Circondati da colline verdeggianti, i moli di Port Moresby non registravano una presenza militare così intensa dai tempi della seconda guerra mondiale, quando furono difesi strenuamente dai soldati statunitensi e australiani contro le forze giapponesi. Nelle scorse settimane la capitale della Papua Nuova Guinea ha accolto la nave da pattugliamento britannica HMS Tamar e la portaerei JS Izumo, ammiraglia della marina giapponese. Alcuni mesi fa era stato il turno della nave francese La Glorieuse, mentre il mese prossimo toccherà a un’imbarcazione della guardia costiera statunitense.

Nel frattempo, sulla terraferma, si sono moltiplicate le visite di leader stranieri. Il primo ministro indiano Narendra Modi è arrivato a maggio per presiedere un vertice regionale, mentre il presidente indonesiano Joko Widodo si è fermato a luglio. L’ospite più prestigioso dell’anno avrebbe dovuto essere Joe Biden, ma il presidente degli Stati Uniti ha cancellato il suo viaggio previsto per maggio a causa dei problemi interni legati al tetto sul debito americano.

Al suo posto, in rapida successione, sono arrivati due suoi importanti luogotenenti: a maggio il segretario di stato Antony Blinken ha firmato un accordo di cooperazione per la difesa con la Papua Nuova Guinea, seguito il 26 e 27 luglio dal segretario alla difesa Lloyd Austin. Quando Austin è sceso dal suo aereo militare E4-B, l’aeroporto di Port Moresby era addobbato con bandiere francesi e manifesti con il volto del presidente Emmanuel Macron, atteso per l’indomani.

L’elefante su una zolla
Port Moresby è tornata a essere un oggetto del desiderio geopolitico nel contesto dell’attrito costante tra gli Stati Uniti e la Cina. “Siamo sorpresi”, ammette l’ex diplomatico papuano Winnie Kiap. “È come osservare due elefanti che giocano su una piccola zolla d’erba, e noi siamo la zolla”. Kiap ricorda che durante la seconda guerra mondiale la Papua Nuova Guinea fu coinvolta “in una guerra che non ci riguardava minimamente. Ora si stanno ripetendo gli stessi meccanismi”.

Paese povero e travagliato, sta vedendo crescere la sua importanza nella nuova epoca geopolitica. Uno dei motivi di questo fenomeno è legato alla sua geografia: il paese è poco distante da Guam, principale snodo militare statunitense nel Pacifico, e si trova sul percorso di avvicinamento all’Australia, grande alleato degli Stati Uniti nella zona. Ma altrettanto importante è il ruolo delle risorse naturali: non solo l’oro, come in passato, ma anche i minerali essenziali per la rivoluzione verde come il nickel (utilizzato nelle batterie) e il rame. Inoltre sta diventando uno dei maggiori esportatori mondiali di gas naturale liquefatto grazie alla collaborazione con aziende francesi e statunitensi.

Secondo Paul Barker, del centro di analisi papuano Institute of national affairs, un terzo fattore rilevante è il grande peso della Papua Nuova Guinea all’interno del Forum delle isole del Pacifico, un gruppo che racchiude 18 paesi dell’Oceania.

Girandola di attività
Gli Stati Uniti hanno considerato a lungo il Pacifico come un “lago americano”, ma hanno affidato gran parte delle responsabilità diplomatiche all’Australia, che in passato George W. Bush aveva definito “lo sceriffo [della zona]”. Tuttavia nel 2022 la Cina ha sorpreso entrambi i paesi firmando un patto di sicurezza con le isole Salomone. L’amministrazione Biden ha risposto con una girandola di visite, vertici, missioni diplomatiche e rinnovi di alleanze. L’accordo per la difesa tra Stati Uniti e Papua Nuova Guinea è una contromossa al patto tra la Cina e le isole Salomone, ma fa anche parte di una “maglia” sempre più estesa creata dagli Stati Uniti attraverso una serie di accordi politici e militari di dimensioni variabili in un’area che va dal Giappone all’Australia passando per l’India.

Molti paesi della regione non intendono scegliere tra Washington e Pechino, e il primo ministro papuano Marape ha dichiarato di essere amico di tutti e nemico di nessuno

Mentre Austin si trovava in Papua Nuova Guinea – dove il padre aveva prestato servizio nell’esercito come autista durante la seconda guerra mondiale – Blinken visitava Tonga e la Nuova Zelanda. Le traiettorie dei due funzionari si sono ricongiunte in Australia per l’appuntamento annuale con la riunione Ausmin tra i ministri degli esteri e della difesa dei due paesi, e per l’occasione sono state annunciate diverse misure per rafforzare la loro “alleanza indistruttibile”: un ampliamento delle basi militari nell’Australia del nord, un aumento della presenza dei soldati statunitensi nel paese, la creazione di snodi logistici condivisi, un rafforzamento dell’alleanza con il Giappone, una cooperazione per la ricerca spaziale e un’accelerazione della produzione di missili da parte di Canberra.

Molti paesi della regione non intendono scegliere tra Washington e Pechino, e il primo ministro papuano James Marape ha dichiarato di essere amico di tutti e nemico di nessuno. “Noi non siamo interessati alla guerra. Vogliamo la pace e la tolleranza, e naturalmente intendiamo promuovere i nostri valori democratici, il cristianesimo e la convivenza armoniosa”, ha aggiunto. La Papua Nuova Guinea aveva necessità di rafforzare le proprie difese, e secondo Marape non esisteva opzione migliore che quella di rivolgersi “alla più grande democrazia e al più grande esercito del mondo per stringere questa alleanza”. Gli Stati Uniti, ha aggiunto Marape, “sono stati invitati”, e le forze papuane saranno sempre “ai cancelli”, ovvero avranno l’ultima parola. L’accordo dovrà essere approvato dal parlamento locale mentre restano da chiarire ancora molti dettagli.

Gli Stati Uniti contribuiranno alla costruzione e all’ampliamento di basi militari in luoghi come la provincia di Lae e nell’isola di Manus, e otterranno un accesso “senza ostacoli” alle strutture, anche se Austin ha voluto precisare che gli statunitensi non cercano “basi permanenti in Papua Nuova Guinea”. L’accordo inoltre comporta un miglioramento della risposta ai disastri naturali nella regione. Tuttavia i funzionari coinvolti non hanno precisato fino a che punto la cooperazione prevederà operazioni militari congiunte. In definitiva Washington spera che l’accesso preferenziale in Papua Nuova Guinea possa consentire di ampliare il raggio d’azione delle forze militari e sviluppare nuove metodologie di combattimento “distribuite” in modo da offrire meno bersagli facili ai missili cinesi.

Resta da capire se Marape condivida questa visione a lungo termine. La Papua Nuova Guinea figura nella parte bassa dell’indice di sviluppo umano delle Nazioni Unite, e lo stesso vale per l’indice di corruzione percepita di Transparency international, un’organizzazione che si occupa di contrastare la corruzione. Nel paese i collegamenti interni sono scadenti e sono ostacolati dalla presenza di isole, montagne e foreste. Le dinamiche politiche di un paese in cui si parlano più di 800 lingue sono inevitabilmente complesse. La Papua Nuova Guinea presenta elevati livelli di criminalità e deve affrontare un movimento secessionista nell’isola di Bougainville (la cui popolazione ha votato in massa a favore dell’indipendenza in un referendum organizzato nel 2019).

Marape ha precisato di aspettarsi una “cascata” di benefici economici dal patto di difesa, che ha una durata di 15 anni. Per quanto riguarda la Cina, il presidente papuano ha garantito che Pechino “non ha alcun problema” con il patto e continuerà a rappresentare il primo partner commerciale della Papua Nuova Guinea. Tuttavia il Global Times, organo in lingua inglese del Partito comunista cinese, ha espresso una posizione diversa, citando alcuni esperti cinesi secondo cui gli Stati Uniti sarebbero colpevoli di “attività mafiose nel Pacifico meridionale, dove formano bande e cerchie ristrette”.

La creazione di una rete di accordi di sicurezza in Asia da parte di Washington ha fatto importanti progressi, ma al momento non esiste la “Nato asiatica” temuta da Pechino. Nessun accordo garantisce che un paese asiatico aiuterà gli Stati Uniti in un futuro conflitto con la Cina. Eppure gli statunitensi pensano che rafforzando i rapporti nella regione oggi, in futuro risulterà più facile stringere alleanze militari. Nel frattempo le manovre degli Stati Uniti alimentano l’incertezza della Cina, che al momento non può prevedere quali paesi resterebbero fuori da una futura guerra, che tra altro poterebbe combattersi nelle giungle e nei cieli di Papua Nuova Guinea.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

Questo articolo è uscito sul settimanale britannico The Economist.

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