Il tè era ad alto contenuto di caffeina, ma l’aria era tetra. Con l’avanzare della notte si sentivano a distanza i rumori dell’artiglieria. Una quindicina di soldati sahrawi si era accampata al riparo di uno dei rari boschetti nel deserto del Sahara Occidentale. I più giovani, che sembravano poco più che adolescenti, scrutavano il cielo alla ricerca di droni di sorveglianza. “La guerra è l’unica via”, ha detto uno di loro. Poco prima di mezzanotte un operatore radio ha ricevuto la notizia che le batterie marocchine stavano per aprire il fuoco. Poi è arrivata l’eco tuonante dei missili che cadevano.

Il conflitto che oppone da decenni il Marocco al Fronte Polisario, un movimento nazionalista che si batte per l’indipendenza del Sahara Occidentale, si sta di nuovo accendendo. Nell’ultimo anno il Marocco ha denunciato alle Nazioni Unite più di mille “incidenti” in cui il Polisario ha aperto il fuoco sulle sue unità, anche se il movimento sostiene di aver lanciato molti più attacchi. Gli scontri sono stati nella maggior parte dei casi scambi di colpi di artiglieria sulla linea del fronte più lunga del mondo: un muro di sabbia, o terrapieno, di 2.700 chilometri, costruito dall’esercito marocchino e disseminato di mine. Secondo i comandanti del Polisario sarebbero stati uccisi più di dieci soldati e altrettanti civili. Il Marocco nega ufficialmente una ripresa del conflitto.

Però è innegabile che la guerra colpisce tutta la regione, alimentando in particolare la rivalità tra Marocco e Algeria, che sostiene il Polisario. Il conflitto nel Sahara Occidentale ha contribuito alla decisione presa ad agosto da Algeri di interrompere le relazioni diplomatiche con Rabat. Da allora l’Algeria ha fermato le forniture di gas naturale che arrivano al regno attraverso il gasdotto tra il Maghreb e l’Europa. La decisione potrebbe ripercuotersi anche sulla Spagna, che si rifornisce dallo stesso gasdotto e si è trovata in mezzo a una crisi energetica. Nel frattempo l’amministrazione Biden è in difficoltà per la decisione presa da Donald Trump nel 2020 di violare il consenso internazionale riconoscendo la sovranità del Marocco sul Sahara Occidentale. Da decenni il destino del territorio resta in sospeso e continua a provocare problemi.

Sahara Occidentale cartina

Il Marocco e il Polisario hanno cominciato a combattere quando la potenza coloniale spagnola si è ritirata dal Sahara Occidentale e il Marocco si è annesso il territorio nel 1975. Nel 1991 le due parti hanno concordato un cessate il fuoco e l’avvio di un processo di pace sostenuto dall’Onu che doveva concludersi con un referendum sull’indipendenza del territorio. Il voto però non c’è mai stato, soprattutto a causa dell’ostruzionismo marocchino. Il regno vuole usare una vaga offerta di autonomia come base per l’avvio di nuovi negoziati. Il Polisario rifiuta l’invito e dichiara finito il cessate il fuoco. Al momento il Marocco controlla quasi l’80 per cento del Sahara Occidentale, il Polisario il resto.

Le radici dello scontro tra Rabat e Algeri sono ancora più lontane nel tempo. I due paesi si sono affrontati in un breve conflitto sul confine dopo l’indipendenza dell’Algeria dalla Francia nel 1962. Il sostegno offerto da Algeri ai movimenti rivoluzionari di tutto il mondo ha sempre innervosito la monarchia marocchina. I funzionari algerini sostengono però che il Marocco stia alimentando i disordini nel loro paese offrendo sostegno ai gruppi armati, come con gli islamisti durante la guerra civile algerina, fatto che ha spinto l’Algeria a chiudere il confine nel 1994 (chiuso ancora oggi). Quest’anno si è diffusa la notizia secondo cui il Marocco avrebbe messo sotto controllo i telefoni di alcuni funzionari algerini servendosi di un software spia. L’Algeria sostiene inoltre che il regno abbia supportato gruppi sospettati di aver dato il via a scontri a fuoco nel nord del paese e lo accusa di un bombardamento che ha ucciso tre autisti algerini lo scorso 3 novembre.

Motivazioni strategiche
Le azioni del Polisario hanno ricevuto la benedizione dell’Algeria, che dà ospitalità ai leader del gruppo e a molti profughi sahrawi. “Ci troviamo in una situazione di guerra”, afferma un diplomatico algerino. Il paese ha una tradizione di sostegno ai movimenti di guerriglia. L’Algeria ha ospitato Che Guevara, ha addestrato Nelson Mandela da giovane e ha invitato Yasser Arafat a tenere un discorso alle Nazioni Unite nel 1974, contribuendo ad accendere i riflettori sulla causa palestinese. L’anno scorso l’Algeria ha criticato il Marocco per aver stabilito relazioni diplomatiche con Israele nell’ambito di un accordo che ha compreso anche il riconoscimento da parte degli Stati Uniti del controllo marocchino sul Sahara Occidentale.

Le motivazioni dell’Algeria sono però anche strategiche. Se il Polisario controllasse il Sahara Occidentale l’Algeria avrebbe accesso all’Atlantico e a rotte più comode verso l’Africa occidentale, mentre il Marocco sarebbe accerchiato nell’angolo nordoccidentale del continente. Invece Algeri ha dovuto assistere allo sfruttamento del territorio da parte del Marocco. La parte del regno denominata Sahara Occidentale è ricca di fosfati, petrolio e diritti di pesca. Rabat ha cercato di rafforzare il controllo sul territorio offrendo ai marocchini che vi si trasferiscono sussidi molto generosi. Questa strategia potrebbe anche contribuire a influenzare il voto nel caso in cui il Marocco dovesse essere costretto a concedere un referendum sull’indipendenza del territorio.

Il regno ha speso miliardi di dollari nel tentativo di migliorare la situazione nel Sahara Occidentale. Molti edifici a El Ayun, la capitale, sembrano costruiti abbastanza di recente, compresi i consolati aperti da un numero crescente di paesi africani. La città costiera di Dakhla quarant’anni fa era paesino di pescatori. Adesso è un resort in espansione pieno di kite surfer. È in costruzione un grande porto destinato a servire l’Africa occidentale. I furgoni percorrono su e giù la strada costiera che collega il Sahara Occidentale – e quindi il Marocco – al resto della regione. A innescare gli scontri attuali ha contribuito il dispiegamento di truppe da parte del regno per sgomberare la strada dai manifestanti in una zona cuscinetto pattugliata dalle Nazioni Unite.

In generale l’influenza del Marocco in Africa continua a crescere, mentre quella algerina diminuisce

Il Marocco è da tempo uno snodo manifatturiero a basso costo per le aziende europee. Di recente ha cercato di coltivare alleanze e legami commerciali con l’Africa subsahariana. Dopo aver boicottato l’Unione africana (Ua) per 32 anni perché aveva incluso il Sahara Occidentale, nel 2017 il Marocco è rientrato nell’organismo. Il re, Mohammed VI, ha aperto decine di nuove ambasciate e consolati nel continente. La maggior parte degli investimenti marocchini è diretta verso l’Africa subsahariana. Tutto questo ha portato dei risultati: ora meno della metà dei membri dell’Ua riconosce il Sahara Occidentale. In generale l’influenza del Marocco in Africa continua a crescere, mentre quella algerina diminuisce. Quando, all’inizio di quest’anno, due autisti marocchini sono stati uccisi mentre attraversavano il Sahara, la colpa è stata data ai jihadisti. I diplomatici occidentali sospettano però che l’Algeria abbia avuto un ruolo nella vicenda, nel tentativo di ostacolare l’espansione del Marocco verso sud.

Pesca e migranti
La situazione nel Sahara Occidentale complica le relazioni estere del Marocco in altri contesti. A settembre il tribunale generale dell’Unione europea ha annullato gli accordi di pesca e agricoltura tra Bruxelles e Rabat perché includevano anche questo territorio (si attende ancora l’esito del ricorso contro la decisione). All’inizio dell’anno il regno ha consentito a migliaia di migranti di arrivare a Ceuta, un’enclave spagnola, perché la Spagna aveva accolto Brahim Ghali, il leader del Polisario, che aveva bisogno di cure contro il covid-19. Il Marocco si è poi scontrato con la Germania per il suo “atteggiamento negativo” nei confronti del Sahara Occidentale.

A ottobre il Consiglio di sicurezza dell’Onu ha prolungato la Minurso, la missione di mantenimento della pace delle Nazioni Unite nel Sahara Occidentale, e ha chiesto la ripresa dei negoziati. È stato nominato un nuovo inviato dell’Onu per il territorio, Staffan de Mistura. La posizione degli Stati Uniti però sta creando confusione. Nella risoluzione che ha prolungato la Minurso si chiede “l’autodeterminazione del popolo del Sahara Occidentale”, una frase aggiunta dagli Stati Uniti, a quanto pare su richiesta della Russia. Questo sembrerebbe in contraddizione con la posizione ufficiale statunitense che invece riconosce il controllo del Marocco sulla regione. Il presidente Joe Biden deve ancora dire apertamente se confermerà questa posizione che, secondo i critici, rischia di stabilire un pericoloso precedente.

Incanalare la rabbia
I leader del Polisario, che hanno la loro base nei campi profughi vicini alla città algerina di Tindouf, dichiarano che le manovre del Marocco non gli hanno lasciato altra scelta che interrompere il cessate il fuoco. Ma erano sotto pressione anche sul fronte interno. I 173mila profughi sahrawi in Algeria sono sempre più irrequieti. Raccontano che a Tindouf non piove da anni e che le loro greggi sono state colpite da malattie. Gli aiuti internazionali sono crollati. Eppure l’Algeria sembra intenzionata a trattenere i sahrawi nei campi perché non abbandonino la lotta. Il Polisario teme che la frustrazione possa esplodere o condurre alla radicalizzazione. “La situazione è simile a un vulcano che potrebbe eruttare”, afferma un giornalista sahrawi.

I combattimenti hanno fatto guadagnare tempo ai leader, ma ora i giovani sahrawi vogliono un’intensificazione dello scontro. “Non sentono ancora di essere davvero in guerra”, dice Bachir Mustapha, un consulente di
Ghali. Malainin Lakhal, un diplomatico sahrawi, è d’accordo. I giovani sahrawi “vogliono gli attacchi”, afferma. “Vogliono prigionieri. Vogliono vedere grandi operazioni, come negli anni settanta e ottanta”. Molti si sono iscritti a corsi di addestramento militare. I sahrawi che vivono all’estero hanno compiuto durissimi tragitti di dieci giorni attraverso il deserto della Mauritania per unirsi alle forze sahrawi e aggirare le restrizioni agli spostamenti imposte dall’Algeria a causa della pandemia.

Per la prima volta da anni la guerra ha gonfiato le vele del Polisario. Ma non è chiaro però cosa accadrà a questo punto. Mustapha promette una “seconda fase” degli scontri. “Tutti i leader sono a favore”, afferma. La capacità militare del Polisario però si è ridotta durante il cessate il fuoco e non è nemmeno lontanamente paragonabile a quella del Marocco. È normale vedere ufficiali sahrawi che hanno superato i settant’anni comandare soldati di vent’anni. Il sostegno dell’Algeria sarebbe essenziale se le cose dovessero mettersi davvero male. Il Polisario spera che l’Algeria veda nella guerra una possibilità per dare nuova vita alla sua altalenante politica estera.

Alcuni nel Polisario vogliono perseguire altre tattiche, proponendo per esempio di attaccare spingendosi di più all’interno del territorio occupato dal Marocco. È “molto più che una possibilità”, afferma Mohamed Wali Akeik, recentemente nominato capo di stato maggiore dell’esercito sahrawi. “Le aziende e i consolati, le compagnie aeree e altri settori” sono tutti potenziali bersagli. Potrebbero essere solo spacconate. Al Polisario piace rivendicare la propria capacità di minare il morale dei marocchini con i suoi fuochi d’artiglieria e i suoi raid. Spera che un’intensificazione degli scontri possa creare problemi al Marocco al punto da indurlo a fare delle concessioni.

Le truppe marocchine però si stanno trincerando lungo la linea del fronte. I suoi droni di sorveglianza pattugliano i cieli del Sahara Occidentale. A settembre Rabat ha ricevuto un primo lotto di droni da combattimento turchi. Nel 2020 la spesa militare del Marocco è aumentata del 29 per cento. L’Algeria teme che il Marocco possa collaborare con Israele per imporre il suo volere nella regione. I funzionari marocchini sostengono la causa dei separatisti berberi dell’Algeria e suggeriscono ai loro generali di tornare nelle caserme. L’Algeria dal canto suo ha trasferito delle truppe sul confine. Secondo i diplomatici sta lavorando con il gruppo Wagner, una controversa azienda di mercenari russa.

Le possibilità che il Polisario realizzi il suo sogno di un Sahara Occidentale indipendente sono poche. Alcuni osservatori ritengono che in fondo è meglio così. Senza il sostegno del Marocco uno stato sahrawi indipendente potrebbe avere molte difficoltà. Riceverebbe l’aiuto dell’Algeria, che è più ricca del Marocco grazie ai suoi abbondanti giacimenti di idrocarburi. Tuttavia anche l’Algeria sta attraversando una fase turbolenta. I tentativi di rendere l’economia indipendente dal petrolio sono falliti. Nel 2019 grandi proteste hanno indotto il presidente alle dimissioni. L’opinione pubblica considera però il nuovo presidente un burattino nelle mani dell’esercito. Lo stato sta facendo di tutto per sopprimere i gruppi associati al movimento per la democrazia hirak.

Il Marocco è più preparato al futuro. Ha le maggiori fabbriche di automobili e aerei del continente e i treni più veloci. Più del 60 per cento della popolazione ha ricevuto una seconda dose di vaccino contro il covid-19, contro il 10 per cento degli algerini. Più di un terzo dell’energia del paese viene da fonti rinnovabili. E tuttavia i sahrawi in territorio marocchino hanno molti motivi per non essere felici. Chi parla dell’indipendenza denuncia l’impossibilità di trovare lavoro. La polizia dà la caccia agli attivisti. E all’offerta di autonomia del Marocco i sahrawi rispondono puntando il dito contro la monarchia repressiva. Non saremmo certo come la Scozia nel Regno Unito, osservano.

Naturalmente le cose vanno peggio dall’altra parte del terrapieno, dove molti sahrawi hanno trascorso tutta la vita in accampamenti polverosi. Alcuni si sono uniti al movimento dell’hirak e mettono in dubbio la classe dirigente del Polisario. Ghali ha 72 anni, ma i vecchi capi del Polisario non sembrano propensi a lasciare il posto a una nuova generazione. Almeno per il momento le loro attenzioni sono tutte concentrate sulla guerra. Nessuno ha fiducia nel fatto che le Nazioni Unite riescano a giungere a una pace giusta. Nel campo profughi di Boujdour una giovane sahrawi dichiara che rinnovare il cessate il fuoco è fuori discussione: “Non lo permetteremo mai”. Stessa aria si respira sulla linea del fronte, dove un combattente di nome Omar è armato e pronto. “Se in futuro ci saranno dei negoziati, sarà al suono dei fucili”, afferma.

(Traduzione di Giusy Muzzopappa)

Questo articolo è uscito sul settimanale britannico The Economist.

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