quale musica? È meglio evitare le bandiere. “Non bisogna utilizzare dei simboli che loro stessi avrebbero detestato”, osserva qualcuno intorno al tavolo. “Sono state uccise delle persone che disegnavano dei personaggi buffi. Niente bandiere. Bisogna ricordare la semplicità di queste persone, del loro lavoro. I nostri amici sono morti, ma non bisogna esporli sulla pubblica piazza”. Tutti annuiscono.

Una giornalista spiega che in meno di 24 ore una colletta, creata spontaneamente su internet da sconosciuti, ha già raccolto 98mila euro. I sopravvissuti di Charlie sono sommersi di richieste di abbonamento che per ora non riescono a gestire, ma molto presto dovrebbero su questo punto ricevere l’aiuto del gruppo Lagardère. L’avvocato di Charlie Hebdo, Richard Malka, prende la parola. “C’è denaro che arriva da tutte le parti. Aiuti, locali, personale per gestire le richieste”. “Abbiamo ricevuto il sostegno di molti mezzi d’informazione”, ribadisce Christophe Thévenet, un altro avvocato della testata. “Ci sono le donazioni, abbiamo già ricevuto 250mila euro attraverso l’associazione Presse et pluralisme, e il milione di euro promesso da Fleur Pellerin, la ministra della cultura. Charlie avrà una salute finanziaria invidiabile!”. E l’avvocato sa bene di cosa parla, è lui infatti ad aver creato lo statuto del giornale e a tenere le assemblee generali della testata. In questi ultimi mesi il settimanale aveva fatto appello alle donazioni per cercare di rimpinguare le casse.

“Allora, facciamo il giornale?”, chiede Biard, che ha visibilmente voglia di passare ad altro. “Che cosa mettiamo nelle pagine?”. “Non saprei, cos’è successo in questi ultimi giorni?”, dice Pelloux. Risate nervose. Biard riprende: “Io sarei dell’idea di fare un numero, tra virgolette, normale. I lettori devono riconoscere Charlie, non deve essere un numero straordinario”. “Nemmeno brutto”, aggiunge qualcuno. C’è chi parla della possibilità di lasciare degli spazi bianchi là dove i morti di mercoledì avrebbero dovuto scrivere o disegnare. Ma alla fine la redazione è contraria. “Non voglio che ci siano dei vuoti”, osserva Biard. “Devono essere lì, sulle pagine, così come Mustapha”. Il correttore di bozze Mustapha Ourrad fa parte della lunga lista dei morti dell’attentato di mercoledì. “Allora lasciate i miei errori!”, scherzano Pelloux e gli altri.

“Ehi guarda, Castro è morto!”, esclama Luz mostrando il dito medio nello scoprire l’informazione (che sarà presto smentita) sul suo smartphone. Laurent Léger cerca di riportare la discussione sul giornale: “Penso che non dobbiamo fare dei necrologi, non dobbiamo fare un numero omaggio”. La redazione discute del contenuto del giornale. Biard: “Spero che la smettano di trattarci da laici integralisti, che la smettano di dire ‘sì, ma’ alla libertà d’espressione”. Léger: “Penso che possiamo dire che siamo stati molto soli in questi ultimi anni”. Luz: “Questo numero deve anche parlare del dopo”. Corinne Rey: “Bisogna far passare il messaggio che siamo vivi!”. Malka: “E che non si trascuri la critica alle religioni”.

Charlie Hebdo è un giornale strano, non ha vere e proprie rubriche ma degli “spazi” assegnati a un autore o a un disegnatore. Per gli spazi che sarebbero stati dei giornalisti morti la redazione ha deciso di pubblicare degli inediti. Così il numero che sarà in edicola mercoledì avrà ancora Charb, Cabu, Wolinsky, Honoré. Durante la discussione ci sono stati ogni tanto dei singhiozzi, come piccoli fuochi che si accendevano per spegnersi subito dopo nelle braccia del vicino. C’erano abbracci e occhi umidi.

Malka alza la voce: “Manuel Valls è appena arrivato al giornale”. L’équipe sospira, si sparpaglia, chiacchiera. Accompagnato dalla ministra Pellerin, che sfoggia un adesivo “Je suis Charlie” sul petto, e da tutta una serie di giornalisti esterni e di assistenti, il primo ministro va a stringere la mano dei presenti dando qualche informazione sull’intervento in corso a Dammartin-en-Goële – “I due assassini sono in trappola” – per poi augurare loro “coraggio”.

Biard cerca di andare avanti: “Sono andati via i giornalisti e i ministri? Possiamo continuare? Allora per pagina 16 che facciamo?”. Ma la sua domanda si perde nel rumore delle lattine di Coca Cola aperte, nelle brioche mangiate, nei pianti soffocati a fatica, nelle sirene di polizia per strada. In un angolo Pelloux ride: “Ehi, c’è il solito casino. Ma allora è una vera riunione di redazione. Si ricomincia sul serio!”. Isabelle Hanne, Libération

(Traduzione di Andrea De Ritis)

Libération, unico giornale a essere presente alla riunione di redazione di Charlie Hebdo, ha reso disponibile questo articolo con la licenza Creative commons - condividi allo stesso modo 3.0.

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