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La Colombia dice no all’accordo di pace tra governo e Farc

Una sostenitrice del no nel referendum sull’accordo di pace durante una manifestazione a Bogotá, il 1 ottobre del 2016. (Ariana Cubillos, Ap/Ansa)

In Colombia l’accordo di pace tra governo e guerriglia delle Forze armate rivoluzionarie della Colombia (Farc) è stato bocciato dal 50,2 per cento degli elettori che sono andati a votare al referendum. Il 49,7 per cento dei votanti ha scelto il sì. L’astensione ha superato il 60 per cento. Il risultato non era stato previsto da nessun sondaggio ed è stata una sconfitta soprattutto per il presidente Juan Manuel Santos, che ha investito molto nel processo di pace, considerato uno dei principali obiettivi politici del suo mandato. L’accordo avrebbe dovuto fermare il conflitto cominciato nel 1964, che ha provocato migliaia di morti, di desaparecidos e di sfollati. Subito dopo la vittoria del no al referendum, il governo e i leader delle Farc hanno assicurato che il cessate il fuoco rimarrà in vigore, ma il futuro dell’accordo è incerto.

Uno scarto di soli 60mila voti. Il no ha ottenuto il 50,2 per cento dei voti, contro il 49,7 per cento dei sì. Lo scarto tra i due fronti è stato di 60mila voti su 13 milioni di voti espressi. Il tasso di affluenza si è fermato al 37,2 per cento. Gli elettori dovevano rispondere sì o no all’accordo firmato il 26 settembre a Cartagena dal presidente Juan Manuel Santos e dal comandante delle Forze armate rivoluzionarie della Colombia (Farc), Rodrigo Londoño.

Un referendum non obbligatorio. Il referendum, non obbligatorio, è stato convocato da Juan Manuel Santos per dare più legittimità all’accordo. Gli ultimi sondaggi, pubblicati una settimana prima del voto, davano il sì in vantaggio con il 55 per cento o il 66 per cento. Si è votato dalle 8 alle 16 del 2 ottobre in 82mila seggi in tutto il paese e sono stati schierati 240mila poliziotti e militari per assicurare la sicurezza.

Un paese diviso. I risultati del referendum hanno fatto emergere l’estrema polarizzazione della società colombiana. Il voto ha rivelato la mancanza di solidarietà in un paese attraversato dalla guerra. I luoghi più colpiti dal conflitto, in particolare quelli lungo la costa, hanno scelto il sì, ma non sono stati sufficienti per contrastare i no espressi nelle aree urbane o nelle comunità rurali in cui da tempo il conflitto non è più presente. I territori più interni del paese hanno scelto di respingere gli accordi. La consultazione ha anche messo in luce la mancanza di leadership nella politica colombiana. Solo un partito, il Centro democratico, è riuscito a mobilitare più persone rispetto alle altre formazioni politiche. Il grande sconfitto è il presidente Santos. Pur essendo riuscito a firmare un accordo di pace con le Farc dopo 52 anni di guerra e a convocare la consultazione popolare, ha subìto una battuta d’arresto senza precedenti. “Io non mi arrendo, continuerò a cercare la pace fino all’ultimo minuto del mio mandato”, ha detto dopo l’annuncio della vittoria del no.

La vittoria dell’ex presidente Uribe. L’ex presidente Álvaro Uribe, principale sostenitore del no, ha criticato l’accordo di pace raggiunto da Santos e ha chiesto di tornare al tavolo delle trattative, anche se sia il governo sia le Farc hanno escluso che si possa tornare a negoziare. La principale obiezione mossa dall’opposizione all’accordo raggiunto a Cartagena riguarda l’amnistia concessa ai guerriglieri delle Farc.

Questo punto è stato al centro della campagna elettorale del fronte del no, che chiede di prevedere il carcere per i leader della guerriglia, di non permettere agli ex guerriglieri di ricoprire cariche politiche e di stabilire dei risarcimenti in denaro che devono essere versati dalle Farc per i crimini commessi. Anche se nell’ultimo anno i guerriglieri hanno provato ad aprirsi al mondo e a mostrare dei segnali di pace, resta nella società colombiana una diffusa diffidenza provocata da 52 anni di guerra. Prima del referendum le Farc hanno distrutto più di 600 chili di esplosivo e fornito l’inventario di tutti i loro beni e proprietà, ma questi gesti non sono stati sufficienti per convincere l’opinione pubblica a votare per il sì.

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