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Yanis Varoufakis accusa i creditori di fare terrorismo contro la Grecia

Domenica 5 luglio si voterà per il referendum sul piano proposto dai creditori ad Atene. I sostenitori del no sono scesi in piazza ad Atene il 3 luglio e ci sono stati attimi di tensione con la polizia

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Cosa chiede il referendum greco e perché è stato tanto criticato

La bozza del quesito referendario che sarà sottoposto ai greci il 5 luglio 2015.

“Referendum del 5 luglio 2015. Dev’essere accettato il piano di accordo presentato da Commissione europea, Banca centrale europea e Fondo monetario internazionale nell’eurogruppo del 25 giugno 2015, composto da due parti che costituiscono la loro proposta? Il primo documento è intitolato “Riforme per il completamento dell’attuale programma e oltre” e il secondo “Analisi preliminare per la sostenibilità del debito”. NO (non accettato) SI (accettato)”. È il quesito che sarà sottoposto ai greci nel referendum di domenica prossima.

Il documento è stato fatto circolare dal ministero dell’interno di Atene ed è stato ripubblicato da diversi media e blog ellenici negli ultimi giorni. La domanda è scritta in modo secco, i testi delle proposte dei creditori internazionali non saranno allegati, e quest’ultima circostanza ha scatenato non poche critiche.

Un altro elemento che ha suscitato qualche perplessità negli analisti è stata la decisione di anteporre graficamente il no – che è la risposta appoggiata dal governo guidato da Alexis Tsipras – al sì, che rappresenta il sostegno alla proposta dei creditori.

Secondo il vicepresidente della Commissione europea, Valdis Dombrovskis – intervistato dal quotidiano tedesco Die Welt – il quesito referendario non è corretto né dal punto di vista concreto né a livello legale. “I suggerimenti per un programma di credito proposti da Commissione europea, Bce e Fmi su cui si dovrà votare sono nel frattempo scaduti” ha dichiarato Dombrovskis. “L’eurogruppo non li ha né accettati né respinti. E non corrispondono nemmeno più allo stato attuale dei negoziati. Quando Tsipras ha annunciato il referendum, eravamo ancora nel bel mezzo dei colloqui” ha fatto notare il politico lettone.

Nei giorni scorsi, due cittadini hanno sollevato la questione dinanzi al Consiglio di stato greco da cui è attesa in queste ore una decisione sui requisiti di costituzionalità. Nel ricorso, i due cittadini (un ingegnere e un avvocato) sostengono che sia l’atto del governo per la proposta di referendum sia il decreto presidenziale di annuncio del referendum stesso non rispettino l’articolo 44 della costituzione e la legge 4023/2011 relativa alle norme per lo svolgimento.

Nello specifico i requisiti costituzionali impedirebbero che la politica fiscale dello stato sia materia da sottoporre a una consultazione popolare perché le decisioni dei creditori internazionali e dell’eurogruppo su cui i greci sono chiamati a esprimersi riguardano il diretto funzionamento dello stato. Quindi materia troppo sensibile e di competenza di governo e parlamento. Il quesito non sarebbe poi posto in modo chiaro e conciso come richiesto dalla legge, ma complesso e con termini tecnici. Infine, è stato convocato senza il preavviso minimo di dieci giorni che garantisca un’adeguata informazione per i cittadini.

Ai due cittadini greci si è accodato il Consiglio d’Europa, secondo cui il referendum non rispetterebbe gli standard internazionali perché convocato con troppo poco anticipo. Il Consiglio d’Europa è un’organizzazione internazionale con 47 stati membri, di cui solo 28 fanno parte dell’Unione europea. Vigila sul rispetto dei diritti fondamentali e il suo parere non è comunque vincolante. Il suo segretario generale, Thorbjørn Jagland, ha dichiarato che le norme internazionali raccomandano che il referendum si debba tenere almeno due settimane dopo la pubblicazione del bando, al fine di consentire un tempo sufficiente per discussioni e dibattiti. E permettere agli osservatori internazionali di monitorare il processo stesso.

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