Sempre più armi italiane vendute ai paesi in guerra
Sono passati 25 anni dall’approvazione della legge 185/90 sul controllo delle armi, che vieta l’esportazione di armi in paesi in cui è in corso un conflitto armato. Eppure ancora oggi l’Italia vende pistole e fucili in 123 paesi al mondo per 54 miliardi di euro di autorizzazioni e 36 miliardi di controvalore per effettive consegne di sistemi d’arma. Sono i dati presentati il 9 luglio dalla Rete italiana per il disarmo.
La legge 185/90 prevede non solo il divieto di esportazione di armamenti verso paesi in guerra ma anche verso paesi in cui sono violati i diritti umani. Nei primi anni di applicazione i principi innovativi della legge e il controllo, esercitato anche tramite una relazione al parlamento da parte del governo, hanno permesso la diminuzione delle vendite verso i paesi in conflitto.
Ma dal 2009 questa tendenza virtuosa si è invertita. Giorgio Beretta, analista di Opal Brescia, ha spiegato: “I numeri non mentono: l’Italia ha venduto armi soprattutto in Medio Oriente e nel Nordafrica, regioni tra le più turbolente e le autorizzazioni del parlamento sono aumentate. Sapere con precisione a quale paese vendiamo riguarda in primo luogo la nostra stessa sicurezza”. Nel complesso esportiamo pistole, fucili, carabine italiane negli Stati Uniti, nel Regno Unito, in Arabia Saudita, negli Emirati Arabi Uniti, ma anche Germania, Turchia, Francia e Spagna. Le nostre armi finiscono anche in Malesia, Algeria, India, Pakistan.
Maurizio Simoncelli, vicepresidente dell’istituto di ricerche internazionali Archivio disarmo, ha detto: “La nostra legge nata in modo egregio e che ha ispirato la legislazione internazionale è stata applicata nel modo peggiore”. Con le modifiche più recenti alla legge, sarà più difficile capire dove finiscono le nostre armi.
“Chiediamo la trasparenza dei documenti. L’export militare italiano dovrebbe essere in linea con la politica estera del nostro paese, ma negli ultimi anni la direzione è stata principalmente quella degli affari”, afferma Vignarca, presidente di Rete disarmo.
“La perdita di trasparenza avvenuta soprattutto negli ultimi anni mina alla base un controllo che invece, su un tema delicato come quello dell’export militare, è fondamentale per la nostra politica estera e per la responsabilità dell’Italia nei confitti”.
Secondo i dati dell’Istat, nel 2014 le esportazioni italiane di questi micidiali strumenti sono state pari a 453 milioni, leggermente inferiori a quelle dell’anno precedente, ma superiori alla media delle esportazioni del decennio.
L’industria italiana delle armi sembra non soffrire i colpi della crisi. La produzione di armi dà lavoro a migliaia di operai nella zona della Val Trompia (provincia di Brescia). Purtroppo però, nonostante, le leggi italiane e internazionali, pistole e fucili finiscono in paesi dove infuria la guerra o dove i diritti umani non sono garantiti come in Ucraina, Russia, Colombia e Messico. Al primo posto tra i paesi importatori di armi leggere italiane ci sono gli Stati Uniti con il 42 per cento del totale. Fino all’anno scorso i soldati statunitensi avevano in dotazione una pistola Beretta, la famosa M9. Negli Stati Uniti il possesso di armi per uso di difesa personale è un diritto garantito dalla costituzione.