In Cina si distruggono i vecchi villaggi in nome dello sviluppo
Negli ultimi trent’anni decine di milioni di agricoltori cinesi si sono trasferiti per andare a lavorare nelle città. Il risultato è che le città hanno prosperato e i villaggi si sono invece svuotati. Qui, spesso, gli anziani vivono soli con i bambini affidati alle loro cure. Le case rimangono vuote. E, vista l’assenza di allievi, molte scuole nelle zone rurali hanno chiuso, costringendo i bambini a percorrere a piedi lunghe distanze ogni giorno o a frequentare collegi statali spesso lugubri.
Molte province hanno elaborato una soluzione per questo problema, che prevede la distruzione dei vecchi villaggi per costruirne di nuovi, più grandi, per accogliere i residenti di vari insediamenti sparsi. I terreni dove si trovavano le case demolite possono quindi essere arati e coltivati: una manna per un paese che possiede un quinto della popolazione mondiale ma meno di un decimo dei terreni coltivabili del pianeta.
Molti anziani ricordano le carestie tra il 1959 e il 1961, quando Mao Zedong li costrinse in fattorie collettive nel quadro del disastroso Grande balzo in avanti. La fusione di vari villaggi sta oggi determinando un altro disastro provocato dall’uomo. Un intervento raramente letale, ma comunque in grado di provocare grandi sofferenze.
L’espansione urbana promuove la crescita economica, il che a sua volta favorisce la carriera dei funzionari
Questi esperimenti di “accorpamento dei villaggi”, portati avanti in molte zone della Cina negli ultimi vent’anni, si sono dimostrati molto problematici. I funzionari che li coordinano spesso sono mossi da avidità e dal desiderio di farsi notare dai loro superiori. Le autorità locali hanno un incentivo finanziario a distruggere gli insediamenti rurali. Creando più terre arabili possono vendere ai costruttori terreni edificabili vicini alle città, senza ridurre le riserve di aree agricole delle loro province. L’espansione urbana promuove la crescita economica, il che a sua volta favorisce la carriera dei funzionari.
E quando costruttori e funzionari pubblici sono in combutta, la corruzione prospera. Gli abitanti dei villaggi, impotenti, diventano vittime. Milioni di persone sono state cacciate dalle loro abitazioni, o lo saranno presto. A volte devono andarsene prima che siano disponibili nuovi alloggi. Anche quando lo sono, i nuovi insediamenti sono lontani dai terreni agricoli o dai principali centri urbani. I nuovi alloggi sono spesso angusti, privi degli spaziosi cortili di cui, in campagna, potevano godere anche qualcuno tra i più poveri. E se rifiutano di trasferirsi, intervengono i funzionari e i loro violenti sgherri. Nel 2015 l’abitante di un villaggio è morto ustionato, vittima delle bombe molotov lanciate nella sua abitazione (i funzionari sostengono che sia stato lui ad appiccare il fuoco), provocando sdegno in tutto il paese. Ma questo genere di orrore persiste.
Resoconti di pestaggi sono frequenti, così come i racconti di persone lasciate senza un posto dove vivere, se non tende o baracche, un destino particolarmente feroce per gli anziani.
Nel 2019 la provincia orientale dello Shandong ha lanciato un piano che prevedeva di radere al suolo alcuni villaggi, provocando le proteste degli abitanti e sdegno nella stampa di stato. Il presidente Xi Jinping sostiene da tempo che il “revival rurale” non debba passare attraverso “demolizioni ed edificazione di massa”, ma i funzionari locali hanno continuato.
Xi potrebbe fare di più per fermare questa brutalità, attribuendo agli abitanti un’effettiva voce in capitolo nella gestione dei villaggi. Il Partito comunista di cui è segretario generale sostiene di aver fatto molto per costruire una democrazia interna ai villaggi. Eppure molte persone in campagna, come nelle città, sono alla mercé dei capi di partito. Se un funzionario decide che devono andarsene, non hanno altra scelta. Xi ha peggiorato la situazione esigendo che sia il partito a prendere il controllo della situazione. La cosa dà ai funzionari tutta l’autorità di cui hanno bisogno.
Un altro problema è che gli abitanti delle zone rurali, a differenza di chi vive in città, hanno solo una vaga assicurazione del loro diritto di proprietà sul terreno dove vivono. Possono raramente venderlo a persone fuori dal villaggio o ipotecarlo. Il partito definisce le loro terre “proprietà collettive”, e per molti funzionari questo significa che possono impadronirsene quando vogliono. Agli agricoltori dovrebbe essere dato un chiaro diritto di proprietà delle loro case, che includa quello di venderle liberamente, come accade dagli anni novanta per gli abitanti delle città.
I governi locali potrebbero così acquistarle, qualora lo desiderassero, a un prezzo concordato con i proprietari. La legge dovrebbe proteggere i più deboli dai più forti armati di bulldozer, non viceversa.
(Traduzione di Federico Ferrone)