Il colpo di mano che rende ancora più fragile la democrazia tunisina
Il 26 luglio davanti al parlamento tunisino sono scoppiati degli scontri tra i sostenitori del partito islamico moderato Ennahdha e quelli del presidente Kais Saied. L’edificio è circondato dall’esercito dopo che la sera del 25 luglio Saied ne ha sospeso i lavori e ha sollevato dall’incarico il primo ministro, scatenando una crisi costituzionale nel bel mezzo della pandemia. L’esercito ha anche circondato la sede della presidenza del governo, impedendo l’ingresso al personale.
Al momento risulta irraggiungibile il primo ministro Hicham Mechichi, destituito in un contesto di forte rabbia popolare contro l’esecutivo e la sua gestione della crisi economica e sanitaria. Dopo una giornata di manifestazioni in diverse città del paese, il presidente Saied ha annunciato il “blocco” delle attività parlamentari per 30 giorni, autonominandosi alla guida dell’esecutivo, “con l’aiuto di un governo” di cui designerà il nuovo capo.
Ennahdha, principale partito di maggioranza, ha condannato le misure, denunciando in un comunicato “un colpo di stato contro la rivoluzione e contro la costituzione”. La decisione del presidente tunisino è stata critica dalla Turchia, alleata di Ennahdha, che ha chiesto di ristabilire la “legittimità democratica”. Ma anche dalla Germania, che ha invitato a “ritornare il più presto possibile all’ordine costituzionale” e a “rispettare le libertà civili, che sono uno dei risultati più importanti della rivoluzione tunisina” del 2011, spesso presentata come l’unica ad aver avuto successo nelle primavere arabe.
Ingresso vietato
Il presidente del parlamento e capo di Ennahdha, Rachid Ghannouchi, è rimasto parecchie ore in sit-in davanti alle porte chiuse dell’edificio, respinto dai militari. “Vogliamo entrare in parlamento, siamo i difensori della costituzione”, ha detto ai soldati la vicepresidente dell’assemblea Samira Chaouachi, ripresa in un video pubblicato dai mezzi di informazione locali. “Noi siamo i difensori della nazione”, le ha risposto uno dei militari, prima di aggiungere che stava eseguendo gli “ordini”. Queste misure, ha dichiarato Ghannouchi sul sito web ufficiale del partito, “mirano a cambiare la natura del regime politico in Tunisia e a trasformare una democrazia parlamentare in un regime presidenziale, personalistico e autoritario”.
Il presidente Saied ha dichiarato che la costituzione non lo autorizza a sciogliere il parlamento ma che in caso di “pericolo imminente” l’articolo 80 gli consente di sospenderne i lavori. L’articolo si applica per 30 giorni, trascorsi i quali spetta alla corte costituzionale decidere se prorogarne la validità. Ma dall’adozione della costituzione nel 2014, i calcoli politici dei diversi partiti hanno impedito di creare proprio questa istituzione.
Questo colpo di mano, che rende ancora più fragile la democrazia tunisina è arrivato dopo un braccio di ferro durato sei mesi tra Ghannouchi e Saied, che ha deciso di smantellare le istituzioni nazionali proprio mentre il paese affronta un aumento costante dei contagi. Con quasi 18mila morti su 12 milioni di abitanti la Tunisia ha uno dei peggiori tassi di letalità al mondo per il covid-19, e solo la settimana scorsa il primo ministro Mechichi aveva tolto l’incarico all’ennesimo ministro della salute.
Dopo il discorso di Saied, la sera del 25 migliaia di persone sono scese in strada nonostante il coprifuoco e le restrizioni sanitarie. Hanno acceso fuochi d’artificio, hanno fatto caroselli di clacson a Tunisi e in diverse altre città. Una giovane che festeggiava sventolando la bandiera tunisina ha dichiarato: “Sono decisioni coraggiose… È questo il presidente che amiamo”. “Questi stupidi festeggiano la nascita di un nuovo dittatore”, ha invece commentato un uomo sui quarant’anni.
Oltre a Ennahdha, anche i partiti di coalizione Qalb Tounes e il movimento nazionalista islamista Karama hanno condannato le decisioni del presidente, e le critiche sono arrivate anche dal partito socialdemocratico di opposizione Courant démocratique, che ha spesso sostenuto Saied in passato, e che ha comunque dato alla coalizione guidata da Ennahdha la responsabilità della tensione popolare, della crisi sociale, economica e sanitaria e della mancanza di sbocchi nel futuro.
Il sostegno a Saied è arrivato dalla piccola formazione nazionalista Chaab, secondo cui il presidente “si è assunto le sue responsabilità” per “raddrizzare il processo rivoluzionario”.