Mentre il numero dei casi e dei ricoveri in ospedale aumenta in vari paesi dell’Unione europea, l’apertura delle frontiere, interne ed esterne, alimenta le preoccupazioni degli esperti, che temono l’arrivo di una seconda ondata di contagi.

Di fronte ai segnali negativi, i governi di molti paesi non allentano ma anzi rafforzano i controlli ai confini, che rimangono spesso rigidi. Il ritorno al regolare funzionamento dello spazio Schengen, auspicato dalla Commissione di Bruxelles, non è previsto a breve.

A giugno alcuni diplomatici hanno proposto una lista di paesi extraeuropei ai cui cittadini potrebbe essere permesso l’ingresso nell’Unione, ma la situazione sanitaria in molti di questi paesi – tra cui l’Australia, l’Algeria e il Marocco – non fa ben sperare.

L’Ungheria si rifiuta di aprire le frontiere anche ai quattordici paesi extraeuropei a cui Bruxelles ha già dato il via libera. E lo stesso vale per il Belgio, che ha registrato circa diecimila morti dall’inizio della pandemia. Per entrare nel paese, i cittadini di alcuni paesi europei, tra cui la Svezia, devono sottoporsi a un test e a un periodo di quarantena.

Ma è l’Europa centrale a preoccupare di più. Dopo aver constatato un picco di casi in alcune regioni dei Balcani, paesi come l’Austria, la Croazia, l’Ungheria e la Slovenia negano l’accesso, o richiedono certificati di negatività ai cittadini di Romania, Bulgaria, Serbia e Kosovo, dove il numero dei contagi è superiore a quello dei mesi di marzo e aprile.

In Romania i contagi giornalieri sono passati dai 125 dell’inizio della pandemia ai 450 di oggi, e il primo ministro, che vorrebbe ripristinare lo stato d’emergenza, si scontra con il rifiuto dell’opposizione. Anche in Croazia il numero di contagi aumenta, ma il governo evita di sottoporre i turisti a controlli per non danneggiare ulteriormente il settore turistico.

Il 13 luglio il Portogallo, la cui economia dipende in gran parte dal turismo, è stato costretto a prolungare di due settimane le restrizioni sui movimenti all’interno di Lisbona, dove si concentra l’83 per cento dei casi rilevati negli ultimi giorni. In Spagna, con 120 focolai attivi, le autorità non nascondono le loro preoccupazioni e dieci governi regionali hanno deciso d’imporre l’uso delle mascherine anche all’esterno. Una decisione che ha fatto cadere in picchiata il numero di prenotazioni dei turisti, soprattutto tedeschi.

Le altre notizie sul virus

  • Alcuni medici francesi hanno confermato il primo caso di contaminazione intrauterina da covid-19 tra madre e feto in uno studio pubblicato il 14 luglio sulla rivista Nature Communications. Secondo Daniele De Luca, medico all’ospedale Antoine-Béclère di Clamart e principale autore dello studio, la madre può trasmettere il virus al feto attraverso la placenta durante le ultime settimane di gravidanza. Non è il primo studio sul tema, ma è il primo a fornire delle prove concrete. Realizzato su una donna di circa vent’anni, ricoverata in ospedale all’inizio di marzo e sottoposta a parto cesareo, lo studio ha rilevato una quantità elevata di virus nella placenta. Secondo De Luca, il virus è passato attraverso la placenta per immettersi nel cordone ombelicale e arrivare fino al feto. A ventiquattro ore dalla nascita, il neonato ha presentato dei sintomi gravi, come la rigidità degli arti e lesioni a livello del sistema nervoso cerebrale. I sintomi sono però scomparsi prima che i medici intervenissero. Questo genere di contaminazione è comunque molto raro, spiega De Luca. Su migliaia di casi di bambini nati da madri contaminate dal virus, non più del 2 per cento è risultato positivo al virus, mentre una percentuale ancora inferiore ha presentato sintomi gravi. La principale raccomandazione per le donne incinte è prevenire il contagio lavandosi spesso le mani e osservando il distanziamento sociale.
  • Gli Obiettivi di sviluppo sostenibile stabiliti dalle Nazioni Unite nel 2015 per il 2030 non sono più raggiungibili. La battuta d’arresto causata dalla pandemia ha rallentato ulteriormente la corsa in salita per eliminare la povertà, salvaguardare l’ambiente e garantire la salute e il benessere delle persone entro i prossimi dieci anni. Modificare gli obiettivi alla luce del nuovo stato delle cose, scrive Nature in un editoriale, è inevitabile. Nei prossimi giorni ci sarà una riunione virtuale dei rappresentanti dei governi per capire come correggere il tiro. Dei 17 obiettivi, solo due – eliminare la mortalità tra i neonati e i bambini sotto i cinque anni quando evitabile e garantire l’accesso alla scuola primaria – erano vicini al traguardo, ma la pandemia ha cambiato le cose. Secondo il rapporto delle Nazioni Unite, i programmi vaccinali infantili sono fermi in settanta paesi e la chiusura delle scuole ha costretto a casa il 90 per cento degli studenti nel mondo, circa 1,57 miliardi di ragazzi. Passi indietro anche rispetto all’obiettivo della parità di genere. I casi di violenza domestica sono aumentati ovunque durante il lockdown e dato che molte donne non hanno potuto accedere ai servizi per la salute sessuale e riproduttiva si calcola che potrebbero esserci 2,7 milioni di aborti clandestini, dunque rischiosi, in più rispetto al solito. Il Programma alimentare mondiale sta preparando la più ingente risposta umanitaria della storia per i 270 milioni di persone che soffrono la fame nel mondo. “Ricalibrare gli obiettivi non sarà facile”, conclude Nature. “Ma se la pandemia ci ha insegnato qualcosa è che i governi sono in grado di cambiare drasticamente il modo in cui pensano e agiscono. La pandemia sta alterando radicalmente le realtà economiche e sociali. E dimostra che è possibile agire in modo radicale per affrontare le questioni legate a povertà, disuguaglianza, salute, istruzione, biodiversità e clima”.
  • L’azienda statunitense Moderna ha annunciato ieri che il 27 luglio si aprirà la fase finale dei test clinici avviati per sviluppare un vaccino contro il covid-19, dopo la pubblicazione di risultati preliminari promettenti. Si tratterà di una fase determinante che coinvolgerà 30mila persone negli Stati Uniti: a metà sarà somministrata una dose di 100 microgrammi, all’altra metà un placebo. Oltre all’efficacia e alla sicurezza del vaccino, il test servirà a capire se, anche in caso di contagio, il farmaco può evitare lo sviluppo dei sintomi. E, anche se saranno riscontrati dei sintomi, il vaccino potrà essere considerato un successo se impedirà lo sviluppo di casi gravi da covid-19. Lo studio dovrebbe durare fino al 27 ottobre e, se i risultati saranno soddisfacenti, Moderna prevede una produzione fino a un miliardo di dosi all’anno.

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