Adah Crandall, una studente delle scuole superiori di Portland, nello stato americano dell’Oregon, non ne può più dei familiari che le chiedono quando prenderà la patente. Crandall, 16 anni, ha trascorso un quarto della sua vita a contestare la pianificazione della sua città, ancora incentrata sull’uso dell’automobile.

A dodici anni ha frequentato una scuola vicino a una strada a scorrimento veloce su cui ogni giorno sfrecciavano migliaia di camion. Lei e i suoi compagni di classe sono stati felici quando un insegnante ha invitato un ospite a parlare dell’inquinamento atmosferico. Meno di un anno dopo Crandall è andata a Salem, la capitale dello stato, per chiedere ai politici di approvare leggi severe sui motori diesel.

Eppure i genitori continuano ad assillarla perché prenda la patente. “La considerano come un biglietto per l’indipendenza. Sembra quasi una cosa sacra”, dice. Crandall ammette che la sua vita sarebbe più facile se guidasse un’auto: passerebbe meno tempo sugli autobus e potrebbe andare al mare con i suoi amici. Ma odia l’idea di doverlo fare. “Perché la nostra identità è così legata all’uso dell’auto?”, si chiede. “Se mi adeguassi e prendessi la patente, sarebbe come arrendermi”.

Riprendersi le città
Poche tecnologie hanno segnato il novecento più dell’automobile. In apparenza la storia d’amore tra le persone e le automobili private continua anche in questo secolo. Il numero di automobilisti sulle strade del mondo continua ad aumentare quasi ovunque. La distanza percorsa dagli automobilisti statunitensi ha raggiunto un nuovo picco nel 2022, secondo i dati della Federal highway administration. Ma alcuni segnali suggeriscono che la situazione sta cambiando. Persone come Crandall lo dimostrano. Un tempo la patente di guida era un rito di passaggio quasi universale verso l’età adulta. Oggi la ignora una minoranza sempre più nutrita di giovani o si oppone a essa attivamente, fino ai vent’anni e oltre.

Questa tendenza fa crescere il sostegno alle politiche per disincentivare l’uso delle auto private, approvate nelle città di tutto il mondo. Da New York alla Norvegia, sono sempre di più le amministrazioni che approvano leggi contro le automobili, eliminando parcheggi, vietando l’accesso ad alcune strade e cambiando le regole di pianificazione urbana per favorire i pedoni. Anne Hidalgo, la sindaca socialista di Parigi, si vanta di aver “riconquistato” la sua città, restituendola agli abitanti.

Secondo gli attivisti è in corso un cambiamento radicale. Solo pochi anni fa “c’era la sensazione che fossimo noi quelli strani”, dice Doug Gordon, creatore di The war on cars (Guerra alle auto), un podcast registrato a New York. Oggi, dice, “sempre più politici adottano posizioni che fino a poco tempo fa erano marginali”. Dopo un secolo in cui l’automobile ha rimodellato il mondo ricco, rendendo possibili fenomeni come i sobborghi, i supermercati, i ristoranti drive-through e gli ingorghi alle ore di punta, la tendenza potrebbe cominciare a muoversi in direzione opposta.

Un diritto acquisito
Negli Stati Uniti, un paese che è stato plasmato dall’automobile, il primo cambiamento è demografico. L’automobilista statunitense guida in media molto di più della maggior parte degli abitanti di altri paesi ricchi: circa 14.300 miglia (23mila chilometri) nel 2022, più o meno il doppio della distanza percorsa dal francese medio. Quasi un secolo di costruzione di strade ha portato alla nascita di città sempre più estese, dove è difficile spostarsi in altro modo.

Gli automobilisti diminuiscono e la tendenza è in corso anche nelle grandi città europee

Nel 1977 la corte suprema aveva dichiarato che possedere un’auto è “di fatto una necessità” per chiunque viva negli Stati Uniti. Nel 1997 il 43 per cento dei sedicenni del paese aveva la patente di guida. Ma nel 2020, l’anno più recente per il quale sono disponibili i dati, il numero era sceso al 25 per cento. E non si tratta solo di adolescenti. Uno statunitense su cinque di età compresa tra i venti e i 24 anni non ha la patente, rispetto ad appena uno su 12 nel 1983. La percentuale di persone con patente è diminuita per tutte le fasce d’età al di sotto dei quarant’anni e, secondo gli ultimi dati, continua a diminuire. E anche chi ha la patente decide di guidare meno. Tra il 1990 e il 2017 la distanza percorsa dai conducenti adolescenti negli Stati Uniti è diminuita del 35 per cento e quella dei conducenti di età compresa tra i venti e i 34 anni è scesa del 18 per cento. I responsabili dell’aumento del traffico sono soprattutto i guidatori più anziani, in particolare le persone nate dopo la seconda guerra mondiale, che continuano a guidare anche dopo la pensione.

Una tendenza simile è in corso in Europa. Nel Regno Unito la percentuale di adolescenti in grado di guidare si è quasi dimezzata, passando dal 41 al 21 per cento negli ultimi vent’anni. Se si considerano tutti i paesi dell’Unione europea, ci sono più automobili che mai. Eppure, anche prima che i lockdown per il covid-19 svuotassero le strade, la distanza media percorsa in ciascun paese era diminuita di più di un decimo dall’inizio del millennio (fanno eccezione paesi entrati da poco nell’Unione, come la Polonia). Anche in Germania, dove il motore a combustione termica è uno status symbol, gli automobilisti diminuiscono.

La tendenza è particolarmente forte nelle grandi città. Uno studio condotto su cinque capitali europee – Berlino, Copenaghen, Londra, Parigi e Vienna – ha dimostrato che il numero di spostamenti in auto dei lavoratori è diminuito notevolmente rispetto al picco raggiunto negli anni novanta. A Parigi il numero di spostamenti per abitante è sceso al di sotto dei livelli degli anni settanta.

Una motivazione importante, almeno per i giovani più impegnati politicamente, è la preoccupazione per il cambiamento climatico

Nessuno sa dire con certezza perché i giovani adulti non siano affascinati dall’idea di possedere un mezzo di trasporto. Internet potrebbe aver influito: più è possibile fare acquisti online o guardare film in streaming a casa, meno c’è bisogno di prendere l’auto per andare in città. Un rapporto britannico, coordinato dal dottor Kiron Chatterjee dell’università dell’Inghilterra occidentale e pubblicato nel 2018, ha messo l’accento sull’aumento dei lavori precari o mal retribuiti, sulle difficoltà a comprare casa e sulla tendenza a rimanere all’università più a lungo. La crescita di app come Uber e Lyft ha quasi certamente contribuito, così come l’aumento dei costi assicurativi per i giovani conducenti. In generale, guidare è più costoso. Negli Stati Uniti il costo medio del possesso di un veicolo e della percorrenza di quindicimila miglia è aumentato dell’11 per cento nel 2022, arrivando a quasi undicimila dollari.

Altre ragioni sembrano più di natura culturale. Una motivazione importante, almeno per i giovani più impegnati politicamente, è la preoccupazione per il cambiamento climatico. Donald Shoup, docente all’università della California a Los Angeles, ha condotto una campagna contro l’eccessiva offerta di parcheggi gratuiti negli Stati Uniti, e si dice sorpreso dal fatto che il cambiamento climatico abbia spinto molti giovani attivisti a cominciare una campagna contro lo sviluppo incentrato sulle automobili (pensava che a fare la differenza sarebbero stati invece l’inquinamento atmosferico locale, o il costo).

Il calo di popolarità delle auto tra i giovani sotto i quarant’anni è in linea con lo stato d’animo degli urbanisti e dei pianificatori, che da più di due decenni si battono contro le auto. A volte sono riusciti a far approvare politiche di grande portata e coraggiose, come l’introduzione di zone a traffico limitato nel centro di Londra, Milano e Stoccolma, in cui gli automobilisti devono pagare una tassa per entrare. Tutti e tre i programmi sono riusciti a ridurre il traffico in modo sostanziale e costante. A New York un sistema simile, molto atteso e duramente contestato, potrebbe partire entro la fine dell’anno.

Ma nella maggior parte dei casi la stretta sugli automobilisti è stata più lenta e graduale. Nel Regno Unito molti comuni hanno cominciato a prevedere “quartieri a basso traffico”, bloccando le strade per scoraggiare gli automobilisti di passaggio dal prendere scorciatoie tra le strade principali. Nel 2020 Oslo, la capitale della Norvegia, ha rimosso quasi tutti i parcheggi su strada dal centro città. Il drastico calo del volume di traffico di Parigi è stato in parte imposto dalle politiche introdotte da Hidalgo, che ha eliminato i parcheggi, ristretto le carreggiate, e trasformato in parco una strada a traffico veloce che prima correva lungo una sponda della Senna. Nel 2021 ha annunciato l’intenzione di riqualificare gli Champs-Élysées per dimezzare lo spazio riservato alle auto, a favore di pedoni e verde urbano.

Centri più costosi
Tornando agli Stati Uniti, New York ha eliminato le automobili da Central Park e ha sperimentato il divieto di circolazione anche in alcune strade di Manhattan. Negli ultimi anni decine di città statunitensi, tra cui Minneapolis nel 2018 e Boston nel 2021, hanno cancellato le regole che obbligano i costruttori immobiliari a fornire una certa quantità di parcheggi gratuiti intorno ai loro edifici. La California ha eliminato tali regole in tutto lo stato, almeno per gli edifici relativamente vicini ai servizi di trasporto pubblici.

In passato queste modifiche erano spesso imposte dall’alto. Ma ultimamente sono sostenute da almeno una parte dell’elettorato. “Chicago per ottant’anni ha vissuto seguendo l’idea ‘prima le auto, tutti il resto per ultimo’”, dice Daniel La Spata, un consigliere comunale della zona nordovest della città. Di recente, spiega, i ciclisti-attivisti hanno giocato un ruolo importante nelle elezioni locali. A Oxford, nel Regno Unito, i residenti favorevoli a un progetto di riduzione del traffico hanno impedito agli automobilisti infuriati di spostare le barriere che erano state piazzate per impedire l’accesso delle auto. Hidalgo ha ottenuto un secondo mandato alle elezioni del 2020 con una programma che includeva piani per trasformare Parigi in una “città da 15 minuti”, un’idea secondo la quale ogni quartiere avrebbe i propri negozi, impianti sportivi, scuole e strutture del genere a breve distanza, raggiungibili a piedi o in bicicletta.

Come dimostra l’esempio di Oxford, non tutti sono entusiasti. A Hackney, nel nord di Londra, il comune ha dovuto installare speciali schermi a prova di vandalismo sulle telecamere introdotte per individuare eventuali violazioni. Un consigliere locale ha ricevuto minacce di morte. A Oslo il piano di rimozione dei posti auto è stato denunciato da un politico come un “muro di Berlino contro gli automobilisti” e un’associazione in difesa di interessi commerciali locali ha affermato che la misura avrebbe fatto di Oslo una “città morta” (per ora la situazione in città è tranquilla).

L’opposizione politica potrebbe frenare questa dinamica. A New York sono stati i politici dei sobborghi, i cui elettori dipendono molto dalle automobili, a opporsi alla nuova tassa sulla congestione del traffico. A Berlino i cristiano-democratici di centrodestra hanno fatto campagna elettorale per proteggere i diritti dei guidatori.

Un’altra preoccupazione è che, a mano a mano che i centri urbani liberati dalle auto diventano più attraenti, possano diventare anche più costosi, spingendo alcuni, soprattutto le famiglie, a trasferirsi in periferia, dove alla fine avranno bisogno dell’auto. Negli Stati Uniti, secondo uno studio, le abitazioni nei quartieri più accessibili a piedi costano il 34 per cento in più rispetto a quelle dei quartieri più urbani. Anche le nuove tecnologie potrebbero cambiare le cose. Le auto elettriche potrebbero attenuare le preoccupazioni relative al cambiamento climatico. Il loro funzionamento è più economico rispetto a quello dei veicoli a combustibile fossile, il che potrebbe incoraggiare a guidare di più.

Ma le zone d’Europa in cui le politiche antiauto sono in vigore da più tempo sembrano essere riuscite a ridurre il traffico. Giulio Mattioli, professore di trasporti all’università di Dortmund, osserva che quasi nessun paese al mondo che abbia eliminato una grande strada o pedonalizzato una via commerciale ha poi deciso di invertire la rotta. “Una volta che le persone vedono i benefici, in genere non vogliono tornare indietro”. Diversi studi, tra cui quello del dottor Chatterjee, hanno concluso che le abitudini di guida che si formano in gioventù sembrano persistere: le persone che cominciano a guidare più tardi continuano a guidare meno, anche dopo i quarant’anni. Se questo modello dovesse persistere, il ventunesimo secolo potrebbe rivelarsi il punto di massimo splendore dell’automobile, prima del suo declino.

(Traduzione di Federico Ferrone)

Questo articolo è uscito sul settimanale britannico The Economist.

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