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Il superpiano di Joe Biden per rilanciare il paese 

Il presidente statunitense Joe Biden al rientro da Pittsburgh, 31 marzo 2021. (Evan Vucci, Ap/Ansa)

A volte la visione del mondo di Joe Biden sembra quella di un viaggiatore nel tempo che ha visto il futuro ma è rimasto ancorato al passato, consapevole delle minacce che verranno ma incrollabilmente nostalgico. Il 31 marzo il presidente ha presentato la prima metà del suo massiccio pacchetto infrastrutturale da duemila miliardi di dollari, in cui non mancano i classici progetti edilizi ma nemmeno le iniziative per favorire la transizione del paese verso un futuro più verde. La proposta, illustrata in un centro per la formazione in falegnameria nei pressi di Pittsburgh, evoca un passato rooseveltiano in cui la forza manifatturiera degli americani sindacalizzati sosteneva l’economia, in cui un governo risoluto guidava l’industria e creava direttamente posti di lavoro e in cui le grandi e costose infrastrutture costruite interamente negli Stati Uniti rivitalizzavano un’economia in difficoltà. “È un investimento nell’America come non se ne vedevano da decenni, da quando abbiamo costruito la rete di autostrade interstatali e abbiamo lanciato la corsa allo spazio”, ha dichiarato Biden dando un assaggio delle sue monumentali ambizioni. Ma monumentale sarà anche la sfida per far approvare dal congresso le misure proposte.

La fetta più consistente dei fondi previsti nel nuovo pacchetto, circa 621 miliardi di dollari, è destinata alle infrastrutture per i trasporti, soprattutto attraverso progetti classici in stile New deal come strade, ponti, trasporti pubblici, ferrovie e aeroporti. 174 miliardi di dollari verrebbero utilizzati per i veicoli elettrici sotto forma di sgravi fiscali: per aiutare i consumatori ad acquistarli, per incoraggiare gli stati ad allestire 500mila postazioni di caricamento pubbliche e per alimentare le catene di distribuzione interne (la Casa Bianca non apprezza il fatto che il mercato statunitense dei veicoli elettrici sia appena un terzo rispetto a quello cinese).

Almeno 100 miliardi di dollari sarebbero destinati alla modernizzazione della rete elettrica, che nell’ultimo anno si è rivelata palesemente inadeguata sia in Texas sia in California. Circa la stessa cifra verrebbe stanziata per le infrastrutture per l’acqua potabile, compresa la rimozione delle condutture di piombo che riforniscono ancora nove milioni di case. Un’altra fetta consistente dei fondi, 213 miliardi, sarebbe spesa per progetti edilizi minori e per il miglioramento della resa energetica di case, scuole, centri di formazione, asili, ospedali per veterani ed edifici federali. La cifra teoricamente assegnata alle case di riposo è molto sostanziosa (400 miliardi di dollari) e non è stato ancora specificato come sarà usata.

Con grande disappunto dell’ala sinistra democratica, Biden ha smorzato le proprie ambizioni sul clima

L’amministrazione sostiene che il 40 per cento dei profitti generati dal pacchetto andrà alle comunità svantaggiate, ma il meccanismo preciso con cui ciò dovrebbe succedere non è stato chiarito. Metà dei 40 miliardi di dollari destinati al miglioramento dei laboratori andrà alle università frequentate soprattutto da neri. E non c’è alcuna ambiguità riguardo la categoria che nei piani di Biden dovrebbe mettersi all’opera: i lavoratori sindacalizzati. “È arrivato il momento di entrare in azione”, ha dichiarato a Pittsburgh.

Diversamente dall’American Rescue Plan, il pacchetto di aiuti post covid da 1.900 miliardi approvato dal congresso, il nuovo piano scatenerà una lotta politica. I democratici conservatori, infatti, non gradiscono la prospettiva di tagliare fuori i repubblicani dal negoziato e incrementare il debito pubblico, attualmente al 130 per cento del pil.

Da questa preoccupazione deriva la decisione di incrementare le tasse alle aziende per finanziare il boom edilizio. Il piano di stimolo per l’occupazione sembra progettato per convincere i moderati indecisi, soprattutto i democratici che potrebbero silurare le ambizioni di Biden, ma anche qualche repubblicano titubante. Il pacchetto, inoltre, abbonda di fondi per progetti tradizionalmente bipartisan come l’espansione della banda larga e la formazione professionale dei lavoratori (la seconda parte delle misure sarà introdotta prima della fine di aprile e si concentrerà sulle “infrastrutture sociali”).

Con grande disappunto dell’ala sinistra democratica, Biden ha smorzato le proprie ambizioni sul clima. I 400 miliardi promessi durante la campagna elettorale per la ricerca sull’energia pulita sono diventati 180. Allo stesso modo l’aumento da 400 miliardi negli appalti federali, destinato a favorire l’innovazione basata sulle energie pulite, si è ridotto ad appena 46 miliardi. “Non è lontanamente sufficiente”, ha attaccato la parlamentare progressista Alexandria Ocasio-Cortez. “Le cifre devono essere molto più consistenti”.

Il bastone e la carota
Biden ha comunque confermato la promessa di eliminare le emissioni di CO2 nella produzione elettrica nel paese entro il 2035 e di azzerare le emissioni nette entro il 2050. Per raggiungere questi obiettivi il piano offre una serie di “carote”, come generosi investimenti e sgravi fiscali per le aziende che lavorano nel campo dell’energia pulita. Il pacchetto prevede inoltre fondi per progetti pilota in tecnologie all’avanguardia, come pale eoliche galleggianti offshore, strumenti per la cattura e stoccaggio del carbonio e sistemi di conservazione dell’energia su vasta scala (sostanzialmente enormi batterie). Ma la scelta del “bastone” potrebbe rivelarsi problematica. Anziché tassare le emissioni, temendo di pagarne le conseguenze politiche, Biden ha infatti proposto uno standard nazionale per l’energia pulita, in modo da forzare la riduzione delle emissioni attraverso una regolamentazione statale diretta.

Il problema è che le complesse regole del senato potrebbero condannare questo meccanismo. Se Biden non dovesse ottenere i dieci voti repubblicani di cui ha bisogno per scongiurare la minaccia ostruzionista, dovrà infatti fare ricorso alla reconciliation, una scorciatoia che consente di approvare alcuni provvedimenti con una maggioranza semplice (è stata usata anche per far passare il pacchetto di aiuti economici). Ma la reconciliation può essere utilizzata soltanto per provvedimenti legati al bilancio. Questo significa che Biden potrebbe approvare una tassa sulle emissioni con appena 50 voti (in quanto misura prevalentemente legata al bilancio) mentre lo standard per le energie pulite, principalmente normativo, dovrebbe essere accantonato.

Generare un sostegno bipartisan adeguato per queste misure sarà molto complicato. Biden ha promesso “una trattativa in buona fede con tutti i repubblicani che vogliano aiutare il paese”, ma molti mettono in dubbio la sua sincerità, soprattutto dopo la decisione di procedere unilateralmente sul primo pacchetto di aiuti. Convincere dieci senatori sarà ancora più arduo. Anche se gran parte della spesa sarebbe destinata a progetti tradizionali che spesso sembrano incontrare il favore dei repubblicani (e nonostante il fatto che sia già coperta), all’opposizione non piacerà il modo in cui Biden aumenterà le entrate dello stato.

Il presidente vorrebbe portare la tassazione per le aziende dall’attuale 21 per cento al 28 per cento , invertendo la rotta rispetto alla riduzione drastica operata nel 2017 da Donald Trump (all’epoca la tassazione era al 35 per cento e quello è stato l’unico grande risultato legislativo dell’ex presidente). Le imprese hanno già cominciato a protestare per il cambiamento, anche se le numerose deduzioni previste dalla normativa fiscale statunitense permetteranno di mantenere la tassazione al di sotto della soglia (e ben inferiore alla media dei paesi dell’Oecd, il 24 per cento).

Tuttavia, nel piano proposto da Biden esistono altri elementi che scontentano il settore imprenditoriale. Al momento il fisco si accanisce sui guadagni individuali generati all’estero, ma riserva una trattamento di favore alle aziende. Biden vorrebbe equilibrare la pressione fiscale sugli individui e sul capitale all’estero imponendo una tassa globale minima del 21 per cento. Il presidente vorrebbe inoltre negoziare un accordo mondiale per introdurre una tassazione minima, nel tentativo di fermare la corsa alla riduzione delle imposte per il capitale. Una tassa minima del 15 per cento sul valore contabile delle aziende colpirebbe le imprese che davanti al fisco sostengono di generare scarsi profitti ma premiano i loro azionisti.

“Wall street non ha costruito questo paese. Siete stati voi, la classe media”, ha dichiarato Biden a Pittsburgh riassumendo la sua filosofia operativa. Finora il presidente è riuscito a eseguire un trucco da prestigiatore mantenendo la reputazione di moderato mentre approvava leggi che la sinistra, poco in confidenza con l’arte della praticità, avrebbe soltanto potuto sognare. Resta da capire se il trucco funzionerà ancora a lungo.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

Questo articolo è apparso sull’Economist.

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