I conflitti armati nel mondo sono meno numerosi ma più mortali
L’istituto internazionale per gli studi strategici (Iiss) ha pubblicato la prima edizione del suo rapporto sui conflitti armati nel mondo. Il contenuto si basa in parte sul materiale accumulato nel corso dell’anno passato nel database dei conflitti armati, un registro online che dal 2003 monitora i conflitti armati in tutto il mondo, con un’attenzione particolare alle conseguenze legate alla sicurezza.
Il rapporto denuncia che nel 2014 i conflitti armati nel mondo sono stati meno numerosi, ma più mortali rispetto al passato. Sono stati registrati 42 conflitti armati, tra guerre civili, insurrezioni e altri tipi di instabilità e violenze, vale a dire 21 in meno rispetto ai 63 del 2008. Ma mentre nel 2008 i conflitti hanno provocato in totale la morte di 56mila persone, nel 2014 il numero delle vittime è salito a 180mila. Nel tempo è aumentato anche l’impatto dei conflitti, che per esempio hanno causato un numero più alto di profughi e sfollati, tanto che nel 2013 l’Alto commissariato dell’Onu per i rifugiati ha osservato che per la prima volta dalla fine della seconda guerra mondiale il numero delle persone costrette ad abbandonare le loro case nel mondo ha superato i 50 milioni.
Il conflitto che ha causato il numero maggiore di vittime nel 2014 è stato quello in Siria, dove nell’anno passato sono morte 70mila persone. Segue l’Iraq, dove l’avanzata del gruppo Stato islamico ha provocato la morte di 18mila persone e due milioni di sfollati. “Il quadro del 2014 è misto”, si legge nelle conclusioni del rapporto. Alcuni conflitti che sembravano irrisolvibili, come in Colombia e nelle Filippine, mostrano segni di miglioramento, altri, come l’Afghanistan, sono in evoluzione, ma i livelli di violenza restano alti. Nel mondo arabo vasti territori sono segnati da violenza e instabilità croniche e il fenomeno del jihadismo fornisce un potente acceleratore, con poche prospettive di soluzione.