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Cinque cose che l’Europa deve fare per risolvere la crisi dei migranti 

Un treno a Bicske, in Ungheria, diretto verso l’Austria, bloccato dalle autorità ungheresi il 4 settembre. (Matt Cardy, Getty Images)

Dall’inizio del 2015 secondo l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) 365mila persone hanno attraversato il Mediterraneo per raggiungere l’Europa, 2.800 sono morte durante la traversata. Molti di loro sono profughi che scappano dalle guerre nel Medio Oriente e in Africa, e da dittature come quella di Isaias Afewerki in Eritrea.

Le istituzioni europee hanno reagito in modo allarmistico di fronte agli arrivi che hanno messo in luce l’impreparazione e la mancanza di una strategia comune per affrontare le migrazioni interne ed esterne all’Unione. Secondo esperti e analisti, ci sono almeno cinque cose che le istituzioni europee potrebbero fare per evitare le sofferenze, e in molti casi la morte, a migliaia di persone che compiono il loro viaggio verso l’Europa.

1 Una legislazione comune dell’Unione europea sul diritto d’asilo

Uno dei motivi per cui i migranti e i richiedenti asilo non si fermano nel primo paese dell’Unione europea in cui arrivano è che non esiste una legislazione europea comune. Alcuni paesi sono più disponibili ad accogliere i richiedenti asilo, altri invece hanno leggi più restrittive. Ma il regolamento di Dublino impone ai migranti di fare richiesta d’asilo nel primo paese dell’Unione in cui si fermano.

Per sfuggire a questo meccanismo i migranti si sottraggono al sistema ufficiale di accoglienza e, spesso affidandosi a trafficanti, cercano di raggiungere i paesi che sono considerati più accoglienti come la Germania e la Svezia. Nel 2014 in Italia sono arrivate 170mila persone, ma solo un terzo (64mila) ha presentato domanda d’asilo in territorio italiano, mentre i due terzi hanno raggiunto altri paesi europei.

Una legislazione comune europea sull’asilo permetterebbe a chiunque abbia ottenuto lo status di rifugiato in Italia di godere del diritto di lavoro, di residenza e di assistenza in ogni altro stato dell’Unione europea.

Attualmente questo sistema comune non esiste. Una persona rifugiata in Italia deve rimanere nel paese per un minimo di cinque anni e anche dopo questo periodo non ha automaticamente il diritto di spostarsi in un altro paese.

Secondo l’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi) “l’estrema disomogeneità tra le misure di sostegno all’integrazione sociale dei richiedenti asilo mina alla radice ogni serio processo di armonizzazione del diritto d’asilo in Europa. Il tasso di rigetto delle domande di asilo tra gli stati membri è irragionevolmente variabile, tanto che la stessa domanda di asilo potrebbe avere esiti del tutto diversi tra un paese europeo e un altro”.

2 Canali umanitari legali per i profughi

“Invece di reprimere l’immigrazione irregolare, l’Europa dovrebbe organizzarla”, ha dichiarato François Crépeau, consulente delle Nazioni Unite per i diritti dei migranti. Crépeau ha spiegato che aprire dei corridoi umanitari legali potrebbe salvare delle vite, ridurre il traffico di esseri umani e il fenomeno degli sbarchi clandestini e dei naufragi. “Dovremmo fare per i siriani quello che abbiamo fatto quarant’anni fa per i vietnamiti, i cambogiani e i laotiani. Un progetto globale che includa tutti i paesi del nord del mondo che, in base al loro reddito pro capite e alla densità abitativa, dovrebbero offrirsi per accogliere i rifugiati”.

I canali umanitari possono essere creati in due modi, spiega il Consiglio italiano per i rifugiati. Presentando la domanda nei paesi di origine o nei paesi di transito e di prima accoglienza presso una delle sedi dell’Alto commissariato dell’Onu per i rifugiati (Unhcr) oppure attraverso visti umanitari richiesti dai familiari dei richiedenti asilo che risiedono già in Europa. Dopo la presentazione della domanda i richiedenti asilo riceverebbero un permesso umanitario temporaneo di ingresso nel paese della durata di 15 giorni, per permettergli di arrivare in Europa in maniera legale e procedere con la richiesta di protezione internazionale.

3 Leggi che favoriscano il rilascio di visti per motivi di lavoro, di studio e di ricongiungimento familiare

Entrare in maniera regolare per motivi di lavoro, di studio o di ricongiungimento familiare all’interno dell’Unione europea è sempre più difficile, per questo molti migranti provano ad arrivare in Europa affidandosi ai trafficanti e mettendo in pericolo le loro vite. La presenza di forza lavoro disponibile a basso costo e ricattabile perché senza documenti, alimenta il lavoro nero e lo sfruttamento in molti settori dell’economia.

“Nel sistema legislativo attuale per conservare il permesso di soggiorno il cittadino straniero deve sempre dimostrare di avere gli stessi requisiti dell’ingresso, che sono prevalentemente legati a una capacità reddituale. Pretesa che, in un periodo di crisi economica, limita o nega la sua regolarità di soggiorno e induce, in generale, una forte precarizzazione”, spiega l’Asgi.

Per risolvere questo problema l’associazione dei giuristi propone di

  • favorire l’incontro tra domanda e offerta di lavoro nei paesi di origine dei migranti
  • introdurre un nuovo canale di ingresso, che consenta ai cittadini stranieri di entrare regolarmente in Italia con un visto per ricerca lavoro (di almeno un anno)
  • semplificare le procedure per il riconoscimento dei titoli di studio e delle qualifiche conseguiti all’estero
  • incentivare la negoziazione e l’attuazione degli accordi bilaterali per svolgere programmi di formazione professionale nei paesi di origine
  • garantire sempre la restituzione dei contributi versati in Italia in caso di definitivo rientro in patria senza diritto a pensione
  • favorire la regolarizzazione di chi già vive e lavora in Italia.

4 Una soluzione politica del conflitto in Siria e in Libia

La gran parte dei profughi siriani non avrebbe lasciato il paese se non fosse stata costretta dalle violenze della guerra civile che insanguina la Siria da quattro anni. Secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani, un’organizzazione non governativa con sede a Londra, dei 210mila morti tra il marzo del 2011 e il febbraio del 2015, i civili sono circa un terzo.

La pace in Siria implicherebbe una riduzione drastica dei profughi nell’Unione europea e nei paesi limitrofi come Turchia e Giordania.

Inoltre, la guerra civile in Libia, divisa tra due governi e tra decine di gruppi rivali, ha favorito i attività illegali come il traffico di esseri umani tra l’Africa e le sponde meridionali dell’Europa. Non potrà essere ridotto l’arrivo di profughi e rifugiati, se sul lungo e medio periodo non si troverà una soluzione politica al conflitto.

5 Smettere di finanziare la dittatura in Eritrea

Secondo i dati di Frontex, gli eritrei sono il gruppo più numeroso di migranti che attraversa il Mediterraneo per arrivare in Europa dopo i siriani: in cinquemila lasciano il paese ogni mese. Nell’ex colonia italiana, governata dal 1993 dal dittatore e leader dell’indipendenza Isaias Afewerki, la leva è obbligatoria per tutti quelli che hanno compiuto 18 anni e dura almeno 18 mesi, ma può essere prolungata e trasformarsi in arruolamento permanente. Inoltre, molti soldati sono costretti ai lavori forzati. Secondo l’ong Save the Children, i minori eritrei decidono di lasciare il paese perché vogliono sottrarsi alla coscrizione e sentono la responsabilità di mantenere la famiglia lavorando all’estero.

“Gli eritrei non sono governati dalla legge, ma dalla paura”, si legge in un recente rapporto delle Nazioni Unite sui diritti umani in Eritrea, che raccoglie testimonianze su esecuzioni extragiudiziali, schiavitù sessuale e lavoro forzato. Secondo il rapporto dell’Onu, il governo di Asmara è responsabile di violazioni dei diritti umani diffuse, che hanno creato un clima di paura in cui il dissenso è represso. Questa situazione spinge centinaia di migliaia di persone ad abbandonare il paese. Malgrado l’Eritrea sia considerata una specie di Corea del Nord dell’Africa, i paesi occidentali fanno affari con Asmara. Secondo il Guardian, alcuni leader europei sono in trattative segrete con il governo di Asmara, per chiedere la chiusura delle frontiere nel paese del corno d’Africa, in cambio di denaro o di un alleggerimento delle sanzioni. Funzionari delle Nazioni Unite e organizzazioni per i diritti umani hanno espresso preoccupazione per i presunti accordi rivelati dal quotidiano britannico The Guardian in corso tra Europa e regime di Asmara.

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