Perché gli studi sui contratti hanno vinto il Nobel per l’economia
Immaginate di voler aprire un chiosco di limonate insieme a un amico. Vi accordate sul fatto che lui porterà i materiali necessari (bicchieri, tavolino e così via) mentre voi preparerete la limonata. Lui si occuperà di versare la limonata mentre voi terrete d’occhio la cassa e alla fine dividerete equamente i ricavi.
Ma può sorgere un dubbio. Il vostro socio è preoccupato che voi possiate, alla fine, cercare di sgraffignare il contenuto della cassa. Decidete quindi di stilare un contratto (una pratica diffusa tra chi lavora nei chioschi di limonata) che stabilisce che i ricavi dell’attività siano divisi equamente.
Poi cominciate a preoccuparvi voi: buona parte del successo del chiosco dipende dalla qualità della limonata, sulla quale il socio non ha alcun controllo. Che succederebbe se decidesse di sfruttare la vostra genialità nel fare la limonata, lavorando di meno perché sa che, dopo tutto il sudore da voi versato per fare la limonata (non in senso letterale), la divisione dei ricavi sarà sempre di metà ciascuno? A quel punto decidete di perfezionare i termini del contratto descrivendo esattamente il modo in cui ciascuna delle due parti dovrebbe svolgere la sua parte del lavoro.
Assicurazioni ed estensione del rischio
I contratti hanno un ruolo fondamentale nel funzionamento dell’economia moderna. Stabiliscono chi ha il diritto di fare cosa con il terreno che possiede, con le persone che assume o con le canzoni che conserva nel suo smartphone. Sono alla base di quasi tutto il settore bancario e assicurativo.
Gli individui badano al loro vantaggio, ma per sfruttare le opportunità economiche le persone devono spesso collaborare e trovare dei modi per far combaciare i loro interessi con quelli degli altri (o minimizzare i conflitti d’interessi). Ed è qui che intervengono i contratti. La Banca centrale svedese ha attribuito il premio Nobel per le scienze economiche di quest’anno a Oliver Hart, un economista britannico che lavora all’università di Harvard, e a Bengt Robert Holmström, economista finlandese dell’Mit, per il loro lavoro nell’agevolare la nostra comprensione del funzionamento dei contratti e su come questi possano essere scritti per funzionare meglio.
Il loro lavoro si concentra sui trade-off presenti nei contratti, le situazioni che implicano la perdita (o il guadagno) di qualcosa per ottenere in cambio qualcos’altro. Si tratta dell’ennesimo caso, in tempi recenti, di un premio che fa emergere le inconfessabili imperfezioni di molti mercati fondamentali. Le analisi di Holmström dei contratti assicurativi descrivono gli inevitabili trade-off tra la completezza di copertura offerta da un contratto d’assicurazione e il grado di rischio morale che può essere incoraggiato da questa copertura.
Chi fa ricerca lavorerà diversamente se avrà diritto a una quota del valore della proprietà intellettuale che saprà generare
Dal punto di vista della compagnia di assicurazione, il contributo integrativo che i pazienti devono talvolta versare quando ricevono delle cure è uno spreco: sarebbe meglio che le persone pagassero per una copertura completa. Eppure, dal momento che gli assicuratori non possono sapere se tutti i pazienti ricevono solo le cure di cui hanno bisogno e nulla più, usano il contributo integrativo come strumento contro il problema dell’azzardo morale: che alcune persone decidano di usare molta più sanità di quella di cui hanno bisogno perché è la somma di tutte le polizze a pagare il conto.
Holmström ha effettuato un’analisi più approfondita del concetto di stipendio connesso alla prestazione lavorativa, laddove la qualità del lavoro non può sempre essere osservata in maniera corretta.
I suoi studi suggeriscono che i pagamenti dovuti per le prestazioni di lavoro dovrebbero essere legati il più possibile a valutazioni della prestazione aziendale (come il valore delle azioni di un’azienda rispetto a quelle delle proprie omologhe, e non il valore azionario assoluto). Tuttavia, più è difficile trovare i parametri corretti per misurare le prestazioni lavorative, più un quadro remunerativo dovrebbe avvicinarsi a un semplice salario fisso.
Chi ha il diritto di decidere?
Gli studi complementari di Hart hanno esplorato dei casi nei quali i contratti erano necessariamente incompleti, dal momento che non tutti gli esiti potevano essere specificati. In casi simili, a suo avviso, la distribuzione dei diritti di decisione diventa estremamente importante.
Nel contratto relativo al chiosco di limonata, per esempio, potrebbe mancare l’eventualità che apra un chiosco rivale dall’altro lato della strada, ma ci potrebbe essere accordo sul fatto che sarà il direttore esecutivo a decidere cosa fare in casi simili e poi attribuire a uno dei due soci l’incarico. I diritti di decisione spesso vanno a braccetto con i diritti di proprietà. Il lavoro di Hart sull’argomento ha rilevato che determinare chi possiede cosa non è importante solo per comprendere cosa potrebbe accadere in vari scenari imprevisti, ma anche nel definire degli incentivi nel lavoro quotidiano.
Chi fa ricerca, lavorerà diversamente se avrà diritto a una quota del valore della proprietà intellettuale che saprà generare rispetto a chi lavora per un’azienda che mantiene tutti i diritti sulle innovazioni prodotte.
Gli studi cofirmati da Hart hanno paragonato gli incentivi per i proprietari di prigioni pubbliche e private. Anche se nelle prigioni di proprietà dello stato è possibile che i direttori non investano abbastanza per la manutenzione e il miglioramento delle strutture, i proprietari privati sono a talmente incentivati a tagliare i costi che le condizioni dei loro detenuti sono comunque peggiori di quelle nei penitenziari pubblici. La ricerca ha alimentato il recente dibattito sulle prigioni private negli Stati Uniti.
Condividere il potere
Un importante elemento ricorrente negli studi di Hart e Holmström è il ruolo del potere in attività cooperative. Individui o aziende capaci di rimandare alcune parti dell’accordo – tenendo in sospeso i loro servizi o l’uso di una risorsa che possiedono – detengono un potere economico. Questo potere gli permette di incassare una parte maggiore del valore generato da un’iniziativa cooperativa, e potenzialmente di assorbirlo del tutto, anche se l’iniziativa nel suo complesso potrebbe generare grandi introiti per tutti i partecipanti.
I contratti esistono per condividere le relazioni di potere. In alcuni casi, sono lì per limitare l’esercizio di un potere di approfittare di una propria capacità per ostacolare un’iniziativa o per metterla a proprio esclusivo vantaggio.
In altri, i contratti servono a creare o a proteggere alcune relazioni di potere al fine d’incoraggiare un comportamento corretto: i lavoratori o le aziende che hanno diritto a uscire da una relazione, per esempio, obbligano le altre parti coinvolte a prendere in considerazione i loro interessi.
La lezione più ampia che se ne trae – ovvero che il potere ha un peso – è troppo spesso sottovalutata dall’economia. Giù il cappello di fronte al comitato del Nobel per aver attribuito un premio che sottolinea le dinamiche di potere e rivela i molti, e spesso poco apprezzati, modi in cui queste influenzano le nostre vite.
(Traduzione di Federico Ferrone)
Questo articolo è stato pubblicato dal settimanale britannico The Economist.