Bangladesi, mauriziani, marocchini, egiziani, somali, senegalesi. La moschea di piazza Cutelli, nel centro storico di Catania, è la più grande del Mezzogiorno e accoglie centinaia di fedeli. Tanto che per il primo venerdì di Ramadan, il mese sacro del calendario islamico cominciato lo scorso 18 giugno, c’è chi è arrivato da Palermo, da Torino e chi, in fuga dal Medio Oriente, è qui solo di passaggio.
Rotto il digiuno e terminata la preghiera, a sedersi ai tavoli allestiti per la cena comunitaria ci sono però anche alcuni italiani. La moschea della Misericordia e gli spazi del centro islamico sono infatti un riferimento per un quartiere popolato da molte famiglie indigenti, in gran parte italiane. Un elemento di integrazione e interazione sostenuto da diverse associazioni catanesi e capace, grazie a un accordo con il Banco alimentare di Sicilia, di offrire un aiuto continuativo a chi ha bisogno, anche oltre al periodo di Ramadan.
“Al di fuori delle cene per il mese sacro non possiamo offrire da mangiare, non avendo una cucina adeguata”, spiega Abdelhafid Keith, imam della moschea e presidente della comunità islamica di Sicilia. “Abbiamo così deciso di muoverci in altro modo”. L’idea si è concretizzata a ridosso del Natale 2013 ed è cresciuta rapidamente, diventando un servizio stabile a partire dall’estate 2014.
“Abbiamo stretto un accordo con il Banco alimentare che ci consegna parte dei viveri raccolti durante la colletta alimentare nei supermercati: noi prepariamo i pacchi e, due volte al mese, li distribuiamo a chi ne fa richiesta”, racconta Ismail Bouchnafa, direttore del centro islamico annesso alla sala di preghiera. Si tratta di circa 300 famiglie, provenienti soprattutto dallo storico quartiere Civita, un lembo di case basse tra il porto e la via Vittorio Emanuele. “In alcuni periodi siamo arrivati a supportare fino a 500 nuclei familiari: vagliamo le richieste, teniamo un database di chi accede al servizio e inoltriamo poi le liste al Banco alimentare”. Un aiuto fondamentale di cui beneficiano, per l’80 per cento dei casi, famiglie italiane residenti da generazioni in uno dei quartieri più poveri della città.
Alla collaborazione con il Banco alimentare il Centro islamico affianca quelle con il Movimento dei focolari, per un’attività di doposcuola offerta a alunni italiani e stranieri, con la Comunità di Sant’Egidio e con la Caritas diocesana. “Chi fa il digiuno non può mangiare alla mensa della Caritas perché gli orari non sono compatibili”, spiega Bouchnafa. “Così la Caritas ci ha offerto parte della propria spesa alimentare, aiutandoci a dare un pasto ai musulmani più bisognosi, in uno spirito di condivisione e di ringraziamento per chi, come diverse associazioni di ispirazione cristiana, ha sempre aiutato i nostri confratelli”.
Un’ospitalità reciproca che, secondo Abdelhafid Keith, deve essere “al centro della vita di ogni fedele e dell’esperienza del digiuno, che insegna a mettersi nei panni degli altri”. “La nostra moschea è nel cuore della città”, sottolinea l’imam. “Dalla sua apertura, nel 2012, è diventata un luogo di incontro e dialogo, patrimonio di tutti i catanesi”. A confermarlo, seduti alle tavolate per la cena del Ramadan, sono alcuni anziani del quartiere, serviti dai volontari del Centro islamico. Cercano, a gesti, di capirsi con dei giovani siriani, sbarcati da pochi giorni. Per loro, come le per migliaia di connazionali che li hanno preceduti, la moschea di Catania continua a essere un punto d’appoggio nel lungo viaggio verso il nord Europa.
(Questo articolo è uscito su Redattore Sociale)
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