Si chiama Miriana, come una delle ragazze di Non è la Rai, una trasmissione televisiva degli anni novanta. Il nome piaceva alla madre che guardava quel programma. Ricci rossi, pelle chiarissima, un trucco impeccabile sul viso, un piccolo tatuaggio che raffigura un punto interrogativo sotto al pollice della mano sinistra. È una citazione, mi spiega quando la incontro con il suo attuale ragazzo a piazza della Repubblica, a Roma. Anche Christiane F., la protagonista di Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino, aveva lo stesso tatuaggio sulla mano. Il libro del 1978, ma soprattutto il film del 1981 sono stati molto importanti per lei. Miriana, nata nel 1998, ha una dipendenza da eroina.
Ha cominciato otto anni fa, a 19 anni, quando è scappata di casa, in parte per sfuggire alle molestie del compagno della madre e da quest’ultima, che non le credeva. Anche quando l’ascoltava, l’accusava di averlo provocato. Da ragazza ha cominciato a fumare canne con le compagne delle scuole superiori, in un paese a pochi chilometri da Roma. Una sera, in discoteca, il suo ragazzo dell’epoca le ha fatto provare la ketamina, e un’altra volta la cocaina. Lui faceva il meccanico, ma vendeva cocaina, mdma e altre droghe per fare un po’ di soldi.
Miriana, di lì a poco, non avrebbe più fatto a meno del crack, un derivato della cocaina. Quindici minuti di pura euforia, e poi subito il desiderio di fumarne ancora. Per comprarlo ha rubato l’oro in casa della nonna, imparando a farlo dal ragazzo, che le aveva insegnato anche a rivendere catenine, anelli, spille di famiglia e regali della comunione e del battesimo. Poi la fuga da casa in autobus, la fine della storia con il ragazzo e un nuovo capitolo della sua vita: la strada.
Miriana ha cominciato a spacciare a Tor Bella Monaca, vendendo cocaina dalle 8 alle 15. Uno spacciatore le aveva affidato una piazza che era stata chiusa per un po’. Settanta euro al giorno, più qualche “pezzo di roba”, dice. In quel periodo ha cominciato a fumare eroina, insieme alla ragazza che gestiva la piazza con lei, la sua migliore amica e fidanzata. “Lei prima fumava il crack come me, ma poi si fumava la roba e stava tranquilla”, racconta. “Io mi fumavo il crack e rimanevo con il pallino. Così ho cominciato anch’io a fumare eroina, per calmarmi. Solo che poi ho cominciato a farmela anche in vena, mentre lei no”.
Non avevano una casa, la notte la passavano sugli autobus. “Ci facevamo e salivamo su quello che porta da Tor Bella Monaca a piazza Venezia, dormendo fino al capolinea. Poi tornavamo a Tor Bella Monaca e la mattina riprendevamo a spacciare”, continua Miriana. Ogni tanto era costretta anche a prostituirsi per fare più soldi e comprare la droga. Era tutto quello che voleva: stare lontano da casa e avere l’eroina.

“Quando mi faccio spariscono i problemi, tutto si allontana. Basta anche solo il gesto per calmarmi. Una volta non avevo niente e mi sono iniettata dell’acqua. Solo quello mi ha tranquillizzato. È un gesto potente”, continua.
Poi una sera, a una festa a Colleferro, vicino Roma, un ragazzo, uno spacciatore, si è innamorato di lei e le ha chiesto di andare a vivere con lui. Tutto è successo nell’arco di una notte: Miriana ha lasciato la sua ragazza, abbandonandola in mezzo alla strada, ed è andata a casa sua.
Il ragazzo vendeva ogni tipo di sostanza, aveva molti soldi e precedenti penali per spaccio. Ma non voleva che lei continuasse a usare l’eroina e così l’ha costretta a smettere. “Mi dava il Rivotril, un antiepilettico con effetto calmante, tenendomi chiusa in casa per impedirmi di farmi”, racconta. Dopo qualche mese, Miriana è riuscita a smettere.
“In quel momento ero contenta di avere una casa e dei soldi. Lui mi ha regalato anche una cagnolina, Chloè. Sono riuscita a smettere con l’eroina, ma ho ripreso con la cocaina”, racconta. Quando però lui è stato arrestato di nuovo, per lei è cominciata la terza fase della sua vita: la comunità. “Vivevo per strada intorno alla stazione Termini da giorni, non ci stavo con la testa ed ero senza soldi. Ho chiamato mio padre, che non sentivo da anni, e gli ho chiesto di venirmi a prendere”, continua Miriana.
Dopo essere tornata a casa del padre per qualche giorno, è entrata in una comunità di Civitavecchia per disintossicarsi. “C’erano tre regole: non drogarsi, non innamorarsi, non litigare. Io le ho infrante tutte, e dopo sei mesi mi hanno cacciato”, racconta. Miriana è tornata al punto di partenza: a casa della madre. Dopo tanto tempo, un pomeriggio in bagno si è fatta una dose d’eroina. Uscita dal bagno si è accasciata per terra in overdose. La madre, che è un’infermiera, sapeva cosa fare. Ha preso una fiala di naloxone e gliel’ha iniettata, salvandole la vita.
“Per quattro giorni non ho sentito, visto e capito nulla. Mi svegliavo solo per vomitare. Stavo malissimo”, ricorda. È così che è cominciata la quarta fase della sua vita: l’amore per Romeo (nome di fantasia per tutelarne l’identità).
Dopo l’overdose, Miriana è tornata a vivere per strada, dove quattro anni fa lo ha incontrato. Lui le si è avvicinato una sera sui gradini di piazza Trilussa, a Trastevere, e ha cominciato a scherzare, con il suo accento del sud. Hanno parlato di musica, si sono scambiati i numeri di telefono e hanno cominciato a vedersi. Per un anno hanno vissuto insieme, pranzando alla Caritas di Colle Oppio e passando le notti a villa Borghese. Romeo non l’ha mai lasciata da sola, nonostante all’epoca stesse a casa della madre. Anche lui è un consumatore d’eroina. Ha cominciato a tredici anni a Napoli e ora ne ha 32.

Da quando si sono messi insieme, la loro vita è cambiata. Lui ha trovato un lavoro stabile e ha deciso di curare l’epatite C presa a causa della tossicodipendenza. Vivono in affitto, ma sperano di comprare un appartamento e formare una famiglia. Sono seguiti dal Servizio per le dipendenze (Serd) di Trastevere. Prendono tutti i giorni il metadone, ma un paio di volte a settimana consumano eroina.
“Ci facciamo per bisogno, non riusciamo ancora a farne a meno. Rispetto a prima però va meglio, non viviamo più per strada. Ci siamo dati una mano a vicenda”, racconta Miriana. “Da quando prendo il metadone l’effetto della roba è meno forte, ma ne ho bisogno, mi fa stare in pace”. Si droga la sera, davanti alla tv, oppure mentre ascolta la musica: “Mi addormento così”. La consuma quando è particolarmente infelice o agitata, lui quando sta bene, per stare meglio. “Siamo diversi”, sorride Miriana.
Romeo è poco più grande di lei. Cappellino di lana nero sulla testa e bomber verde militare, ha una storia complicata alle spalle. Ha cominciato a usare sostanze da piccolo, insieme a un gruppo di amici. All’epoca era facile trovarne a Napoli, e non costavano tanto. Parla con sicurezza e mostra una certa consapevolezza della sua condizione: “In passato le persone con dipendenze avevano molti più problemi. Hai presente la classica immagine del ragazzo con i denti rovinati, che commette reati e vive per strada? Noi oggi invece facciamo una vita ‘normale’, integrata. E questo grazie ai servizi di riduzione del danno. Se i Serd domani chiudessero, se si tagliassero i fondi come sta già succedendo, torneremmo tutti per strada”, racconta.
Miriana e Romeo costeggiano le cancellate costruite da poco intorno a un piccolo giardino in via delle Terme di Diocleziano, tra la stazione Termini e piazza della Repubblica. Per molto tempo Miriana ha vissuto intorno alla stazione. Veniva qui a bucarsi, come tanti altri. “Chissà dove sono finiti?”, si chiede, tornando verso casa, mano nella mano con Romeo.
La morte per overdose di Camilla Sanvoisin a Roma il 17 febbraio 2025 ha riaperto la discussione sulla diffusione dell’eroina tra i più giovani. Sanvoisin aveva 25 anni ed è stata ritrovata senza vita a casa del ragazzo. La sera prima si erano fatti una dose insieme, lui si è addormentato, lei è morta. Massimo Barra, il fondatore di Villa Maraini, il centro della Croce rossa per la cura delle dipendenze patologiche, è lapidario: “L’eroina non è mai scomparsa, anche se se ne parla di meno”.

Secondo l’ultimo rapporto Ipsad del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr), “gli oppiacei non sono affatto sulla via del tramonto”. Nel mondo i consumatori stimati sono tra i 13 e i 21 milioni. In Italia nell’ultimo anno i consumi sono stabili e riguardano circa 160mila persone, soprattutto giovani tra i 15 e i 24 anni.
Dall’ultima relazione del governo al parlamento sulle tossicodipendenze, inoltre, emerge che circa 62mila ragazzi hanno consumato oppiacei almeno una volta nella vita, 30mila nel corso del 2023 e quasi diecimila costantemente. Quasi la metà di loro li ha provati per la prima volta tra i 15 e i 17 anni, il 38 per cento a 14 anni o meno, con una crescita significativa rispetto al 2022.
Ormai, spiega Ipsad, è abbastanza comune assumere diverse sostanze psicotrope nello stesso momento. Molto spesso, per abbassare l’ipereccitazione provocata dalla cocaina o dagli stimolanti, molti ricorrono all’eroina, all’alcol o agli psicofarmaci.
“Nell’immaginario collettivo l’eroina è diventata una droga vecchia, che non si consuma più, ma è falso”, spiega Barra. “In cinquant’anni a Villa Maraini abbiamo assistito cinquantamila persone con problemi di tossicodipendenza. Se si pensa che in Italia novantamila persone assumono ogni giorno metadone, si capisce quale sia la dimensione del fenomeno”, aggiunge Barra nel suo ufficio all’interno dell’ex sanatorio per la cura della tubercolosi di via Ramazzini. Trasformato alla fine degli anni settanta nel più grande centro di Roma per l’assistenza alle persone che hanno dipendenze, ha un ambulatorio aperto 24 ore su 24, un centro diurno e uno notturno, una comunità terapeutica e due unità mobili a Tor Bella Monaca e a Termini, che offrono anche test rapidi per l’hiv e per l’epatite C. Nel 2023 all’ambulatorio di Villa Maraini si sono rivolte 1.843 persone. L’83 per cento consumava eroina. Il 26 per cento lo ha fatto la prima volta tra i 15 e i 19 anni, il 14 per cento tra i 20 e i 24 anni.
“Tanti che usano il metadone continuano anche a farsi di eroina. I ragazzi più giovani sono nella prima fase del consumo, una sorta di luna di miele, si sentono degli dei, quindi è più difficile per loro smettere o chiedere aiuto. Cerchiamo sempre di spiegarlo ai genitori, quando vengono a chiederci una mano”, spiega Barra, secondo cui il percorso alla fine del quale una persona prova a smettere, sottoponendosi a un programma di disintossicazione, di solito dura dodici anni.
Questo è uno dei motivi per cui, secondo Barra, i servizi che si occupano di dipendenze hanno a che fare spesso con adulti, mentre faticano a raggiungere i ragazzi. “Ogni giorno assistiamo circa settecento persone di età ed estrazione sociale diverse. L’eroina è trasversale”, afferma il fondatore di Villa Maraini, che parla anche di mancanza di fondi. “Nessuno vuole investire in questo tipo di servizi, perché la tossicodipendenza è ancora considerata un tabù”, conclude.
Meno morti
Anche gli operatori di Parsec, una delle associazioni storiche che si occupano di riduzione del danno a Roma, concordano sul fatto che non sia possibile fornire un profilo preciso del consumatore di eroina. Nella maggior parte dei casi si rivolgono a questo genere di servizi i consumatori adulti, perché in precedenza sono stati aiutati proprio da loro a evitare overdose o infezioni da hiv ed epatite.
“Se si è passati dai circa mille morti per overdose del 1990 ai 227 del 2024 è sicuramente grazie alla riduzione del danno e all’introduzione della terapia con il metadone”, spiega Claudio Cippitelli, fondatore di Parsec, sociologo ed esperto di fenomeni urbani, droghe, culture e consumi giovanili.
“La riduzione del danno, l’uso del metadone e l’attività delle unità di strada consentono di avere meno eventi critici, tra chi consuma sia oppiacei sia cocaina”, insiste Cippitelli.
La sede principale di Parsec, aperta nel 1993, è in un edificio popolare del Tufello, nella periferia nordest di Roma, nello stesso caseggiato in cui nel 1948 Vittorio De Sica girò Ladri di biciclette. Nel quartiere ci sono utenti che si rivolgono agli operatori dell’associazione da vent’anni, e che fanno uso di sostanze anche da quaranta, mentre le unità di strada incontrano persone molto diverse a seconda dei quartieri. Secondo Cippitelli, il contesto e le motivazioni per cui si usano le droghe è cambiato radicalmente.

“Negli anni settanta e ottanta l’eroina toccava un paese contadino che si stava affacciando alla modernità, e una generazione, quella dei baby boomer, che la usava per contestare il sistema di valori dei padri e sfuggire alle aspettative. Negli anni ottanta e novanta, l’Italia era nel pieno del benessere economico, ma non offriva ai ragazzi risposte adeguate. Insieme all’eroina, in quel periodo si sono diffuse altre sostanze, come le metanfetamine, che rispondevano alle esigenze di una società permanentemente attiva, all’idea di essere tutti imprenditori di se stessi. L’eroina, però, non è mai scomparsa del tutto, anche se la sua circolazione si è ridotta”, spiega Cippitelli.
“Ci sono epoche in cui sono più diffuse le sostanze eccitanti e quelle in cui invece si preferiscono i calmanti. Al momento gli psicofarmaci più diffusi sono quelli per dormire e dobbiamo ricordare che l’eroina è un potente analgesico, allontana il dolore”, continua Cippitelli.
Il sociologo ed esperto di sostanze Guido Blumir parlava di persone “pluritossiche”, cioè che consumano sostanze diverse contemporaneamente.
“Dagli anni novanta le persone usano le sostanze come una cornucopia: cosa mi serve? Cosa prendo? Cambiano a secondo del momento. Registriamo quindi un policonsumo: la cocaina affiancata dalla metanfetamina, a sua volta assunta con la ketamina, per poi finire con l’eroina”, spiega Cippitelli, secondo cui l’uso massiccio delle droghe risponde all’esigenza delle persone di fare i conti con una società percepita come minacciosa e in crisi. “Chi non ha altre risorse usa le sostanze come rimedio. Ma cambia anche il modo in cui le assume: l’eroina oggi si fuma, si inietta di meno in vena, né lo si fa nei bagni”.
Secondo lo psicologo, ricercatore, educatore e socio di Parsec Emanuele Perrone, uno dei problemi è la mancanza di ricerca, dovuta in parte alla battaglia ideologica sulle sostanze, che non ha permesso di avere una fotografia chiara della situazione: “In Italia non si conoscono i numeri dei consumatori né la loro situazione. Entriamo in contatto con loro solo in momenti di crisi e difficoltà, ma rispetto al passato sono più integrati nella società. Lavorano, studiano. Alcuni usano sostanze, ma non necessariamente sviluppano una dipendenza”, spiega Perrone.
Secondo Parsec, al Tufello i consumatori di eroina sono in maggioranza italiani e hanno una casa. Sono anziani, alcuni in pensione. Gli operatori dell’unità di strada incontrano invece persone che fanno uso di eroina in condizioni di marginalità, su cui pesano fattori come la casa, il lavoro, il reddito, i documenti, la famiglia, le relazioni e la salute fisica. “Al Serd di Trastevere si possono incontrare influencer, musicisti, ragazze di buona famiglia e operai. In periferia tanti immigrati”, conclude Perrone.
Una minore qualità
C’è poi un altro elemento da considerare, secondo Alessio Guidotti, consumatore di eroina, operatore e fondatore di Itanpud, l’associazione italiana di persone che fanno uso di droghe: per capire meglio la situazione andrebbe coinvolto di più chi ne fa o ne ha fatto uso, evitando stereotipi e pregiudizi.
Per questo insieme ad alcune associazioni che si occupano di riduzione del danno (come Parsec), nel 2024 Itanpud ha promosso un questionario che è stato sottoposto a un gruppo di consumatori di eroina a Roma. Dal questionario è emerso che la maggior parte preferisce iniettarsela, anche se cresce il numero di chi la fuma.
La maggioranza pensa che ci sia stato un peggioramento della qualità, in particolare dal 2021, quando i taliban hanno ripreso il potere in Afghanistan, provocando la diminuzione drastica delle esportazioni illegali di oppio da parte del suo principale produttore nel mondo.
Negli ultimi anni il prezzo è rimasto più o meno lo stesso, ma è più basso rispetto agli anni ottanta e novanta. A Roma una dose costa tra i venti e i quaranta euro. I consumatori parlano anche di effetti meno intensi: “Il 65 per cento degli intervistati ha dichiarato di avvertire la sensazione di calore tipica della sostanza, ma il 75 per cento lamenta la quasi totale assenza di euforia. Il 70 per cento dice che è assente anche la percezione di ‘spillate alla testa’”, spiega Guidotti. Questo, oltre a una qualità inferiore, fa pensare a un’eroina più diluita con altre sostanze, come il paracetamolo o la caffeina. Infine, una percentuale significativa riferisce che dopo averla presa sente una “strana pesantezza agli occhi e la sensazione di avere assunto un farmaco”.
Associazioni come Itanpud promuovono anche l’analisi delle sostanze per limitare i danni a chi le consuma. Per far fronte alla minore qualità dell’eroina, la maggior parte dei consumatori usa anche altro per potenziarne gli effetti, soprattutto psicofarmaci come la quetiapina e l’alcol.
“A Roma gli spacciatori si danno appuntamento la mattina presto intorno alle stazioni della metro o dei treni perché le persone che consumano ogni giorno la comprano prima di andare a lavorare. Poi ci sono consumatori occasionali o chi ne fa uso settimanalmente. Con il tempo è cambiata la gestione della dipendenza e del consumo”, dice Guidotti. Che sottolinea: “Un approccio proibizionista e che criminalizza le persone fa danni molto grandi, perché le spinge nell’invisibilità e lontano dai servizi”.
Senza amore
Mario (nome di fantasia) è dipendente dall’eroina da quando aveva 19 anni. Oggi ne ha 27. L’ha provata la prima volta a Berlino, in Germania, con una ragazza. Non è più tornato indietro. Ci incontriamo alla fermata della metro Gardenie, a Centocelle, periferia orientale di Roma, e mi mostra una piccola dose che sembra una gomma da masticare su della carta stagnola, poi arrotola una cannula. Accendino sotto alla carta argentata, bocca sulla cannula. Aspira. L’effetto gli dura sempre meno, così fuma diverse volte al giorno nei bagni dei bar o nei sottopassaggi della metro, conosciuti da chi consuma sostanze. Fa l’operaio, monta mobili e cucine, e va in giro per la città tutto il giorno con uno zaino pesante pieno di attrezzi. Di sera torna a casa a Fiano Romano.
Ha una sua mappa mentale della città: Flaminio, villa Borghese, Tor Bella Monaca, Centocelle, Tor Cervara. Tutti posti in cui può comprare eroina e in cui può nascondersi per fumare. In un palazzo abbandonato di Tor Cervara, nell’estrema periferia orientale di Roma, c’è un edificio abbandonato in cui decine di spacciatori vendono droghe a prezzi bassi. È un continuo via vai di persone che entrano, attraversando un tunnel sotto l’autostrada, in mezzo a quella che sembra campagna. “Dentro quel palazzo c’è di tutto, spesso chi compra si fa lì”, racconta Mario.
Le sue giornate ruotano intorno ai posti in cui può rifornirsi. Spende cento o centocinquanta euro al giorno per le dosi. Guadagna bene, ma non riesce a mettersi da parte niente. La sera, a casa, si prende due pasticche da cento grammi di quetiapina, beve una birra e prepara una dose d’eroina che fuma a letto. “Ho sempre avuto problemi gravi d’insonnia e la roba mi aiuta a dormire. Averla sul comodino mi tranquillizza”, racconta.
Capelli biondi, viso aggraziato, Mario dice di essersi sempre sentito “diverso”, fin da piccolo: “Anche nel modo di camminare, di comportarmi. In parte la vivevo male, andavo in paranoia, pensavo che tutti mi giudicassero o mi parlassero alle spalle. Ero iperattivo. Poi, però, da quando sono diventato dipendente dall’eroina non me ne frega più niente”, dice, anche se confessa di cominciare a sentire l’esigenza di disintossicarsi e di entrare in una comunità, perché pensa di vivere in funzione della sostanza.
“Quando sono fatto sono in pace, ma il problema è l’astinenza. Quando l’effetto finisce è come se avessi una bomba a orologeria addosso, un disagio fisico e mentale, un dolore che non augurerei neanche a un nemico. La voglia è irrefrenabile”, spiega. Pensa spesso ai suoi genitori: “Nessuno merita un figlio tossico”. Dice di sentirsi in colpa per le preoccupazioni che ha dato ai suoi, in particolare alla madre. Li descrive come persone affettuose, che lavoravano e hanno fatto tutto il possibile per aiutarlo.
Una delle cose che l’eroina gli ha tolto è l’amore: da quando la dipendenza è diventata più forte non riesce a innamorarsi. “Non mi affeziono a nessuno. Sento un certo distacco da tutto”, dice. C’entra anche la fiducia: “Non riesco a stare con una ragazza che non ha la mia dipendenza, perché non ci capiremmo. Ma non voglio stare neanche con una che ha il mio problema, perché non mi fido”. Per lo stesso motivo non ha molti amici: “Il problema è che ti isoli, costruisci relazioni solo con chi si fa di eroina e di quelli come noi non ci si può fidare”.
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