Nel mese di marzo, quando è entrato in vigore il Jobs act, le attivazioni dei nuovi contratti di lavoro nel complesso, a eccezione del lavoro domestico e della pubblica amministrazione, sono state 641.572 a fronte di 549.273 cessazioni. Il saldo attivo è di oltre 92mila unità. I dati sono stati comunicati dal ministero del lavoro, che ha specificato che si tratta di numeri provvisori e parziali. I contratti a tempo indeterminato attivati sono stati 162.498 (quasi 54mila in più rispetto al marzo 2014) a fronte di 131.128 contratti cessati, una differenza pari a 31mila unità. Secondo gli esperti, però, è ancora presto per parlare delle conseguenze del Jobs act.

Le assunzioni fisse a marzo del 2015 sono state quindi il 25,3 per cento del totale delle attivazioni a fronte del 17,5 per cento di un anno prima. Inoltre le trasformazioni di rapporti di lavoro a tempo determinato in rapporti a tempo indeterminato sono state 40.034, mentre nello stesso periodo del 2014 erano state 22.116.

Contemporaneamente sono scese le attivazioni a tempo determinato (da 395mila a 381.234), i contratti di apprendistato (da 21.037 a 16.844) e le collaborazioni (da 48.491 a 36.460). Inoltre gli stipendi restano fermi. Secondo i dati forniti dall’Istat, a marzo risultano invariate rispetto al mese precedente, mentre aumentano dell’1 per cento su base annua. Lo stipendio cambia anche a seconda del sesso: tra i 162.498 contratti a tempo indeterminato attivati a marzo, 103.380 riguardano uomini e 59.118 donne. Per i rapporti a tempo determinato la proporzione è di 231.563 uomini e 149.671 donne. L’apprendistato ha riguardato 9.495 uomini e 7.349 donne, mentre le collaborazioni 14.707 uomini e 21.753 donne.

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