Proseguono i colloqui per trovare una soluzione alla crisi politica in Burundi
Il presidente dell’Uganda Yoweri Museveni ha lasciato i colloqui tra le fazioni rivali del Burundi senza che sia stato raggiunto un accordo. Ma non si fermano i negoziati per mettere fine alla crisi politica scoppiata a fine aprile in seguito alla decisione del presidente Pierre Nkurunziza di correre per un terzo mandato. Sarà il ministro della difesa ugandese Crispus Kiyonga a portare avanti la mediazione a Bujumbura tra il partito al potere, il Cndd-Fdd, la società civile e i gruppi dell’opposizione che hanno boicottato le elezioni legislative e amministrative che si sono svolte il 29 giugno. Le presidenziali sono fissate per il 21 luglio.
Museveni era stato nominato mediatore nella crisi in Burundi la settimana scorsa dai paesi della Comunità dell’Africa orientale, dopo il fallimento dei colloqui promossi dalle Nazioni Unite. Secondo quanto riferito da alcuni partecipanti ai nuovi negoziati, il presidente ugandese ha messo sul tavolo la soluzione già proposta all’inizio di luglio dalla Comunità dell’Africa orientale (composta da Ruanda, Uganda, Tanzania, Kenya e Burundi), vale a dire la creazione di un governo di unità nazionale all’indomani delle elezioni presidenziali. Ma l’opposizione, che considera incostituzionale la candidatura di Nkurunziza a un terzo mandato, si rifiuta di partecipare.
Alcuni analisti hanno messo in dubbio l’autorità di mediatore di Museveni, che non ha rispettato i limiti del suo mandato presidenziale e ha usato il pugno di ferro contro l’opposizione ugandese. Nei quasi tre mesi di proteste in Burundi sono morte circa cento persone e 158mila sono fuggite nei paesi vicini. Nuovi combattimenti si sono verificati anche negli ultimi giorni, quando l’esercito si è scontrato con alcuni presunti ribelli nel nord del paese, al confine con il Ruanda. Il generale Leonard Ngendakumana, che a maggio ha preso parte a un colpo di stato fallito per rovesciare Nkurunziza, ha confermato che negli scontri sono stati coinvolti soldati vicini al golpe.