Nonostante le divergenze su temi come il new deal verde e la posizione nei confronti di Israele, i democratici sono uniti dall’ostilità verso il presidente Donald Trump. Nel sondaggio più recente condotto dalla Monmouth university, infatti, la maggioranza degli elettori indica come primo criterio di scelta del candidato le probabilità che possa sconfiggere il presidente in carica, relegando in secondo piano le posizioni politiche. Di sicuro, in questa fase iniziale del processo democratico per le primarie del partito, le alternative non mancano.

  • Beto O’Rourke, ex deputato del Texas

A novembre la sconfitta di Beto O’Rourke contro Ted Cruz con un margine sorprendentemente basso (appena il 2,6 per cento dei voti) ha alimentato le voci secondo cui l’ex deputato del Texas era ormai pronto per una candidatura ben più importante. Dopo una fase iniziale caratterizzata da una presenza online eccessiva e apparentemente futile (ha perfino trasmesso in diretta una conversazione sulle frontiere durante una pulizia dentale) e da diverse, misteriose visite in piccoli centri abitati degli Stati Uniti centrali, O’Rourke sembra aver ritrovato lo smalto. “Sono nato per queste sfide”, ha dichiarato a Vanity Fair, una frase che riassume perfettamente la sua campagna. O’Rourke non è il paladino di un gruppo specifico come Bernie Sanders o i Democratici socialisti e non possiede il peso politico di Elizabeth Warren, ma punta sul carisma e il contrasto generazionale.

  • Bernie Sanders, senatore del Vermont

Bernie Sanders si candida per la seconda volta alla nomination. Dopo una lunga campagna – e, secondo alcuni sostenitori, una sconfitta amara – contro Hillary Clinton nel 2016, Sanders spera che la sua strategia basata sul ruolo primario del progressismo possa avvantaggiarlo nuovamente. Questa volta, però, ci sono diversi candidati pronti a sostenere l’assistenza sanitaria per tutti, riforme economiche radicali e altre politiche “socialiste”. In mancanza di un’agenda politica capace di differenziarlo dagli altri, Sanders potrebbe dover fare ricorso a tutte le sue energie durante la campagna, e per un uomo di 71 anni non è una buona notizia. Inoltre l’accusa di aver trascurato le donne e i non bianchi durante la campagna del 2016 continua a perseguitarlo. Per questo Sanders sembra aver perso un po’ di spinta rispetto alla fine dell’ultima corsa alla nomination. Riuscirà a rimontare ancora una volta? Al momento le sue quotazioni per una vittoria finale sono interessanti, e anche secondo i sondaggi (per quel che possono valere a così grande distanza dal voto) ha buone probabilità di vittoria.

  • Amy Klobuchar, senatrice del Minnesota

La candidatura di Klobuchar potrebbe essere considerata come un’occasione per adottare un approccio basato più sull’utilità che sulla profondità politica. La senatrice del Mid-West, infatti, presenta l’ovvio vantaggio di provenire da un’area dove i democratici vorrebbero fare un balzo in avanti a novembre. Una delle principali ragioni dietro questa strategia, naturalmente, è che la conquista di tre stati della cosiddetta Rust belt (l’area a più forte depressione industriale e sociale del paese) ha permesso nel 2016 a Donald Trump di vincere le presidenziali. Ma l’attrattiva di Klobuchar non si limita ai vantaggi geografici. I liberali ameranno il suo appoggio a cause progressiste come la registrazione automatica degli elettori e il ripristino delle leggi per la protezione del clima, mentre tutti quelli che avevano scelto Trump dopo aver votato Obama adoreranno la sua battaglia contro l’avidità e l’influenza politica delle grandi aziende, oltre alla promessa di rafforzare gli aiuti per gli agricoltori in caso di calamità naturali.

  • Cory Booker, senatore del New Jersey

Alcuni elettori democratici sostengono di aver trovato un nuovo Barack Obama nel senatore del New Jersey Cory Booker, e non solo perché è giovane (per un candidato presidenziale) e nero. Booker, che ha annunciato la sua candidatura il 1 febbraio, abbina i successi ottenuti come sindaco di una città impoverita come Newark a un messaggio ottimista basato sull’unità e la fratellanza. Il senatore del New Jersey ha sposato diverse cause progressiste (sostiene l’assistenza sanitaria per tutti), ma parte della sinistra del partito gli rimprovera i legami con Wall street e l’opposizione a una legge che nel 2017 avrebbe ridotto drasticamente il prezzo dei medicinali.

  • Kamala Harris, senatrice della California

Al momento Kamala Harris è la candidata con le migliori quotazioni e si piazza al terzo posto (con scarto minimo) nei sondaggi. La senatrice della California, che ha lanciato la sua campagna alla metà di gennaio, propone una serie di riforme liberali tra cui l’assistenza sanitaria per tutti e il cosiddetto “new deal verde”. Harris riesce a sembrare più progressista di quanto in realtà non sia, un’importante risorsa politica a questo punto della contesa, e otterrebbe ottimi risultati in South Carolina, uno stato fondamentale in quanto è tra i primi a votare e presenta molti elettori afroamericani.

  • Kirsten Gillibrand, senatrice dello stato di New York

Kirsten Gillibrand è entrata nella corsa alla nomination promettendo di combattere per gli elettori allo stesso modo in cui combatte per i suoi figli. Il suo portfolio politico include l’assistenza sanitaria “come diritto e non come privilegio”, i finanziamenti per le scuole pubbliche e i corsi di formazione professionale, oltre alle proposte anticorruzione per combattere i lobbisti e gli interessi particolari a Washington. Fatta eccezione per i suoi legami con Wall street, la candidatura di Gillibrand somiglia molto a quella di Elizabeth Warren, anche se alla senatrice di New York manca il curriculum accademico di Warren.

  • Elizabeth Warren, senatrice del Massachusetts

La senatrice del Massachusetts è famosa per la promessa di rafforzare le regole sulla finanza. Nonostante la sua campagna sia stata intaccata da una vecchia disputa sulle sue presunte origini indigene, Warren sta vincendo la battaglia delle idee all’interno delle primarie democratiche. Il suo populismo economico – una combinazione tra la promessa di introdurre una tassa sulla ricchezza e il sostegno per i programmi governativi come Medicaid e Social security – è considerato dai suoi simpatizzanti la migliore strategia per riconquistare gli elettori bianchi della classe media.

La fase iniziale
A questo punto sembra già che ci sia un candidato democratico per tutti i gusti, e tra l’altro non tutti i papabili hanno annunciato la propria candidatura. Tuttavia, secondo l’analisi dell’Economist dei sondaggi sulle nomination tra il 1980 e il 2016, in questa fase iniziale solo nel 17 per cento dei casi è stato identificato il vincitore delle primarie. Nel febbraio del 2007, per esempio, Hillary Clinton aveva un vantaggio di venti punti sul giovane Barack Obama, che un anno e mezzo dopo avrebbe ottenuto la nomination in una delle lotte più serrate nella storia recente delle primarie. Sul fronte repubblicano, nel 2016 Donald Trump non aveva ancora annunciato la sua candidatura a 72 giorni dal congresso del partito.

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Ci sono altri metodi per capire quale candidato si trovi in una posizione di vantaggio. Le quotazioni delle società di scommesse, che conferiscono alle previsioni la forza del denaro, avevano già fornito pronostici attendibili per le elezioni di metà mandato del 2018. Secondo le ultime cifre pubblicate da PredictIt (sito di analisi creato dall’università neozelandese di Wellington e supportato dall’azienda di dati statunitense Aristotle), Kamala Harris ha un vantaggio significativo nei confronti degli altri candidati ufficiali. Tuttavia se si candidasse l’ex vicepresidente Joe Biden e con la sfida di Beto O’Rourke, che l’anno scorso ha ottenuto risultati inattesi in Texas, Harris potrebbe perdere terreno. Nel gioco delle presidenziali democratiche, insomma, è ancora troppo presto per stabilire chi ha le carte vincenti.

(Traduzione di Federico Ferrone)

Questo articolo è stato pubblicato dal settimanale britannico The Economist.

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