L’intervista a Alberto Guijarro Rey, il direttore del Primavera Sound
Ormai non è più una questione di gusti. Il Primavera Sound è da qualche anno uno dei festival musicali più importanti del mondo. Magari non ha alle spalle la storia di Glastonbury e del South by southwest, né il gigantismo del Coachella. Ma il festival di Barcellona ha poco da invidiare ai suoi concorrenti.
Partito nel 2001 come un piccolo festival di musica elettronica, quest’anno il Primavera Sound festeggerà il suo quindicesimo anniversario. Dopo vari spostamenti, dal 2005 la manifestazione si tiene al Parc del Fòrum, un grande spazio polifunzionale a sei chilometri dal centro storico di Barcellona. E ha dato il via anche a un’edizione portoghese.
Per capire l’evoluzione del festival, basta dare un’occhiata ai numeri dell’anno scorso: 348 concerti, 191.800 spettatori (il 46 per cento provenienti dall’estero) e un beneficio per l’economia locale di 95 milioni di euro, secondo le stime diffuse dalla società di consulenza Dentsu Aegis. Senza contare i rapporti con gli sponsor e con il sito Pitchfork, ormai partner fisso della manifestazione.
La lineup dell’edizione 2015, in programma dal 28 al 30 maggio, è stata annunciata con una curiosa strategia di marketing: un videogioco gratuito per cellulari. L’elenco è, come al solito, piuttosto ricco. Suoneranno, tra gli altri, The Strokes, The Black Keys, Alt-J, Patti Smith, James Blake, Damien Rice, The New Pornographers e Underworld.
Alberto Guijarro Rey è uno dei fondatori e dei direttori artistici del festival. Anche se ha studiato ingegneria chimica, ha mollato presto gli studi e ha cominciato a fare il promoter nelle discoteche di Barcellona. Negli anni novanta ha fondato Producciones animadas, un’agenzia promozionale per diffondere la musica elettronica in Spagna. Dal 1995 ha gestito la Sala Apolo, un famoso locale di Barcellona.
L’abbiamo intervistato per farci raccontare il Primavera Sound, che quest’anno Internazionale seguirà con un diario quotidiano da Barcellona.
Cosa avevate in mente quindici anni fa, quando avete organizzato per la prima volta il festival?
Più o meno quello che facciamo oggi. Volevamo fare un festival urbano, dentro la città, comodo da raggiungere per gli abitanti di Barcellona. Volevamo mescolare rock, elettronica, pop e indie, una cosa che negli anni novanta non era molto comune.
Come nasce un’edizione del Primavera Sound?
Ogni anno pensiamo a cosa è andato male nella scorsa edizione, cosa non funzionava nel programma. Per creare il programma, abbiamo cinque persone che si occupano del booking e ci portano una grande lista, dove ognuno mette gli artisti che vorrebbe portare al festival. Dalla prima riunione di solito esce una lista 400-500 musicisti. Poi facciamo una seconda scrematura e cominciamo a contattarli. Ci sono artisti che inseguiamo per anni, finché non riusciamo a portarli. Con Neil Young, che si è esibito nel 2009, è andata così.
Perché quest’anno avete scelto gli Strokes?
È stata un’idea romantica, perché il loro primo album è uscito proprio nel 2001, hanno quindici anni come noi. Non è stato difficile convincerli, a loro piace molto il festival. Diciamo che il nostro è un amore reciproco.
I Black Keys sono confermati, nonostante l’incidente alla spalla del batterista Patrick Carney?
Assolutamente sì. Patrick Carney recupererà in tempo per il festival, non vi preoccupate.
Qualche consiglio sui gruppi da non perdere?
Una delle cose migliori del Primavera sono i nomi di culto. Quest’anno abbiamo il compositore tedesco Hans-Joachim Roedelius. Tra le band emergenti citerei le Mourn, un duo spagnolo molto interessante, e gli Shabazz Palaces, gruppo hip-hop sperimentale statunitense, e gli Unkwnown Mortal Orchestra, uno dei migliori gruppi psichedelici usciti negli ultimi anni.
Quest’anno sul palco del Primavera ci sarà anche la reunion dei Ride, band storica dello shoegaze britannico..
Erano una delle band inglesi più interessanti, quando ho cominciato a fare il promoter all’inizio degli anni novanta. Li avevamo portati a Barcellona ai tempi. Poi si sono sciolti e sono scomparsi in modo veloce. Oggi sono una band di culto, famosissima nel Regno Unito e un po’ meno nel resto del mondo.
Ormai gli Shellac vengono ogni anno. Perché?
Penso che sia l’unico festival a cui partecipano. Un po’ lo fanno per scherzo, un po’ perché il loro leader, Steve Albini, apprezza davvero il Primavera Sound. Fanno un grande show e Albini è una leggenda della musica.
I concerti preferiti degli anni passati?
I Wilco nel 2010 sono stati speciali, perché li ho visti con mia figlia da dietro il palco. Poi i White Stripes nel 2003, pioveva a dirotto ma il pubblico non ha fatto una piega. È stato molto bello anche Sufjan Stevens all’auditorium Rockdelux nel 2011.
Perché avete scelto di fare il festival al Parc del Fòrum?
Nel 2004 abbiamo organizzato l’ultima edizione del festival al Poble Espanyol, nel centro di Barcellona, ma era diventato troppo piccolo. All’inizio abbiamo pensato di farlo sul Montjuïc, il promontorio che domina la città, ma all’amministrazione locale l’idea non piaceva molto, soprattutto per questioni di sicurezza.
Il Parc del Fòrum non è stata una nostra idea. È stato costruito per il Forum delle culture nel 2004. Finita la manifestazione, il posto è stato abbandonato e il sindaco ce l’ha proposto per il festival. All’inizio non eravamo convinti, ma dopo qualche sopralluogo ci siamo resi conto che era perfetto: era distante dal centro, quindi non avrebbe dato fastidio ai residenti, ma era comunque ben collegato al resto della città grazie alla metropolitana. E poi da lì si vede tutto il mar Mediterraneo.
Perché non c’è un campeggio al Primavera Sound?
La nostra prima idea era di fare un festival per la gente di Barcellona e quindi pensavamo che sarebbero tornati a casa a dormire. Poi il festival è diventato sempre più popolare e gli spettatori stranieri sono diventati la metà. Noi sappiamo che venire a un festival è costoso, ma mettere in un campeggio in quell’area non è per niente semplice. Ultimamente abbiamo preso di nuovo in considerazione questa possibilità, perché gli alberghi stanno diventando sempre più cari: a volte una notte in hotel costa quanto tutto il festival. Molti spettatori hanno cominciato a usare Airbnb, ma i catalani non sono contenti e si lamentano.
Ok, i catalani si lamentano perché non gli piace avere sotto casa dei rumorosi fan della musica rock, ma in un periodo di crisi economica i soldi del Primavera possono fare comodo.
È vero. Non ci sono molti festival che fanno guadagnare così tanti soldi a una città: c’è per esempio il Sonar, che è sempre a Barcellona, il South by southwest a Austin. Per in realtà la popolazione non è un problema. L’anno scorso abbiamo fatto un sondaggio sul Primavera tra gli abitanti di Barcellona: il 91 per cento degli intervistati ha risposto che considera il festival “un evento positivo per la città”.
Probabilmente i turisti italiani che girano nudi per il centro sono molto più fastidiosi del pubblico del Primavera.
Assolutamente. Il pubblico del festival è molto educato. C’è un’atmosfera molto rilassata.
A quali festival vi siete rifatti? Molti vi definiscono il Coachella europeo.
Il Coachella è un grande festival, ma non ci ha ispirato più di tanto. Più che altro abbiamo seguito l’esempio di altre manifestazioni spagnole: Benicàssim, Doctor Music, Sonar. Ci piaceva l’idea, come dicevo prima, di fare un festival dentro la città, dentro i locali, e in questo senso ci ha sempre affascinato il South by southwest. Soprattutto a me, che vengo dalla cultura dei club, mentre gli altri fondatori del festival sono più vicini al rock.
Che rapporto avete con le istituzioni? Vi aiutano?
Dipende dai partiti. Con l’amministrazione locale i rapporti sono buoni, in particolare con il partito socialista. Con il governo regionale in passato ci sono state tensioni, perché il partito indipendentista voleva che mettessimo più artisti catalani nel programma e non ci hanno mai dato un grande supporto. Ora le cose vanno decisamente meglio.
Siete fortunati. In Italia spesso le amministrazioni locali fanno la guerra ai festival.
Anche in molte zone della Spagna le istituzioni non amano i festival. Barcellona, in questo senso, è un’isola felice.
Perché l’Italia non ha un suo Primavera Sound?
Non saprei, vengono molti italiani qui al Primavera. Anche in Italia ci sono cose interessanti, come Tutto molto bello, il torneo di calcetto per le etichette indipendenti. Penso che l’idea giusta sia quella di ripartire dai piccoli eventi e farli crescere piano piano. Investire cifre alte per creare da zero dei grandi eventi non è sempre una buona idea.
Un artista che vorreste portare al Primavera Sound nei prossimi anni?
Posso dire gli stessi nomi che dicono quasi tutti gli organizzatori. David Bowie, magari. Qualche anno fa siamo stati molto vicini a ingaggiarlo, ma poi ha avuto problemi di salute e si è ritirato dalla musica dal vivo. Anche una reunion degli Smiths o dei Talking Heads, non sarebbe male. Mi piacerebbe organizzare una cosa intima con Tom Waits all’auditorium, ma anche in questo caso non sarebbe semplice.