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Chi controlla il mercato della cocaina colombiana

Un raccoglitore di coca nel dipartimento di Nariño, in Colombia, 12 maggio 2023. (Joaquin Sarmiento, Afp)

La domanda di cocaina a livello mondiale sembra inarrestabile. Secondo gli ultimi dati pubblicati dall’Ufficio delle Nazioni Unite per il controllo della droga e la prevenzione del crimine (Undoc), anche se negli ultimi due decenni il numero di consumatori è rimasto sostanzialmente stabile negli Stati Uniti, è costantemente in aumento in Australia, Europa e Asia.

Il mese scorso a Sydney, la città più grande dell’Australia, nell’arco di cinque giorni tre persone sono morte e due sono state ferite durante sparatorie avvenute nel contesto di un conflitto tra bande causato dal boom del mercato della cocaina in città. Eppure in alcune aree della Colombia – il paese che produce circa il 60 per cento della cocaina mondiale – i pezzi bianchi di pasta di coca si accumulano invenduti, e i prezzi precipitano.

Un tempo nei villaggi del Catatumbo, una regione nei pressi del confine con il Venezuela in cui abbondano le coltivazioni di coca, circolavano grandi quantità di denaro generato dal mercato illegale. Nelle strade si sentiva musica ad alto volume e nel fine settimana i locali di biliardo erano pieni. Ma nell’ultimo anno molti negozi hanno chiuso e oggi i residenti hanno cominciato a sentire i morsi della fame. “La gente vende in perdita”, spiega Holmer Pérez Balmaceda, la cui famiglia, come molte nella regione, coltivava le foglie di coca. Anche nel dipartimento di Cauca, nel sudovest del paese, i prezzi sono precipitati: un anno fa un’unità di foglie di coca (12,5 chili) veniva venduta a 70mila pesos colombiani (17,25 dollari), mentre oggi costa poco più della metà (38mila pesos).

Come è possibile che il boom della cocaina si sia esaurito così rapidamente in alcune aree della Colombia?

Innanzitutto bisogna tenere conto della sovrapproduzione, che ha comportato un calo dei prezzi. I dati dell’Unodc suggeriscono che negli ultimi anni la produzione di cocaina sia cresciuta più della domanda. Nel 2021 nel paese sono stati dedicati alla coltivazione della coca circa 204mila ettari di terreno, un aumento del 43 per cento rispetto al 2020. Mai prima d’ora l’area occupata dalle piantagioni di coca era stata così vasta. Gli agricoltori, inoltre, hanno migliorato l’efficienza delle loro tecniche di coltivazione, mentre i laboratori che producono la cocaina cloridrato (il prodotto raffinato) sono diventati più grandi. Queste tecniche hanno reso più efficiente l’intero processo. Secondo le Nazioni Unite la produzione potenziale di cocaina cloridrato in Colombia è passata dalla media di 6,5 chili per ettaro del 2016 a 7,9 chili nel 2020.

Un mercato globale
La Colombia non è l’unico fornitore che sta inondando di cocaina i mercati globali. Il Perù ha incrementato la produzione del 62 per cento, passando dai 49.800 ettari del 2017 agli 80.700 ettari del 2021. Nello stesso periodo la produzione boliviana è aumentata del 24 per cento, da 24.500 a 30.500 ettari. Un fenomeno analogo si è verificato anche in Venezuela, Honduras e Guatemala.

“La sovrapproduzione è innegabile, ma non basta a spiegare tutto”, sottolinea Ana Maria Rueda, del think-tank colombiano Fundación ideas para la paz. Rueda evidenzia anche il ruolo che hanno avuto le fortune altalenanti delle diverse organizzazioni criminali. Il mercato colombiano in passato era dominato da individui come Pablo Escobar, che comandava il cartello di Medellín, contrastato da quello di Cali. All’inizio degli anni novanta queste organizzazioni sono state sciolte dopo la cattura o la morte violenta dei loro leader. A quel punto sono subentrate due organizzazioni guerrigliere: le Forze armate rivoluzionarie della Colombia (Farc) e l’Esercito di liberazione nazionale (Eln). I miliziani hanno “regolamentato” il mercato della cocaina, controllando l’intera catena produttiva come avevano fatto in precedenza i cartelli di Medellín e Cali, dal raccolto alla lavorazione fino all’esportazione.

Ma nel 2016 il governo colombiano ha siglato un accordo di pace con le Farc. Oltre a mettere fine a un conflitto armato durato quasi un secolo, l’accordo ha creato una frammentazione nel mercato della droga. Oggi in Colombia sono attive circa 500 organizzazioni criminali. Le bande che comprano la cocaina all’ingrosso possono scegliere in quale regione rifornirsi, provocando un calo dei prezzi a livello locale, sottolinea Rueda.

“Oggi lo scenario è estremamente parcellizzato”, spiega Jeremy McDermott del think-tank InSight Crime. Di recente sono stati arrestati diversi leader criminali, come Dario Antonio Usuga (detto “Otoniel”) del clan del golfo. Inoltre l’Eln ha limitato le proprie attività nel campo della droga in vista di un cessate il fuoco concordato con l’attuale governo e firmato il 2 agosto.

In alcune regioni questi sviluppi hanno fermato la produzione di cocaina, oltre ad alterare gli standard tradizionali in merito al prezzo e alla qualità del prodotto. Secondo McDermott, a causa della frammentazione delle reti criminali colombiane le organizzazioni che acquistano il prodotto finito all’ingrosso – soprattutto messicane, ma sempre più spesso anche europee – oggi viaggiano fino in Colombia per organizzare personalmente i grandi carichi, laddove in passato erano i colombiani che si occupavano delle spedizioni. Le organizzazioni internazionali preferiscono operare in aree dove hanno già contatti collaudati.

Un esempio di questa tendenza è la regione di Nariño, al confine con l’Ecuador, dove si registra una forte presenza di bande messicane, spiega McDermott. A Nariño non c’è stato il crollo dei prezzi che ha invece colpito altre zone del paese. Il fenomeno lascia intravedere un potenziale cambiamento nelle dinamiche del mercato della droga. In precedenza il potere era in mano alle organizzazioni che producevano la cocaina, mentre oggi a comandare sono quelle che hanno accesso alle reti di distribuzione.

Nuove politiche
Un altro fattore che ha influito sui prezzi della cocaina è stata l’elezione nel 2022 di Gustavo Petro, presidente di sinistra. I due precedenti governi, guidati da Juan Manuel Santos e Iván Duque, avevano portato avanti programmi per la sostituzione delle colture che avevano distribuito denaro alle famiglie disposte ad abbandonare la coltivazione della coca. Questo sistema, però, ha avuto l’effetto perverso di spingere gli agricoltori a incrementare la produzione e di convincere altri a cominciare a coltivare la coca pur di avere accesso ai sussidi, spiega Rueda. I finanziamenti sono stati abbinati a misure per la distruzione delle coltivazioni.

Petro ha criticato per anni l’approccio dei suoi predecessori, accusandoli di aver colpito gli agricoltori distruggendo i campi anziché concentrarsi sugli intermediari criminali. Nel suo discorso inaugurale, Petro a dichiarato che “la guerra alla droga è stata persa”. Il presidente, tra l’altro, sostiene che il calo dei prezzi della cocaina sia dovuto anche all’aumento dell’uso di fentanyl (un oppioide sintetico) negli Stati Uniti, ma diversi esperti mettono in discussione questa tesi.

In ogni caso il governo di Petro non ha ancora tradotto in legge la sua politica sulla droga. Di sicuro l’attività dell’esecutivo non è stata favorita dal fatto che il presidente sia stato costretto a operare un rimpasto di governo dopo appena otto mesi segnati da gravi scandali, di cui l’ultimo ha coinvolto il figlio maggiore di Petro, Nicolás, arrestato alla fine di luglio con l’accusa di riciclaggio di denaro. Dopo essersi inizialmente dichiarato non colpevole, il 3 agosto Nicolás Petro ha accettato di collaborare con le autorità. Secondo le accuse, avrebbe ricevuto denaro da presunti narcotrafficanti.

Il risultato è che finora Petro si è limitato a rallentare il processo di distruzione delle coltivazioni, fissando come obiettivo l’estirpazione di circa 20mila ettari all’anno, 30mila in meno rispetto a quanto fatto dal governo Duque. Inoltre bisogna tenere presente che il governo degli Stati Uniti ha ridotto l’attività di monitoraggio satellitare della coltivazione della coca in Colombia. Questi due cambiamenti hanno sicuramente contribuito all’accumulo di scorte di cocaina.

Il crollo dei prezzi ha prodotto non soltanto il collasso dell’economia rurale in ampie aree della Colombia, ma anche una crisi sociale acuta. Secondo una federazione che rappresenta i contadini che coltivano illegalmente la pianta, più di 23mila famiglie colombiane dipendono dalla coca come fonte primaria di reddito. A luglio l governo ha cominciato a versare denaro alle famiglie in alcuni dei 181 comuni dove si produce la coca. “È un piano d’emergenza”, spiega Felipe Tascón, direttore del programma del governo per la sostituzione delle colture. Tascón ritiene indispensabile un cambiamento nella politica di sostituzione per convincere gli agricoltori ad abbandonare la coca a beneficio delle colture legali. “Quello che abbiamo fatto finora non ha funzionato”, ammette.

Ma i sussidi potrebbero non bastare per evitare che gli agricoltori della coca si dedichino ad altre attività illecite. Alcuni hanno già virato sull’estrazione illegale di oro. Inoltre la cocaina non ha una data di scadenza, dunque se i coltivatori troveranno il modo di superare la crisi, il mercato finirà per ricalibrarsi. Il narco-business troverà una nuova normalità, come ha sempre fatto.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

Questo articolo è stato pubblicato dal settimanale britannico The Economist.

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