Poche professioni attirano critiche e battute come la meteorologia. A volte la presa in giro è giustificata. Secondo uno studio, tutte le volte che i meteorologi in Kansas hanno annunciato il cento per cento di possibilità di pioggia, in un terzo dei casi non ha piovuto affatto. E gli aneddoti sull’inaffidabilità delle previsioni del tempo sono moltissimi. Nel 2009 pesanti piogge hanno mitigato quella che era stata annunciata dal servizio meteo della Gran Bretagna come “un’estate da barbecue”. A gennaio dello scorso anno i meteorologi americani si sono profusi in mille scuse su Twitter per aver preannunciato una bufera di neve “devastante” e “storica” che poi non è mai arrivata. Perché i meteorologi si sbagliano così spesso?

La precisione delle previsioni del tempo dipende dal numero di occhi puntati verso il cielo. Più di undicimila stazioni di osservazione in tutto il mondo registrano ogni ora dati relativi a temperatura, pressione atmosferica, umidità, velocità e direzione del vento, precipitazioni e altre condizioni atmosferiche. Aerei, navi mercantili, palloni aerostatici e satelliti fanno la stessa cosa e trasmettono i dati alle stazioni meteorologiche a terra.

Unendo i puntini, i supercomputer generano mappe meteorologiche ed elaborano previsioni comparandole con schemi climatici simili già registrati in passato. I meteorologi interpretano le previsioni generate dai computer comparandole con diversi modelli matematici e aggiustano il tiro basandosi sul flusso di dati in tempo reale provenienti dal campo.

Le previsioni fino a cinque giorni oggi sono accurate quanto trent’anni fa lo erano quelle per i due giorni successivi

Modelli predittivi in conflitto tra loro possono condurre a risultati opposti: l’anno scorso il dipartimento indiano di meteorologia aveva previsto un periodo di siccità mentre Skymet, un servizio meteorologico privato, aveva scommesso su precipitazioni nella norma. La realtà si è attestata nel mezzo: le precipitazioni sono state inferiori alla media del 14 per cento. Un’altra cosa difficile da fare è individuare il luogo preciso di un evento meteorologico. La distanza tra aree completamente ricoperte da neve e aree dove ci sarà solo una spruzzata può essere inferiore a 48 chilometri.

Strumenti come i termometri che monitorano i segnali vitali del meteo non sono assolutamente accurati. Il numero di palloni aerostatici disponibili non è sufficiente a registrare costantemente le condizioni negli strati superiori dell’atmosfera, la zona determinante per il meteo. Anche fattori umani contribuiscono al caos. Un acquedotto in Israele, per esempio, ha modificato il paesaggio nel deserto del Negev fino a influenzare le condizioni del tempo, confondendo i meteorologi.

La scienza delle previsioni meteorologiche tuttavia sta migliorando. Le previsioni di breve periodo, fino a cinque giorni, oggi sono accurate quanto trent’anni fa lo erano quelle per i due giorni successivi. Le previsioni relative agli uragani sono accurate entro un raggio medio di 161 chilometri, a fronte dei 563 chilometri di 25 anni fa. La forza bruta dei supercomputer da svariati “petaflop” capaci di macinare un milione di miliardi di calcoli in virgola mobile al secondo ha contribuito a ridurre le congetture.

I meteorologi oggi dividono il pianeta in una griglia di blocchi bidimensionali di 13x13 chilometri per fare le loro previsioni, mentre all’inizio del novecento queste aree misuravano 338x338 chilometri. L’obiettivo sarà raggiungere la precisione di Google maps, per esempio, che “prevede” la situazione del traffico lungo la strada in tempo reale. Ma tenuto conto delle infinite variabili cosmiche, prevedere il futuro con accuratezza potrebbe continuare a essere un sogno lontano per i meteorologi.

(Traduzione di Giusy Muzzopappa)

Questo articolo di A.A.K. è uscito sul sito del settimanale britannico The Economist.

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