Il virus zika, trasmesso dalle zanzare e arrivato in Brasile nel maggio del 2015, ha ormai raggiunto altri 17 paesi delle Americhe. Fino a ottobre non era ritenuto una grande minaccia: solo un quinto delle persone colpite si ammalava e in genere provocava solo un po’ di febbre, eruzioni cutanee, dolori articolari e arrossamento degli occhi.
Dopo, però, sono cominciate a emergere prove di possibili malformazioni nei feti e problemi neurologici negli adulti. Il 15 gennaio i Centri per la prevenzione e il controllo delle malattie (Cdc) negli Stati Uniti hanno consigliato alle donne incinte di non andare nei paesi in cui ci sono focolai d’infezione.
Il virus, per cui non esiste un vaccino, è stato isolato per la prima volta nel 1947 in una scimmia della foresta di Zika, in Uganda. Da allora si sa che ha provocato piccole epidemie sporadiche in alcune regioni africane e del sudest asiatico. Invece in Brasile, per motivi ancora oscuri, subito dopo il suo arrivo avrebbe contagiato un milione e mezzo di persone.
L’allarme è scattato a dicembre, quando dei medici del Pernambuco, uno degli stati nordorientali del paese, hanno notato un forte aumento di neonati con microcefalia, una malformazione in cui il cranio è eccessivamente piccolo e che spesso è associata a danni cerebrali. Nei successivi quattro mesi i casi di microcefalia sono stati più di 3.500, mentre tra il 2009 e il 2014 erano in media meno di duecento all’anno. Nessuna delle cause note del disturbo – anomalie genetiche, farmaci, alcol, rosolia, esposizione a sostanze tossiche durante la gravidanza – sembrava esserne responsabile.
La diffusione del virus rende sempre più urgente eliminare le zanzare che lo trasmettono
A metà gennaio gli scienziati dei Cdc hanno diffuso la prova finora più convincente che il virus zika si trasmette da madre a figlio. Hanno trovato il virus in quattro casi: feti o neonati con microcefalia morti in utero o poco dopo la nascita. Alcuni ricercatori brasiliani l’avevano già trovato nel liquido amniotico di donne con feti microcefali.
C’è anche un altro timore. Dopo l’arrivo dello zika in Brasile e Salvador c’è stato un netto aumento di gravi disturbi neurologici e autoimmuni, tra cui la sindrome di Guillain-Barré, che può causare paralisi. L’aumento si è verificato anche nella Polinesia francese dopo l’arrivo del virus nel 2013.
Non è facile capire fino a che punto lo zika, da solo o insieme ad altri fattori, sia responsabile di questa situazione. La febbre dengue e la chikungunya – causate da virus trasmessi dalle zanzare e con sintomi simili – sono comuni dove è comparso lo zika. I test per individuarlo, sostiene Scott Weaver dell’università del Texas, funzionano solo durante la fase infettiva, che dura pochi giorni. Dopo sono spesso inutili se il paziente ha avuto la dengue o è stato vaccinato contro la febbre gialla. E, soprattutto, solo pochi laboratori sono in grado di eseguire i sofisticati test molecolari per isolarlo. In sostanza, quindi, la maggior parte dei casi di zika non viene individuata o è confusa con altro. Dati più solidi emergeranno dagli studi prospettici avviati di recente, che seguono le donne incinte in Brasile.
La diffusione del virus rende sempre più urgente eliminare le zanzare che lo trasmettono. Lo zika è diffuso soprattutto dall’Aedes aegypti, che è il vettore anche della dengue e della febbre gialla e vive in climi tropicali. Tuttavia lo diffonde anche la Aedes albopictus (zanzara tigre), anche se non si sa ancora con quanta efficacia.
A dicembre il Brasile ha dichiarato lo stato d’emergenza sanitaria e ha rimosso gli ostacoli burocratici per l’acquisto di materiali come gli insetticidi e le attrezzature per gli operatori sanitari, suscitando un dibattito sull’utilità di questa burocrazia. Ha inoltre autorizzato l’impiego dell’esercito per aiutare i 310mila operatori occupati nella disinfestazione dalle zanzare.
(Traduzione di Stefania De Franco)
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