La generazione dei bambini siriani che non esistono
Nour ha sette mesi e vive in una tenda di tela cerata piantata su un pezzo fangoso di terra nella valle di Bekaa, in Libano. La tenda, come una decina di altre nel piccolo campo profughi, contiene dei fornelli di metallo, un tappetino da preghiera e un tappeto logoro steso a terra. Sui chiodi conficcati sulle travi di legno sono appesi una giacca di cuoio e uno specchio di plastica.
Avvolta in un lenzuolo rosa per proteggerla dal freddo, Nour è la prima dei tre figli di una coppia siriana a essere nata profuga. La sua famiglia è fuggita da Homs all’inizio della guerra civile siriana. Stringendosi sui sedili di un autobus, i suoi genitori e i loro due figli maggiori sono arrivati in Libano, dove è nata Nour.
Adesso sua madre e suo padre, Asheqa e Trad, si trovano di fronte a una nuova sfida. Devono registrare Nour presso un ufficio governativo libanese entro il suo primo compleanno, all’inizio di settembre. Un certificato di nascita è il primo e fondamentale passo per ottenere la cittadinanza siriana. Senza il documento, Nour potrebbe entrare a far parte della crescente generazione di bambini apolidi, privi cioè di qualsiasi riconoscimento legale da parte di uno stato.
Ma per un profugo che si trova in Libano anche un atto semplice come registrare la nascita di un bambino è pieno d’ostacoli.
Un trafila kafkiana
Il paese ha il numero di profughi pro capite più alto al mondo, ma non aderisce alla Convenzione sui rifugiati del 1951 e non ha autorizzato l’Onu a creare dei campi ufficiali per i siriani. Alcuni politici temono l’impatto dei profughi, perlopiù sunniti siriani, sugli equilibri confessionali del paese. Il potere in Libano è attentamente diviso tra cristiani, musulmani sciiti, musulmani sunniti e altri gruppi e le autorità hanno paura che registrando la nascita di questi bambini si possa creare un precedente che spingerebbe molti siriani a stabilirsi nel paese.
Le indagini dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati e del Consiglio norvegese per i rifugiati ipotizzano che in Libano si trovino 50mila bambini nati senza essere registrati all’anagrafe. Difficoltà simili nella registrazione dei neonati si trovano anche in Giordania, Turchia e e Iraq, dove vivono milioni di profughi siriani. Questo significa che il numero di bambini siriani che rischiano di essere apolidi potrebbe essere molto più alto.
Secondo l’Onu i bambini apolidi rischiano di essere penalizzati sul piano dei diritti fondamentali come l’istruzione e l’assistenza sanitaria, di avere difficoltà a trovare un lavoro e di essere esposti a violenze e perfino al traffico di esseri umani.
Perché a Nour sia pienamente riconosciuta la nazionalità siriana serve una trafila kafkiana, che prevede la visita di diversi uffici governativi, discussioni ai posti di blocco per arrivare a Beirut e prendere contatti con l’ambasciata siriana: una cosa, questa, che molti profughi in fuga dalla guerra civile hanno paura di fare. Il ministero degli affari sociali libanese, che si occupa della questioni dei profughi, ha affermato che le procedure richieste sono “chiare e proporzionate”.
Finché la nascita di Nour non sarà registrata saranno costretti a rimanere in esilio
I genitori di Nour, che hanno chiesto di non rivelare i loro nomi completi, sono spaventati dall’idea di cominciare un simile percorso. Non hanno nemmeno cercato di registrare la figlia, pur comprendendo le conseguenze che potrà avere un simile gesto. “Siamo spaventati per il suo futuro”, spiega sua madre Asheqa. “Temiamo che se volessimo tornare in Siria, non saremmo in grado di portarla con noi perché non ha documenti. Dov’è la prova che è nostra figlia?”.
Asheqa e Trad hanno lasciato la loro casa circa tre mesi dopo l’inizio delle rivolte contro il presidente siriano Bashar al Assad nel 2011. Come molti altri edifici di Homs, uno dei principali centri delle rivolte, la loro casa è stata ridotta in macerie dai bombardamenti. “Abbiamo saputo che la scuola accanto è stata bombardata ed è crollata sulla nostra casa”, spiega Asheqa, che ha 25 ann. “Per un po’ siamo rimasti con alcuni parenti lì vicino, ma eravamo sedici persone sotto un unico tetto, non c’era lavoro e gli scontri s’intensificavano”.
La coppia e due bambini, la figlia Rahaf, che ha oggi sette anni, e il figlio Marhaf, oggi di cinque, sono scappati in Libano, dove da allora hanno occupato una porzione di terreno agricolo vicino alla città di Baalbek. Lasciando la Siria hanno perso tutti i loro documenti d’identità, certificati matrimoniali o familiari e altri attestati che riguardassero i loro figli. “Quando la guerra finirà, vorremmo tornare. Non si può dire che, avendo perso tutto, non vediamo l’ora, ma vogliamo tornare e ricostruire”, spiega Asheqa. Tuttavia, finché la nascita di Nour non sarà registrata saranno costretti a rimanere in esilio. I bambini sprovvisti di certificato di nascita rischiano di essere separati dai loro genitori quando cercano di attraversare i confini internazionali, compreso quello con la Siria. Senza certificato, Nour non possiede alcuna prova ufficiale di legami con i suoi genitori o della sua nazionalità.
La tassa dei rifugiati
Le Nazioni Unite e il Consiglio norvegese per i rifugiati consigliano ai profughi di fare tre cose per registrare un neonato in Libano. Queste tre cose obbligano comunque i genitori a vari passaggi burocratici, ma sono le più importanti e urgenti.
Innanzi tutto, dovrebbero ottenere un atto di nascita dall’ospedale dove nasce il loro bambino oppure dall’ostetrica. Poi dovrebbero portare l’atto di nascita, i loro documenti d’identità e il certificato di matrimonio a un notaio locale, il più vicino possibile al luogo di nascita. Il notaio a quel punto scriverà un certificato di nascita, atto per il quale è richiesto normalmente un pagamento di circa venti dollari. Infine, i genitori dovrebbero registrare il certificato presso un ufficio di stato civile in Libano. Tutto ciò deve avvenire prima che il bambino compia un anno, o il processo diventa molto più caro e complicato, con tanto di processo, avvocati e test del dna.
Asheqa e Trad hanno concluso i primi due passaggi entro dieci giorni dalla nascita di Nour, lo scorso 12 settembre. Eppure, oggi, sono bloccati.
Le limitazioni imposte ai profughi siriani, compreso l’obbligo di portare con sé alcuni documenti senza i quali rischiano l’arresto, hanno reso più complicati gli spostamenti. I regolamenti in vigore obbligano i siriani che si sono registrati come rifugiati a pagare duecento dollari all’anno per il diritto di rimanere in Libano ma gli impediscono di avere un lavoro regolare. I documenti di Trad e Asheqa sono scaduti nel gennaio del 2015, proprio quando i nuovi regolamenti sono entrati in vigore. Quando le forze di sicurezza libanesi hanno fatto un blitz nel campo dove vive la famiglia, lo scorso dicembre, Trad e vari altri uomini sono stati fermato poiché non erano in grado di esibire dei documenti validi.
Trad ha dichiarato di essere stato trattenuto insieme ad altri uomini per un giorno, prima di essere rilasciato con l’obbligo di rinnovare i loro permessi di soggiorno, pena un nuovo arresto. Da allora, lui e Asheqa hanno paura di lasciare il campo. “Non osiamo avvicinarci ad alcuna autorità, neanche per registrare la nascita di Nour, se prima non abbiamo rinnovato il permesso: abbiamo paura che ci arrestino”, spiega Trad.
La famiglia di Nour potrebbe completare la trafila per registrare la figlia, ma le regole sono applicate in modo incoerente
Ma duecento dollari sono una cifra enorme per i profughi, che nel 70 per cento dei casi vivono in condizioni d’estrema povertà, secondo l’Onu. E i profughi non devono solo pagare questa quota annuale, ma hanno spesso bisogno di un garante libanese, che solitamente si fa pagare altri duecento dollari. “E quindi fanno quattrocento dollari per me, e altrettanto per mio marito, prima di poter registrare nostra figlia”, afferma Asheqa.
In Siria Trad faceva il tassista. In Libano si arrangia oppure lavora come stagionale nell’agricoltura. Ma guadagna pochissimo. “Lavoro circa un giorno su dieci e guadagno tra le diecimila e le ventimila sterline libanesi (tra i sette e i tredici dollari)”, dice. La famiglia riceve un aiuto dell’Onu di circa cento dollari al mese, appena di che comprare il pane, sostengono. Devono inoltre centinaia di dollari al proprietario di un negozio di alimentari che continua a fargli credito.
La moglie del negoziante, Amira Msheik, ha mostrato a un giornalista una lista, scritta a mano, con tutte le famiglie siriane della zona che devono soldi a suo marito Ismail: Umm Ahmed 1,2 milioni di sterline libanesi, Abu Saadoun settecentomila, Samah un milione.
La mancanza di documenti d’identità rende più difficili tutti i gesti della vita
Asheq e Trad stanno cercando di risparmiare o diprendere in prestito denaro per rinnovare il permesso di soggiorno. Ma il loro debito continua ad aumentare. Trad ha trovato lavoro a marzo. Il primo giorno si è schiacciato un dito in un incidente e ha dovuto chiedere in prestito mille dollari per coprire le sue spese ospedaliere.
Tecnicamente, anche se i loro documenti di residenza sono scaduti, Trad e Asheqa potrebbero completare il terzo passaggio e registrare Nour all’ufficio di stato civile locale. Ma, secondo le agenzie d’aiuto umanitario, la mancanza d’informazioni affidabili e l’applicazione incoerente delle regole fanno sì che ciò accada di rado.
Il Consiglio norvegese per i rifugiati sostiene che molti profughi rinunciano perché sono senza informazioni, temono le autorità o semplicemente non hanno i soldi per la registrazione. Anche l’Onu riferisce di simili difficoltà. Le agenzie d’aiuto umanitario cercano d’informare le famiglie ma hanno risorse insufficienti rispetto all’alto numero di profughi, che spesso vivono in zone difficili da raggiungere.
“È una situazione caotica”, spiega Asheqa. “Non sappiamo nemmeno a quale ufficio governativo locale dobbiamo rivolgerci. Ma a che serve, tanto? Dobbiamo ancora rinnovare il permesso di soggiorno”. Nour è una dei dieci bambini non registrati del suo piccolo campo profughi. Nei primi mesi del 2016, è nato un nuovo bambino quasi ogni due settimane. E l’insediamento è uno delle centinaia che esistono nella sola valle di Bekaa.
La zona grigia
In tutto, dal 2011, quasi settantamila bambini sono nati in Libano da famiglie di profughi siriani, secondo l’Onu. Questo numero non comprende le famiglie non registrate con le Nazioni Unite, per le quali l’agenzia per i rifugiati Unhcr non possiede stime. Un’indagine dell’Unhcr relativa a 2.500 famiglie ha mostrato, alla fine del 2015, che il 68 per cento di esse non completa il terzo passaggio, lasciando così i bambini senza registrazione. Le stime del Consiglio norvegese per i rifugiati dello scorso anno mostravano che più dell’80 per cento dei quasi ottocento profughi intervistati non avevano registrato i loro figli.
Le implicazioni di un numero così alto di siriani apolidi sono preoccupanti.
“È una cosa che ti spinge a nasconderti”, spiega Bill Van Esveld, ricercatore presso Human rights watch. “La mancanza di documenti d’identità rende più difficili tutti i gesti della vita. L’accesso a diritti fondamentali come istruzione e sanità rischia di essere precluso se ufficialmente non esisti. E così sei obbligato a vivere in una zona grigia, o perfino a essere trattato come un criminale”.
Khalifa al Mathar, un altro padre del campo profughi, è fuggito con sua moglie da Raqqa, nel nord della Siria, tre anni fa. Ha lasciato scadere la data limite in cui registrare suo figlio Hakam, che oggi ha 18 mesi. Khalifa adesso ha bisogno di trovare un avvocato, rinnovare il permesso di soggiorno e forse di fare un test del dna per dimostrare che Hakam è suo figlio. “Ho provato a registrarlo”, spiega, rompendo un pezzo di legna da ardere con una mano e tenendo suo figlio nell’altra. “Sembrava che ci fossero cinquanta modi di farlo, ma nessuno mi ha spiegato come. Ho provato perfino all’ambasciata siriana. Mi hanno detto di andare dal notaio. Il notaio mi ha detto di tornare in Siria. E alla fine ho rinunciato. In futuro potrebbero esserci problemi peggiori di quelli di oggi, e forse dovremo perfino scappare dal Libano. Con Hakam privo di documenti, non possiamo andare da nessuna parte”.
(Traduzione di Federico Ferrone)
Questo articolo è stato pubblicato dall’agenzia Reuters.