Nel 2016, mentre seguivo la campagna elettorale in Colorado, ho conosciuto Susan Sutherland, vicepresidente dell’organizzazione antiabortista Colorado right to life. Mi aveva dato appuntamento davanti all’ingresso di una clinica dove si praticano aborti alla periferia est di Denver. Quando sono arrivato l’ho trovata arrampicata su una scala davanti alla recinzione della clinica, mentre cercava di convincere le donne che erano nel parcheggio a cambiare idea. Di Sutherland, una donna bionda sulla cinquantina, mi è rimasta impressa la naturalezza con cui passava dalla cortesia – quando si rivolgeva a me, ad altri giornalisti o alle persone che chiedevano informazioni sulla sua organizzazione – alla violenza verbale contro le donne che entravano nella clinica nonostante i suoi ammonimenti.

Era un comportamento che mi colpiva a livello politico, oltre che umano. Non capivo come gli insulti e le minacce potessero aiutare la sua causa. Mi sembrava inevitabile che alla lunga quel modo di fare avrebbe infastidito anche persone con posizioni moderate sull’aborto, relegando Sutherland e le organizzazioni radicalmente antiabortiste ai margini della politica e della società statunitense.

Mi sbagliavo. Non perché la radicalizzazione sull’aborto non abbia danneggiato i repubblicani negli ultimi anni. In Colorado il diritto all’aborto non è affatto in discussione – lo stato ha una legislazione particolarmente permissiva in merito, visto che consente di interrompere una gravidanza anche dopo la 24esima settimana – e la sentenza della corte suprema che ha cancellato il diritto all’aborto a livello federale, frutto di decenni di attivismo delle organizzazioni pro life, ha fatto perdere molti voti alla destra nelle elezioni del 2022.

Ma il fatto è che gli attivisti come Sutherland non puntano quasi mai a creare un consenso ampio. L’obiettivo piuttosto è far crescere il proprio peso all’interno del partito di riferimento, e un po’ alla volta portarlo su posizioni estreme. La struttura del sistema politico statunitense – con due soli grandi partiti, sistemi elettorali maggioritari ed elezioni primarie a tutti i livelli che tendono a premiare i candidati più impegnati – aiuta questo tipo di operazioni. Il meccanismo contribuisce a spiegare perché il Partito repubblicano si è spostato su posizioni sempre più radicali sull’aborto anche se la maggioranza degli statunitensi vuole preservare questo diritto; un discorso simile si può fare sulle armi, un tema su cui la frangia più radicale della destra riesce a bloccare anche misure timide e di buon senso, sostenute da molti elettori, per limitare la diffusione delle armi.

Una guerra contro le donne
La corte suprema degli Stati Uniti ha cancellato il diritto all’aborto in tutto il paese. Comincia un’era di aborti rischiosi e di criminalizzazione di ogni gravidanza che non si conclude con un parto

Di recente ho pensato spesso a Sutherland, ogni volta che sui giornali statunitensi ho visto notizie sulle donne emergenti del Partito repubblicano, come Kristi Noem, Nancy Mace, Lauren Boebert e Katie Britt. Sono nomi che a noi dicono poco, ma le loro storie aiutano a capire molte cose sulla destra americana e sul paese in generale.

La trasformazione delle donne conservatrici statunitensi è una delle forze che più hanno contribuito a condizionare la società e la politica negli ultimi decenni.

Nel periodo dei grandi cambiamenti sociali, negli anni sessanta e settanta, le donne bianche di destra, fedeli al Partito repubblicano, cercavano di tenere il paese ancorato al centro. Come ha scritto Rebecca Traister in un articolo uscito sul New York Magazine, “si presentavano come materne e contente, con un’acconciatura sobria e le spalle coperte, davano un aspetto confortevole a un partito che voleva rassicurare una nazione nervosa per la liberazione delle donne”. Queste donne erano conservatrici in senso classico – erano contro l’aumento delle tasse e volevano preservare la sfera privata della famiglia dalla presunta prevaricazione del governo – “ma su questioni sociali come l’aborto tendevano a essere su posizioni relativamente liberali, a favore della libertà di scelta”.

È stato così anche negli anni novanta e per buona parte del primo decennio dei duemila. Qualcosa è cambiato con la candidatura di Sarah Palin come vicepresidente al fianco di John McCain, nel 2008. La campagna elettorale di Palin è ricordata come un flop, ma ha segnato uno spartiacque nell’evoluzione della politica femminile di destra. L’aspetto della donna di destra andava svecchiato, e Palin lo fece in un modo che non si era mai visto prima, “conformandosi”, spiega Traister, “a più stereotipi contemporaneamente: aveva una bellezza da bibliotecaria sexy e non si faceva scrupoli a metterla in risalto; aveva un marito macho che correva con le motoslitte e che si era congedato dal suo lavoro nei campi petroliferi per prendersi cura dei cinque figli; usava il suo figlio più piccolo, Trig, nato con la sindrome di Down, come prova di quanto fosse solida la sua opposizione all’aborto. Aveva un istinto nazionalista bianco che la portava a contrapporsi a Barack Obama con un linguaggio da ‘veri americani’, ed è stata la prima a interpretare il personaggio di madre tosta, allo stesso tempo sportiva e minacciosa. Non temeva di rivendicare l’uguaglianza delle donne, sostenendo un ‘nuovo femminismo conservatore’”.

Obama stravinse le elezioni e i repubblicani scaricarono su Palin buona parte delle responsabilità per la sconfitta. Da quella campagna elettorale si cominciò a notare la contraddizione delle donne che cercavano di trovare una collocazione più “moderna” in un partito profondamente maschilista e per certi versi reazionario. Questa contraddizione è esplosa quando il partito è finito sotto il controllo di Donald Trump, “un uomo che è stato il proprietario del concorso di Miss Universo, un adultero seriale che aveva tradito due delle sue mogli ed era sposato con una donna che sembrava essere il suo ideale: un simulacro di ogni aspettativa di femminilità scolpita, lucida e scintillante. Un uomo che liquidava le donne come maiali e cani”.

In questo contesto le donne repubblicane si sono trasformate in un senso ancora più radicale, nel tentativo di rientrare nell’ideale estetico e politico di Trump. Traister racconta la storia di Kristi Noem, governatrice del South Dakota: “Noem è diventata una superstar conservatrice nel 2020, quando si è rifiutata di introdurre qualsiasi misura per contenere il covid. Nel 2022 ha pubblicato un libro, intitolato Not my first rodeo, sulla cui copertina c’era lei seduta a cavallo con un cappello da cowboy e una camicia western rossa, bianca e blu”. Negli anni successivi, quando ha cominciato ad avere l’ambizione di entrare nelle grazie di Trump, “Noem ha intrapreso una sorprendente trasformazione fisica. Sono spariti i pantaloni, i blazer e i capelli arruffati. Ora sfoggia capelli lunghi e ondulati. I suoi zigomi sono spigolosi, le sue labbra morbide, le sue ciglia sono lunghissime e indossa vestiti aderenti. Come ha osservato Vanessa Friedman del New York Times, Noem ha iniziato a somigliare a Lara Trump, la moglie di uno dei figli dell’ex presidente. In altre parole, il tipo di donna che piace a Trump”.

Quest’immagine è associata allo sfoggio della cattiveria come qualità politica, un elemento centrale del trumpismo. Ad aprile Noem è finita al centro delle cronache quando sono stati pubblicati alcuni passaggi inquietanti del suo nuovo libro. In uno la governatrice scriveva di aver ucciso il suo cane di 14 mesi perché aveva aggredito una persona e si comportava male. Noem, che sta cercando di guadagnare punti come potenziale vicepresidente di una seconda amministrazione Trump, descriveva questo episodio come un esempio della sua capacità di fare cose “difficili e complesse ma necessarie”.

L’assalto alla libertà di scelta delle donne è una logica conseguenza di questa nuova identità, e implica un ribaltamento sorprendente. Se un tempo le donne conservatrici erano ostili a qualsiasi forma di intervento dello stato nelle loro vite, oggi chiedono a gran voce ai governi e ai tribunali di intervenire per cancellare i diritti riproduttivi. Sono invece le donne progressiste a occupare con più disinvoltura lo spazio della cultura mainstream. Traister parla di Gretchen Whitmer, governatrice del Michigan e astro nascente del Partito democratico, che l’anno scorso ha cavalcato il successo del film Barbie lanciando sui social una Governor Barbie, e quest’anno ha ritirato un premio vestita completamente di fucsia. La capacità delle donne progressiste di usare e ribaltare simboli tradizionalmente conservatori crea un corto circuito nella destra trumpiana. Si spiega così l’odio nei confronti di Taylor Swift, che è cresciuta nell’America profonda, ha portato la musica country sul palcoscenico mondiale, è fidanzata con un giocatore di football e sostiene cause progressiste.

Questo testo è tratto dalla newsletter Americana.

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