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Boicottare la Nutella non serve all’ambiente, dice Greenpeace

“Boicottare la Nutella non serve all’ambiente”. È il commento dell’associazione ambientalista Greenpeace alla polemica sollevata dalla ministra dell’ecologia francese Ségolène Royal che, parlando in tv, aveva invitato a boicottare la famosa crema gianduia perché poco rispettosa della natura.

La Ferrero, casa produttrice della cioccolata spalmabile, ha risposto alle accuse, sottolineando che l’azienda “impiega al 100 per cento olio di palma certificato sostenibile per i suoi prodotti confezionati a Villers-Ecalles”. Royale si è poi scusata su Twitter e la tensione con le autorità e l’azienda italiana è rientrata.

Tuttavia, alcuni esperti si domandano se effettivamente le piantagioni di olio di palma possano essere “sostenibili”.

L’olio di palma è un ingrediente base di molti prodotti alimentari e per la casa, e di alcuni tipi di carburante. Per coltivare la palma da olio, vengono tagliati migliaia di ettari di foresta tropicale ogni anno. Per rispondere alle richieste crescenti del mercato, infatti, proprietari terrieri hanno ampliato gradualmente le loro piantagioni. Ma l’abbattimento e l’incendio degli alberi, necessario per fare spazio alle piantagioni, danneggia l’ambiente, con l’emissione nell’atmosfera di grandi quantità di anidride carbonica e altri prodotti della combustione, come il monossido di carbonio. Inoltre queste monocolture provocano l’inquinamento delle falde acquifere, causato soprattutto dai diserbanti.

La deforestazione rappresenta una delle principali cause del cambiamento climatico: la conversione delle foreste in terreni coltivati a palma da olio comporta una riduzione della produzione di ossigeno, fondamentale per riequilibrare l’anidride carbonica emessa dalle attività umane. I danni all’ambiente non sono l’unica critica rivolta a produttori e consumatori di olio di palma. Anche i costi sociali sono molto alti. Esperti e attivisti hanno denunciato casi di lavoro minorile, sfruttamento, rischi per la salute, condizioni lavorative precarie e violazioni dei diritti umani.

È l’altra faccia della medaglia di un business altamente redditizio. La domanda globale di olio di palma è aumentata esponenzialmente negli ultimi quarant’anni: si è passati dai 25 milioni di tonnellate prodotte nel 1970 ai 150 milioni di tonnellate del 2010. La tendenza è dovuta soprattutto alla crescita della popolazione mondiale e del consumo di questo olio vegetale negli alimenti e in altri prodotti, così come a una maggiore diffusione dei biocarburanti. Tradotto in denaro: un volume d’affari annuale di circa 50 miliardi di dollari. I principali produttori sono l’Indonesia e la Malesia, responsabili di oltre l’80 per cento delle riserve mondiali. Seguiti da Thailandia, Colombia, Nigeria, Papa Nuova Guinea ed Ecuardor.

In risposta alle pressioni di ambientalisti e organizzazioni non governative, le aziende che impiegano olio di palma si sono impegnate ad acquistare la materia prima solo da fornitori certificati dalla Roundtable on sustainable palm oil (Rspo), un’organizzazione internazionale con sede a Zurigo che ha definito gli standard globali da rispettare per garantire una produzione ecosostenibile. Tra queste aziende c’è anche la Ferrero. L’olio di palma usato per la Nutella viene da Malesia, Indonesia, Brasile e Papua Nuova Guinea. La Ferrero ha inoltre precisato che la quantità di olio di palma impiegato nei loro prodotti è pari “al solo 0,3 per cento della produzione totale a livello mondiale”.

Il Worldwatch institute ha però sollevato alcuni dubbi sui criteri di sostenibilità fissati dalla Rspo. Secondo la Rspo, le piantagioni che hanno ricevuto il bollino di sostenibilità non sorgono su un terreno considerato “ad alto valore di conservazione”, tuttavia per Worldwatch institute la definizione di queste categorie è lasciata alla discrezionalità dei singoli paesi.

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