Il 19 dicembre un camion ha travolto la folla a Berlino, uccidendo 12 persone. Per le autorità tedesche si è trattato di un attentato. La polizia è ancora alla ricerca del colpevole e non tutte le vittime sono state identificate. Ecco un riassunto della situazione.
Cos’è successo?
La sera del 19 dicembre, poco dopo le 20, un tir Scania da 38 tonnellate ha travolto le persone che stavano visitando il mercatino natalizio di Breitscheidplatz, una piazza nella zona ovest di Berlino. Secondo la ricostruzione degli eventi, l’autista del camion ha investito i passanti di proposito, per ucciderli.
L’attacco è avvenuto nel quartiere di Charlottenburg, una zona frequentata da molti turisti. L’attentatore ha scelto un orario in cui sapeva che ci sarebbero state molte persone al mercatino. La dinamica ricorda quindi quella dell’attacco sul lungomare di Nizza del 14 luglio 2016.
Chi sono le vittime?
L’attentato ha causato 12 morti e 48 feriti, 18 dei quali sono ancora in gravi condizioni. Sei morti sono di nazionalità tedesca, gli altri non sono ancora stati identificati. Tra le vittime c’è un’italiana di 31 anni, Fabrizia Di Lorenzo, la cui morte è stata confermata il 22 dicembre dal ministero degli esteri.
Un polacco di 37 anni, Łukasz Urban, è stato trovato morto dentro il camion con ferite da taglio e da arma da fuoco. Urban era l’autista del tir, immatricolato in Polonia, e si trovava nella capitale tedesca per fare una consegna. Secondo gli inquirenti il veicolo è stato sequestrato e Urban ha cercato fino all’ultimo di fermare l’attentatore.
Chi è stato?
Poche ore dopo l’attentato, la polizia ha arrestato un uomo a due chilometri dalla strage, un richiedente asilo pachistano di 23 anni, che però è stato rilasciato poco dopo perché non c’erano prove del suo coinvolgimento.
In seguito gli inquirenti hanno identificato un altro sospettato, che sarebbe in fuga e per il quale è stato emesso un mandato di cattura in tutt’Europa. Si chiama Anis Amri, ha 24 anni, è nato in Tunisia e viene definito “armato e pericoloso”. La sua carta d’identità e le sue impronte digitali sono state trovate dentro il camion. La polizia ha diffuso il suo identikit e ha promesso centomila euro a chi fornirà informazioni utili ad arrestarlo.
L’uomo negli ultimi mesi avrebbe assunto sei identità differenti. Da gennaio era sotto osservazione da parte delle autorità perché potenzialmente capace di “gravi atti di violenza contro lo stato”. Anche le sue comunicazioni erano sotto controllo.
Nel 2011, secondo fonti investigative italiane, Anis Amri ha scontato quattro anni di carcere nel carcere Ucciardone di Palermo per aver appiccato un incendio in una scuola. Dopo aver scontato la condanna avrebbe dovuto essere espulso, ma la Tunisia non ha collaborato fornendo il riconoscimento ufficiale, e ad Anis Amri è stato semplicemente intimato di lasciare l’Italia.
Sarebbe arrivato in Germania nel giugno 2015, soggiornando prima nella Renania Settentrionale-Vestfalia e in seguito a Berlino. Anis Amri, secondo i giornali tedeschi, figurava in una lista delle 550 persone considerate pericolose dalle forze dell’ordine ed era sospettato di preparare un attentato. Citando una fonte vicina all’inchiesta, la Süddeutsche Zeitung ha scritto: “Ci sono molte persone pericolose nel paese, ma di pericolose come lui ce ne sono pochissime”.
A giugno Anis Amri aveva fatto richiesta d’asilo in Germania, ma la richiesta era stata respinta perché non aveva i documenti necessari. Amri, secondo la stampa tedesca, ha legami con Ahmad Abdelaziz A., noto come Abu Walaa, un predicatore arrestato a novembre per aver incitato i suoi seguaci ad andare in Siria per combattere a fianco del gruppo Stato islamico.
L’attentato è stato rivendicato?
La sera del 20 dicembre sul sito di Amaq, agenzia di stampa e organo di propaganda del gruppo Stato islamico, è comparsa una rivendicazione dell’attentato. Amaq ha definito l’aggressore di Berlino “un soldato”. Tuttavia non ci sono riscontri certi di questa rivendicazione.
Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it