“Immigrazione, immigrazione, immigrazione”, gridava un titolo del Sun, un tabloid di destra, nella settimana in cui il Regno Unito ha votato per uscire dall’Unione europea. Il titolo arrivava dopo settimane di campagna elettorale nella quale i fautori dell’uscita dall’Ue assicuravano agli elettori che avrebbero “ripreso il controllo” del paese e che l’immigrazione sarebbe diminuita se il Regno Unito fosse uscito dal club. Ora che il referendum si è chiuso con una vittoria della Brexit, cosa succederà agli migranti dell’Ue che attualmente vivono nel paese e ai britannici che vivono nell’Ue?
Circa tre milioni di cittadini dell’Ue vivono nel Regno Unito, mentre sono circa 1,2 milioni i britannici che vivono nel continente. Il volume di migranti dell’Ue è andato crescendo dall’epoca dell’ultimo allargamento dell’Unione nel 2004. Lo scorso anno il saldo migratorio netto proveniente dall’Ue ha raggiunto i massimi storici, in ragione soprattutto del calo dei britannici che si sono trasferiti all’estero. Per molti si tratta di una manna: secondo le ricerche del Centre for economic performance, un centro di ricerca, i migranti dell’Ue hanno più possibilità, rispetto alla popolazione locale, di aver ricevuto un’istruzione universitaria o di avere un impiego, ed è meno probabile che richiedano sussidi pubblici.
Il destino di entrambi i gruppi dipenderà dall’accordo che il Regno Unito raggiungerà con l’Ue. Niente succederà finché (o addirittura se) l’articolo 50 del trattato di Lisbona, che dà formalmente avvio al processo di uscita dall’Unione, verrà invocato dal governo britannico. Se l’accordo comprenderà la libera circolazione delle persone, come per la Norvegia, entrambi i gruppi continuerebbero a essere trattati sostanzialmente come prima. In caso contrario, la situazione sarebbe molto complicata.
Dritti da ridiscutere
A sentire Steve Peers, professore di diritto all’Università dell’Essex, secondo il diritto dell’Ue i cittadini britannici che hanno risieduto in un altro paese dell’Unione per cinque o più anni potranno richiedere uno statuto di residente di lungo termine, obbligandoli ad apprendere la lingua del posto. Inoltre gli emigrati britannici più anziani saranno probabilmente privati della protezione pensionistica che deriva dall’appartenenza al mercato unico: le loro pensioni potrebbero essere congelate invece che agganciate all’inflazione.
Anche se la cosa potrebbe sembraresorprendente, i sostenitori dell’uscita dall’Ue avevano dichiarato prima del referendum che ai cittadini comunitari “legalmente residenti” nel Regno Unito sarebbe stato “automaticamente garantito un diritto di rimanere a tempo indeterminato”. Secondo Sarah O’Connor del Financial Times, il 71 per cento dei migranti dell’Ue ha vissuto nel Regno Unito per oltre cinque anni, il che li rende idonei a ottenere un permesso di soggiorno permanente secondo le leggi in vigore. A seconda dell’accordo che Londra riuscirà a ottenere dall’Ue, è più probabile che i futuri immigrati saranno soggetti a leggi più restrittive, o che ai familiari degli attuali immigrati dell’Ue non sia permesso di stabilirsi nel Regno Unito.
Eppure, anche qualora fossero in condizione di restare, molti potrebbero decidere di andarsene. Il 27 giugno David Cameron, il primo ministro uscente, ha condannato le scritte apparse fuori da un centro della comunità polacca di Londra e gli insulti verbali ricevuti da alcuni membri delle minoranze etniche. Anche senza nuove regole, il Regno Unito sta già diventando un luogo meno accogliente.
(Traduzione di Federico Ferrone)
Questo articolo di E.H. è uscito sul sito del settimanale britannico The Economist.
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