Andrea Aldana, Universocentro, Colombia
“Ci stanno prendendo di mira! Mettiti al riparo!”. “Che succede?”. “Prima fila, coprite i giornalisti!”. Tac, tac. Il rumore dei due colpi è quasi impercettibile. Mi trovavo a puente del Comercio, presso uno dei blocchi istituiti a Cali il 28 aprile, giorno dell’inizio dello sciopero nazionale. Non so che tipo di arma fosse ma l’ho sentita tuonare e ho avuto paura. Qualsiasi arma che ti spara fa paura. Quattro giorni dopo, il 2 maggio, Nicolás Guerrero è stato ucciso proprio lì. C’era una veglia, un folto gruppo di persone pregava intorno a una croce fatta di candele per ricordare i morti nelle manifestazioni: cinque ragazzi uccisi in cinque giorni di proteste. Nelle foto l’evento sembra pacifico, lo dicono anche gli abitanti del quartiere. Improvvisamente la squadra antisommossa è arrivata insieme ad altri poliziotti per liberare la strada. Nei video si vedono i gas, risuonano colpi di pistola, la gente corre, i giovani urlano, la telecamera cade, poi mette a fuoco un ragazzo a terra. Lo soccorrono e qualcuno grida: “È ferito alla testa, sta morendo dissanguato! Non sparate!”. Era Nicolás. Dopo poche ore è morto in ospedale.
L’uomo che oggi mi racconta i fatti è sconvolto. Ha una quarantina d’anni, è a volto scoperto. Gli chiedo perché continua a venire qui e, prima che risponda, vedo nei suoi occhi che lo fa per pietà. “Ho solo portato l’acqua per rinfrescare gli occhi, cibo, vestiti. È che… è colpa nostra: abbiamo emerginato questi ragazzi. Se il governo li avesse mandati a scuola, sicuramente la stragrande maggioranza di loro non commetterebbe reati. Ora vogliono fare pulizia. Non è giusto. È difficile vedere morire questi ragazzi. Oggi uno ha detto che non mangiava da giorni e che in genere se faceva colazione saltava il pranzo e la cena. Quindi vedi che la differenza di classe è brutale. Abbiamo emerginato quei ragazzi perché pensiamo che siano banditi e così sono cresciuti per strada”. “Pensi che si siano ribellati per una rabbia repressa?”, gli chiedo. “Non so se è per rabbia, penso che sia perché non hanno futuro”.
Al festival di Internazionale a Ferrara si parlerà di Colombia il 1 ottobre con Lucia Capuzzi, Arturo Wallace e, in collegamento, Carlos Manuel Álvarez e
Patricio Fernández. Introduce e modera Camilla Desideri.
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