Robots
Science museum, Londra, fino al 3 settembre
Sessanta teste con grandi occhi penetranti ci fissano con feroce intensità. Sembrano sfidarci, determinate a superare le nostre potenzialità. Tra le righe di questa mostra sembra emergere ripetutamente l’ipotesi di come sarebbe un mondo dominato da robot. Dopo le sessanta teste, ci troviamo davanti un bambino nudo che fluttua nello spazio. Grida, alza le braccia, sembra reattivo. Un complesso meccanismo dietro la schiena consente a questo baby androide di interagire con la realtà. La mostra ci porta indietro di cinquecento anni, alle origini della crescente ossessione dell’umanità per le forme robotiche. Leonardo da Vinci nel 1515 crea un cavaliere azionato da pulegge e un leone semovente. La chiesa nel settecento commissionava opere automatizzate, come il gruppo della crocifissione con Cristo al centro che si torce dal dolore e perde sangue. Il termine robot è usato per la prima volta nel 1920 dallo scrittore ceco Karel Čapek e il primo esemplare appare sul grande schermo nel 1927, con Metropolis di Fritz Lang. Nel 1957 l’italiano Piero Fiorito progetta un enorme umanoide azionato da 13 motori elettrici e radiocomandato, dopo un iniziale entusiasmo è stato dimenticato. Il robot Honda P2, che è stato progettato segretamente dai giapponesi e mostrato al pubblico dopo dieci anni nel 1996, attraversa una stanza e sale le scale. Una mostra ben allestita che apre prospettive e pone interrogativi sul nostro rapporto futuro con le macchine. Financial Times
Gerhard Richter, Neue Bilder
Museum Ludwig, Colonia, fino al 1 maggio
Nel giorno del suo 85o compleanno l’artista tedesco più realistico e astratto, il più famoso e forse il più quotato, conferma la sua forza. Richter, dopo una carriera piena di successi, poteva mettersi comodo e invece continua a creare opere che combinano vitalità e disciplina, dimensione lirica e pathos sensuale. Sembra aver raggiunto tutto, anche se ogni nuova mostra è la prova che non ha completato nulla, che la sua ricerca è ancora aperta. Le nuove immagini non sembrano avere un’evoluzione cronologica o una gerarchia e non si distingue un lavoro degli esordi da uno tardo. Nel fiume tranquillo del suo lavoro il pittore dimostra con forza cosa può raggiungere la pittura, pur sfuggendo a un verdetto finale. Die Welt
Una via d’uscita dallo specchio
Padiglione canadese, Biennale di Venezia, dal 13 maggio
Il punto di partenza dell’opera di Geoffrey Farmer per il padiglione canadese alla 57a Biennale di Venezia, sono due fotografie prese dall’archivio di famiglia. Rappresentano la collisione tra un treno e un camion carico di legname davanti a un passaggio a livello. In primo piano ci sono tavole sparse e più in là un ragazzo con una mela mezza mangiata e lo sguardo perso all’orizzonte. Dietro l’obiettivo c’era il nonno di Farmer, che sarebbe morto due mesi dopo quell’incidente. Il padiglione del Canada, come scontrandosi con l’opera d’arte stessa, si proietterà scenograficamente aprendosi verso l’esterno. Artnet
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