La Cina intrappolata dalle sue rigidità nella lotta al covid
A più di due anni da quando è stato individuato per la prima volta un ceppo letale di coronavirus nella città di Wuhan, nella Cina centrale, il paese è ancora bloccato in una crisi provocata dal covid. Si pensa che in tutto il paese siano circa 400 milioni le persone attualmente sottoposte a un qualche tipo di lockdown. Shanghai, una delle città più grandi della Cina, è paralizzata da quasi due mesi e molti dei suoi abitanti sono ingabbiati da recinzioni di metallo innalzate in fretta e furia. Pechino sta facendo di tutto per evitare un destino simile.
La straordinaria storia della lotta contro il covid-19 in Cina, sempre più disperata, è un misto di tracotanza per i successi conseguiti all’inizio e d’incapacità di vaccinare la popolazione più anziana, ed è alimentata da un sentimento anti-occidentale montato nel paese negli ultimi cinque anni. Il risultato è che ora il governo si trova davanti a un dilemma: affrontare l’alto numero di morti e il sovraccarico del sistema sanitario che seguirebbero al dilagare del virus o i costi sociali ed economici sempre più elevati provocati da lockdown prolungati e ordinanze restrittive in tutto il paese.
Risolvere questo dilemma e trovare una via d’uscita dalla pandemia è più difficile anche perché l’onerosa strategia “zero covid” è strettamente associata al presidente Xi Jinping. Al congresso quinquennale del Partito comunista cinese che si terrà in autunno, Xi cercherà la nomina a un terzo mandato da segretario generale. L’ultima cosa che gli serve è un virus dilagante e tassi di mortalità elevatissimi che potrebbero macchiare la sua reputazione e indebolire le dichiarazioni sue e del partito sulla superiorità della Cina nella gestione della pandemia.
Come ha fatto Pechino ad arrivare a questo punto? E cosa può fare per risolvere una crisi che minaccia la salute e la sicurezza non solo del suo popolo, ma anche della seconda economia più grande del mondo, oltre che di tutti quei paesi che dipendono dalla sua estesa catena di distribuzione? Allo Scottish Centre for China Research dell’università di Glasgow abbiamo seguito la spericolata strategia del governo cinese contro il covid e gli impatti delle misure di contenimento fin da quando il virus è arrivato in Europa all’inizio del 2020. Di seguito la nostra analisi della crisi del covid in Cina, nel presente, nel passato e nel futuro, realizzata combinando notizie fornite da ricercatori sul campo con l’esame di documenti politici e sfoghi sui social network.
Il giorno della marmotta
“Ogni giorno mi sveglio e mi ritrovo al primo di un ciclo di 14 giorni”. È il titolo del post di un blog pubblicato su Wechat (e poi cancellato) da Wei Zhou, un noto giornalista che vive a Shanghai. La città che condivide con più di 26 milioni di persone è da più di un mese sottoposta a un rigidissimo lockdown. Il titolo del post di Wei Zhou fa riferimento alla norma secondo cui il lockdown di 14 giorni previsto per ogni complesso residenziale dev’essere azzerato ogni volta che qualcuno risulta positivo a un tampone. Il risultato è che gli abitanti si ritrovano in un mondo di assurdità kafkiana, potenzialmente esposti alla collera dei vicini se positivi al virus e incerti su cosa potrà accadere in futuro.
Mentre gli abitanti di Shanghai vivono ogni giorno come se fosse il giorno della marmotta, la classe dirigente del partito comunista si starà chiedendo come può la Cina salvarsi da questa pandemia e dal dilemma che ha creato. In un disperato tentativo di evitare il caos socioeconomico e il danno politico visti a Shanghai, all’inizio di maggio a Pechino sono stati avviati dei test a tappeto in otto fasi dopo la rilevazione di un focolaio di casi. È stato riaperto un centro di isolamento di massa, è stato vietato di mangiare in tutti i ristoranti e sono stati chiusi gli asili, le scuole e le università almeno fino all’11 maggio. La situazione è in rapida evoluzione: a tutti i 6,6 milioni di abitanti dei quartieri di Chaoyang e Haidian è appena stato ordinato di restare a casa, tre linee della metropolitana sono state sospese e altre sei sono state parzialmente chiuse.
Mentre si incaponivano sugli sforzi per contenere la variante omicron, le autorità cinesi hanno fatto di tutto per minimizzarle
Nel frattempo a Shanghai, le cui strade restano tristemente vuote nonostante il crollo dei contagi, il futuro è incerto (ma le autorità prevedono un ritorno alla normalità entro la fine di giugno). Da quando si sono registrati i primi casi a marzo, gli abitanti sono stati sottoposti a una serie di provvedimenti che dimostrano come la linea adottata di fronte a nuove ondate di contagi sia ancora in evoluzione.
Dopo aver chiuso Shanghai, tagliando i collegamenti da e verso la città, sono stati fatti test di massa sull’intera popolazione, dividendo la città in due e impedendo i movimenti tra una zona e l’altra. Poi sono state introdotte misure di prevenzione e controllo dividendo la città in tre tipi di zone: le zone di controllo sigillate, soggette al confinamento in casa, le zone di controllo gestite, in cui è consentita una limitata mobilità locale, e le zone di precauzione, in cui dovrebbero essere in vigore meno restrizioni.
In teoria questo approccio avrebbe dovuto evitare un lockdown esteso a tutta la città grazie a provvedimenti localizzati. In pratica, vista l’attuazione molto severa delle regole, il risultato è stato l’opposto. Nonostante da metà aprile il tasso di infezioni sia in calo costante, anche gli abitanti delle zone di precauzione hanno ancora bisogno di un permesso per muoversi in città. Agli studenti universitari di Shanghai è stato detto che le loro lezioni continueranno online almeno fino a fine giugno.
Eufemismi e distrazioni
Mentre si incaponivano sugli sforzi per contenere la variante omicron, le autorità cinesi hanno fatto di tutto per minimizzarle. I governi locali a volte usano espressioni eufemistiche per evitare di dire apertamente che stanno disponendo lockdown estesi a tutta la città. La politica delle tre zone ne è un esempio. Se però da un lato crea una grande confusione negli abitanti, al punto che adesso Tencent e altre aziende online offrono mappe in tempo reale delle restrizioni nei diversi quartieri e centri urbani, dall’altro offre una qualche speranza di arrivare a una situazione con meno restrizioni. Così facendo potrebbe distogliere l’attenzione degli abitanti dalle critiche al governo e dirottarla sul numero di casi nei loro quartieri.
Il lockdown di Shanghai è finito sui giornali di tutto il mondo, ma non è certo l’unico. È difficile ottenere dati affidabili sulla portata delle restrizioni agli spostamenti e le ordinanze di confinamento nel resto del paese, ma si stima che potrebbero essere tra le 45 e le 87 le città della Cina, dal nordest al sudovest del paese, attualmente sottoposte a una qualche forma di lockdown. Anche prima dei lockdown imposti il 4 maggio a Pechino e a Zhengzhou, capitale della provincia dell’Henan, si stimava che le persone interessate da provvedimenti di questo tipo fossero 375 milioni.
Le autostrade e le aree di sosta sono state chiuse con pochissimo preavviso e molti autisti sono rimasti intrappolati nei loro camion
I provvedimenti cominciano a interessare anche le zone rurali meno densamente popolate. Gli agricoltori di alcune aree nordorientali del paese richiedono dei “certificati per la semina primaverile” per poter lavorare nei loro campi. Almeno un agricoltore è finito in carcere per aver violato le restrizioni ed essere andato, da solo, a lavorare nel suo campo.
Costi sociali ed economici sempre più alti
Per alcuni cittadini cinesi i costi sociali dei rigidi provvedimenti disposti dalle autorità sono stati molto alti, e in alcuni casi letali. Le ordinanze di confinamento sono state applicate in modo molto rigido da funzionari sotto pressione per impedire la diffusione del virus e abbiamo visto circolare sui social network molte notizie di fattorini confinati all’interno di complessi residenziali, negozianti tornati a casa a cui è stato impedito di entrare nei loro appartamenti e bambini anche di due anni separati dai genitori e costretti a quarantene in centri d’isolamento. Le autostrade e le aree di sosta nei dintorni di Shanghai sono state chiuse con pochissimo preavviso e molti autisti sono rimasti intrappolati nei loro camion. Uno di loro ha trascorso due settimane sulla strada tra Chongqing e Shanghai, un tragitto che avrebbe dovuto richiedere solo due giorni.
In alcune parti di Shanghai gli abitanti hanno sofferto per la carenza di cibo. Altri non hanno potuto ricevere cure ospedaliere perché non sono riusciti ad avere i permessi necessari nel caso di malattie croniche o terminali. Una donna di 98 anni è morta in attesa del risultato di un tampone per poter ricevere le terapie per la sua insufficienza renale cronica, e un anziano è morto perché non ha potuto sottoporsi alla regolare dialisi. In un post su un blog poi cancellato, il dottor Miu Xiaohui, esperto di malattie infettive in pensione, ha stimato che in un mese di lockdown a Shanghai solo per il diabete sono morte 2.141 persone in più rispetto alla media.
Sui social network cinesi si è parlato anche di suicidi, problemi di salute mentale e altri problemi sociali. Il 5 maggio a Shanghai una giornalista sarebbe precipitata da un edificio dopo aver finito i suoi antidepressivi e il 13 aprile un funzionario locale della sanità si sarebbe tolto la vita mentre era al lavoro. Nel frattempo, nelle città cinesi sottoposte a lockdown si riferiscono incrementi dei casi di violenza domestica. Il 5 maggio l’ong Orange umbrella, che si batte contro la violenza di genere, ha pubblicato tre post con il titolo “Una guida per chiedere aiuto durante il il lockdown”.
Poi ci sono i costi economici. A Shanghai le attività manifatturiere sospese possono riprendere solo se le aziende s’impegnano a introdurre una “gestione a circuito chiuso”, un sistema usato durante le recenti Olimpiadi invernali di Pechino che crea un ambiente sigillato in cui il virus, in teoria, non può entrare. I dipendenti devono restare sempre in azienda, e questo, in assenza di strutture per dormire, crea delle difficoltà. I problemi di produzione, aggravati dalle difficoltà di trasportare le merci a causa delle restrizioni sugli spostamenti, stanno bloccando le catene di distribuzione nell’area di Shanghai, con effetti a catena su quelle globali.
In Cina la domanda dei consumatori è in calo, e questo ha un effetto negativo sui mercati finanziari, indebolendo il renminbi, la valuta cinese. Il Fondo monetario internazionale ha rivisto al ribasso le previsioni di crescita della Cina per il 2022, dal 5,5 per cento dello scorso ottobre al 4,4 per cento di aprile. Alcune banche di investimento sono ancora meno ottimiste.
Ci sono più di 70mila aziende con investimenti stranieri nella sola Shanghai. Secondo un sondaggio della camera di commercio dell’Unione europea in Cina, il 65 per cento delle attività di logistica e immagazzinamento delle aziende europee che hanno risposto e il 53 per cento delle loro catene di distribuzione sono state danneggiate “in modo significativo” dalla strategia zero covid messa in campo dalla Cina. Le catene di distribuzione si sono deteriorate. Il 23 per cento delle aziende che hanno risposto sta valutando di spostare fuori dalla Cina gli investimenti presenti o pianificati. È più del doppio rispetto all’inizio del 2022, la più alta nell’ultimo decennio.
Frustrazione, critiche e censura
Le autorità cinesi stanno riscontrando un aumento del malcontento e delle critiche espresse online rispetto a qualsiasi altra fase della pandemia. A Shanghai in particolare alcuni abitanti stremati si sono scontrati con funzionari locali per strada e si sono rifiutati di sottoporsi a tampone o recarsi nelle strutture di isolamento. Un blog chiamato “La resistenza di Shanghai è arrivata al culmine”, pubblicato dall’autore anonimo Ordinary shanghainese (cittadino comune di Shanghai), ha avuto più di venti milioni di visite.
Il governo mantiene con ostinazione la sua strategia di azzeramento dinamico del covid e la zelante attuazione delle misure da parte dei funzionari locali ha provocato un’ondata di sdegno e la sensazione diffusa che le misure siano più dannose del virus stesso. A Shanghai, per esempio, è esplosa la rabbia quando i funzionari locali sono finiti sotto i riflettori per aver cercato di sigillare le porte d’ingresso delle case con l’obiettivo di costringere gli abitanti a restare nei loro appartamenti. Anche se confinati, i cittadini cinesi possono comunque condividere esperienze e frustrazioni online tramite WeChat, TikTok e il sito di microblogging Sina Weibo. Nonostante gli sforzi del governo per censurare questi contenuti, i nostri ricercatori ne hanno rilevato alcuni prima che fossero rimossi. Alcuni riescono a raggiungere un pubblico internazionale, in particolare attraverso Twitter.
Se il virus dovesse diffondersi incontrollato, i danni per Xi potrebbero essere molto alti in un anno per lui importante dal punto di vista politico
Le notizie e le opinioni postate in rete dai residenti si mescolano a quelle di ricercatori medici, funzionari locali e volontari della lotta al covid. Queste storie personali e familiari demistificano e a volte sfidano la versione ufficiale sullo stato della pandemia che continua a dominare in tv, alla radio e sugli account social legati allo stato. A causa del divario digitale generazionale, in Cina gli anziani, che s’informano tramite i mezzi tradizionali, sono di solito molto meno critici.
Pressioni ancora più forti
Nonostante qualche tentativo di mettere in discussione questa gestione della pandemia, il governo cinese resta irremovibile. Ma perché? In primo luogo, una diffusione incontrollata del covid insieme ai bassi tassi di vaccinazione tra gli anziani potrebbe causare un sovraffollamento degli ospedali e tassi di mortalità molto alti, come è accaduto di recente a Hong Kong.
Il dilemma che le autorità cinesi si trovano a dover affrontare ha però anche una dimensione politica. Il presidente Xi ha difeso personalmente l’approccio della tolleranza zero, a cui è strettamente associato. Pare abbia detto al direttore generale dell’Organizzazione mondiale della sanità Tedros Adhanom Ghebreyesus che sta “guidando personalmente” la risposta all’emergenza.
Se il virus dovesse diffondersi incontrollato, i danni per Xi potrebbero essere molto alti in un anno per lui molto importante dal punto di vista politico. Il ventesimo congresso del Partito comunista cinese si terrà in autunno e una diffusione devastante del virus potrebbe indebolire le possibilità di un nuovo mandato per Xi. Questo significa che i funzionari locali subiscono pressioni ancora più forti per prevenire e contenere i contagi, e i risultati di questi eccessi sono sotto gli occhi di tutti. In alcuni casi hanno imposto test di massa e misure di confinamento anche quando i contagi registrati erano molto pochi, per esempio a Baotou dopo due casi, a Baoding dopo quattro casi e a Shaoyang, nella provincia di Hunan, dopo un solo caso. Le autorità cittadine di Qian’an, nella provincia di Hebei, hanno chiesto ai residenti di consegnare le chiavi di casa per impedire loro di uscire.
Oggi appare evidente che la tracotanza mostrata dopo i successi nel contenere il covid nel 2020 e nel 2021 ha indotto la classe dirigente cinese a sottovalutare l’importanza di vaccinare le fasce più vulnerabili della popolazione. A causa della retorica nazionalista sulla pandemia, inoltre, ci si è affidati solo a vaccini prodotti in Cina. Come se non bastasse, le autorità hanno cercato di vaccinare prima gli operatori sanitari e altri lavoratori in prima linea invece della fascia più anziana della popolazione. Questo aveva senso nel 2020, quando i tassi di contagio in tutto il paese erano molto bassi. Quando però la campagna vaccinale ha preso piede su tutto il territorio nazionale, lo sforzo di raggiungere i più anziani è stato insufficiente. Se quindi i livelli complessivi di vaccinazione sembrano alti, attestandosi intorno all’86 per cento, gli anziani ancora oggi hanno molte meno probabilità di essere vaccinati in modo adeguato.
Nell’aprile 2022 la Commissione sanitaria nazionale cinese ha riferito che il 44 per cento delle persone tra i 60 e i 69 anni, il 52 per cento di quelle tra i 70 e i 79 anni e l’81 per cento dei maggiori di ottant’anni non avevano ricevuto la terza dose di vaccino. Questo vuol dire che in Cina circa 92 milioni di persone sopra i 60 anni sono a rischio di contrarre la malattia in forma grave o di morire. A Hong Kong, dove si è registrata una situazione simile (58 per cento, 69 per cento e 83 per cento di vaccinati nelle tre stesse fasce di età) ma è stato usato oltre al CoronaVac di produzione cinese anche il vaccino BioNTech, la diffusione della variante omicron da metà febbraio ad aprile 2022 ha provocato i tassi di mortalità più alti del mondo.
Le risorse disponibili per il settore sanitario sono state impiegate per fare i test di massa, forse a spese della campagna vaccinale
Non si capisce bene perché il tasso di vaccinazione tra i cinesi più anziani sia così basso. Sembrerebbe però il risultato della combinazione tra la decisione di non dare priorità alle fasce di età più elevate, una mancanza di fiducia nei vaccini e la paura di possibili effetti collaterali dei vaccini sugli anziani. Ultimamente, poi, le risorse disponibili per il settore sanitario sono state impiegate per fare i test di massa, forse a spese della campagna vaccinale.
Oggi il governo cinese continua a riferire di tassi di contagio e morti da covid relativamente bassi rispetto a molti altri paesi. I dati ufficiali sui decessi provocati dall’ondata di contagi a Shanghai sono però in aumento: il 7 maggio erano stati dichiarati 535 decessi provocati dal covid. Il totale dei decessi registrati in Cina dall’inizio della pandemia arriverebbe così a 5.166. Un servizio recente della Bbc mette però in discussione l’affidabilità di questi dati, suggerendo che molti decessi legati al covid non sono stati proprio registrati.
Poiché Xi e il resto della dirigenza del Partito comunista cinese hanno chiarito che la priorità è ridurre al minimo i decessi provocati dal covid, e poiché questi dati molto bassi sono stati usati per promuovere la superiorità del loro sistema politico, i funzionari di tutto il paese sono sotto pressione per mantenere bassi i dati e potrebbero essere incoraggiati a contarne o riportarne meno di quanti ce ne siano in realtà. Qui però sorge un altro dilemma: se i dati di Shanghai sono davvero così bassi, le autorità sono esposte alle critiche per le loro politiche anti-covid ritenute eccessive oltre che dannose, dato che le persone corrono più rischi per le conseguenze delle misure di contenimento che per il virus in sé.
Anche se il covid dovesse essere contenuto a Shanghai, a Pechino e in altre città, i cittadini cinesi rischiano di essere sottoposti a misure restrittive in qualsiasi momento. Non c’è alcun segnale del fatto che il Partito comunista cinese intenda modificare la sua linea, almeno fino alla fine di quest’anno, nonostante gli appelli di molti esperti autorevoli La leadership del paese sa che un allentamento della strategia zero covid potrebbe determinare un aumento di morti in tutto il paese. Le sue scelte appaiono dunque errori cruciali – spietatamente svelati dalla variante omicron, molto più contagiosa –, per i quali il paese sta pagando un prezzo molto alto.
Il Partito comunista cinese fonda da tempo il suo consenso sulla crescita economica e oggi deve affrontare una sfida enorme in vista del congresso del prossimo autunno, che si pensa aprirà a Xi le porte di una leadership a vita. Vista la minaccia di focolai estesi nelle città cinesi più grandi, i sei mesi che ci separano dal congresso saranno molto lunghi.
(Traduzione di Giusy Muzzopappa)
Questo articolo è uscito su The Conversation. Internazionale ha una newsletter che racconta cosa succede in Asia. Ci si iscrive qui.