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In Florida Hillary Clinton deve conquistare il voto degli ispanici

Hillary Clinton prima di un comizio a Tampa, in Florida, il 6 settembre 2016. (Brendan Smialowski, Afp)

Damaris Oller è arrivata negli Stati Uniti dalla Repubblica Dominicana nel 1974, ha lavorato duro, è sempre stata in regola e ha cresciuto due figli. Ma non è diventata una cittadina statunitense – non ne vedeva l’utilità – fino allo scorso aprile. “È stato a causa di quell’uomo”, spiega nel caffè El Jibarito di Kissimmee, nella Florida centrale, dove serve dei saporiti arrosti di maiale cotti a fuoco lento accompagnati da banane verdi e fagioli. “Ho paura che se Donald Trump diventasse presidente, mi caccerebbero dal paese”.

Per Hillary Clinton, Oller è l’elettrice ispanica ideale. Spaventata e disgustata dalla promessa di Trump di espellere undici milioni di persone senza documenti, e dalla sua retorica che descrive i messicani come stupratori e la lingua spagnola come antistatunitense, sostiene che voterà per la candidata democratica, come se da questa scelta dipendesse la sua vita: “Estoy con ella” (sto con lei). In più è anche un’abitante della Florida, il che fa di lei una delle più importanti elettrici degli Stati Uniti.

Più giovane e più democratica
La Florida è il principale swing state (stato in bilico), ha diritto a 29 “grandi elettori” delegati a eleggere il presidente e avrà quindi più possibilità di qualsiasi altro stato di determinare chi vincerà le elezioni dell’8 novembre prossimo. Alternando la loro scelta tra i democratici e i repubblicani, gli abitanti della Florida sono stati determinanti nelle ultime cinque elezioni. E se Clinton riuscirà a far sì che l’affluenza tra gli ispanici – dei quali solo il 25 per cento dice di sostenere Trump – sia alta, è probabile che sceglieranno lei.

Un tempo convinti repubblicani, gli ispanici della Florida stavano già diventando a grande maggioranza democratici, mano a mano che la comunità diventava più giovane e meno dominata dai conservatori di origine cubana, anche prima delle oscenità di Trump. Nel 2012 il 60 per cento di loro ha sostenuto Barack Obama, un fatto che ha permesso al presidente di conquistare lo stato con un margine inferiore all’1 per cento. Il successivo aumento della popolazione di origine ispanica, in parte causato da un arrivo in massa di portoricani giunti qui per la crisi economica della loro isola, dovrebbe permettere a Clinton di ottenere un analogo successo.

A quel punto diventerebbe probabilmente presidente. Perché se è vero che Clinton potrebbe vincere le elezioni anche perdendo in Florida (ammesso che vinca in uno o due altri importanti swing state come la Pennsylvania e la Virginia), Trump non si può permettere una sconfitta qui. Se perde la Florida, è probabile che sia fuori dei giochi.

Qui che si scontrano il presente e il futuro dello stato, destinazione prediletta di bianchi di mezza età e di ispanici della classe lavoratrice

Da questo derivano gli immensi sforzi che Clinton sta dedicando al “sunshine state”, lo stato del sole come è chiamata la Florida. I responsabili della sua campagna hanno aperto 57 uffici nello stato, con centinaia di collaboratori, e prevedono di spendere 36,6 milioni di dollari in pubblicità televisive, soprattutto nella Florida centrale, l’epicentro della battaglia per la conquista dello stato.

È qui – oltre che lungo il densamente popolato percorso dell’autostrada interstatale che collega Tampa con Daytona Beach – che il sud dello stato, di orientamento democratico ed etnicamente variegato, incontra il nord più bianco e conservatore, e dove si decidono tradizionalmente le elezioni della Florida. Eppure, per ora, gli sforzi di Clinton stanno ottenendo dei risultati scarsi. Il mese scorso il suo vantaggio in Florida era di cinque punti. Ora lei e Trump, che in confronto ha speso poco per la sua campagna, sono alla pari.

La cosa mostra, in parte, la strana e contorta condizione della Florida. È qui che si scontrano il presente e il futuro dello stato, destinazione prediletta di bianchi di mezza età alla ricerca del sole e di ispanici della classe lavoratrice: un luogo dove i camion pick-up con la bandiera sudista ruggiscono in mezzo a quartieri ispanofoni. L’arrivo di pensionati bianchi, che molto probabilmente voteranno repubblicano, o che voteranno comunque, fa da contrappeso alla crescente popolazione ispanica e spiega in buona parte perché il passato repubblicano della Florida continui a contare molto. Tra il 2010 e il 2015 hanno preso la residenza nello stato 1,46 milioni di persone, di loro il 46 per cento aveva più di 65 anni, e la maggioranza degli ultrasessantacinquenni era bianca. Si tratta di una fetta di popolazione che dovrebbe largamente preferire Trump.

Elettori traballanti
Durante un comizio tenuto in un hangar aeroportuale di Melbourne, a sud di Daytona Beach, il 27 settembre, l’entusiasmo dei suoi sostenitori del candidato repubblicano era impressionante. Si trattava della sua prima apparizione pubblica dopo il dibattito con Clinton. In molti, nella folla, ritenevano che avesse fatto una brutta figura, ma in pochi sembravano dare alla cosa un qualche peso. “Ha commesso degli errori. Ma è successo perché non è un politico professionista, ovvero ciò di cui abbiamo bisogno”, ha dichiarato Josh, che si autodefinisce un cacciatore professionista. “È giunto il tempo di avere una persona onesta alla Casa Bianca”, ha aggiunto sua moglie Susie, una casalinga.

Quando il grande aereo di Trump, con il suo nome scritto sul dorso, è atterrato e ha cominciato ad avvicinarsi all’hangar, la folla si è avvicinata con i telefoni pronti a fare foto. Quando il loro idolo (e lui soltanto) è uscito dal ventre dell’aereo e ha scrutato la Terra, come un marziano in visita in giacca e cravatta, erano senza respiro per l’emozione. È difficile non notare la differenza con i comizi di Clinton, più raccolti e sotto tono. E non stupisce che i suoi sostenitori, in Florida e altrove, siano preoccupati.

I sondaggi prevedono che, tra i cittadini bianchi della Florida, Clinton avrà il 20 per cento di voti in meno rispetto a Trump, appena meglio di quanto fece Obama nel 2012. Inoltre, nonostante lo spauracchio Trump, Clinton raccoglie solo il 55 per cento del voto ispanico. E sta anche facendo leggermente peggio di Obama con i neri, il terzo gruppo etnico più numeroso dello stato, visto che l’attuale presidente aveva ottenuto il 95 per cento del loro voto. La maggiore chance di Clinton di ottenere la Florida è compensare questi deficit con una brillante operazione di aumento dell’affluenza. Per questo i responsabili della sua campagna si stanno impegnando per aiutare decine di migliaia di portoricani, che si sono trasferiti a Orlando e dintorni, a registrarsi nelle liste elettorali.

È un compito complicato. In un pomeriggio passato con l’equipe di registrazione di Clinton nei caffè e nei negozi portoricani di Kissimmee, l’unica a essere stata aggiunta nelle liste elettorali è stata proprio Damaris Oller. In molti storcono il naso di fronte alla campagna di Clinton. Dicono che si sta concentrando troppo sulle esternazioni di Trump sull’immigrazione, che ai portoricani, in quanto cittadini statunitensi, interessano fino a un certo punto. Potrebbe essere vero, ma di sicuro lamentarsi di una campagna a pochigiorni dal voto, è spesso il sintomo di una fiducia traballante. Sarebbe comprensibile. La corsa in Florida si annuncia ricca di suspence.

(Traduzione di Federico Ferrone)

Questo articolo è stato pubblicato sul settimanale britannico The Economist.

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