L’attentato a Trump alimenta i rischi di violenza politica
Alle 18.12 del 13 luglio Donald Trump è stato ferito mentre teneva un comizio a Butler, in Pennsylvania: un uomo che si era appostato su un tetto a circa 120 metri dal palco gli ha sparato diversi colpi di arma da fuoco (apparentemente con un Ar-15, un fucile semiautomatico che negli Stati Uniti può essere comprato legalmente e che è stato usato in quasi tutte le stragi degli ultimi anni). L’ex presidente e candidato del Partito repubblicano alle elezioni di novembre è stato colpito di striscio all’orecchio destro. Nei video si vede che si porta una mano all’orecchio e subito dopo si accuccia sotto al podio. A quel punto un gruppo di agenti del secret service (l’agenzia di guardie del corpo che si occupa della sicurezza dei leader politici statunitensi) si lancia su di lui per proteggerlo. Poi Trump riappare, si vedono delle strisce di sangue che partono dall’orecchio e coprono parte del volto. Mentre viene portato via dagli agenti di sicurezza, alza più volte il pugno verso il pubblico, un’immagine che molto probabilmente dominerà la campagna elettorale e resterà nella storia della politica statunitense.
Trump è stato portato in ospedale e dimesso poco dopo. La polizia ha dichiarato che i proiettili hanno colpito anche alcune persone che stavano partecipando al comizio: una è morta e altre due sono state ferite gravemente e ricoverate. Secondo le ricostruzioni, a sparare sarebbe stato Thomas Matthew Crooks, un uomo di vent’anni che viene da Bethel Park, una cittadina della Pennsylvania. Crooks è stato ucciso dagli agenti del secret service. Per il momento non è stato chiarito il movente, e né le autorità né le forze dell’ordine hanno fatto ipotesi.
Molti si sono chiesti com’è possibile che un uomo con un grande fucile sia riuscito ad appostarsi indisturbato sul tetto di un edificio a poca distanza dal comizio di un candidato alla presidenza. Secondo le ultime notizie, l’edificio da cui ha sparato Crooks era fuori dal perimetro di sicurezza controllato dal secret service, e questo potrebbe spiegare come abbia fatto l’attentatore a salire sul tetto con il fucile. Il fallimento della sicurezza sembra comunque evidente. Qui una ricostruzione più dettagliata degli eventi.
Il tentativo di assassinare Trump arriva in un momento già molto delicato, e avrà ripercussioni non solo sulla campagna elettorale ma anche sulla traiettoria politica degli Stati Uniti nel medio e lungo termine. Le risposte ad alcune domande arriveranno con il tempo, ma intanto possiamo già notare che gli alleati di Trump non hanno intenzione di abbassare i toni e di smorzare la tensione.
J.D. Vance, senatore dell’Ohio che a quanto pare ha buone probabilità di essere scelto da Trump come candidato alla vicepresidenza, ha scritto sui social network che la sparatoria non è stata “solo un incidente isolato. La premessa centrale della campagna di Biden è che Trump è un fascista autoritario che deve essere fermato a tutti i costi. Questa retorica ha portato direttamente al tentativo di assassinio di Trump”.
Il senatore Mike Lee, dello Utah, ha subito chiesto a Biden di ritirare tutte le accuse nei processi federali contro l’ex presidente. Tim Scott, senatore della South Carolina, ha scritto sui social: “Siamo chiari: questo è stato un tentativo di assassinio aiutato e favorito dalla sinistra radicale e dai mezzi d’informazione che incessantemente definiscono Trump una minaccia per la democrazia, fascista o peggio”.
Chris LaCivita, uno dei principali funzionari della campagna elettorale di Trump, ha espresso sui social un sentimento simile a quello di Vance, attribuendo la colpa dell’attacco agli sforzi degli avversari politici di Trump per ostacolare la sua candidatura. “Naturalmente hanno cercato di tenerlo fuori dalle elezioni, hanno cercato di metterlo in prigione e ora succede questo…”, ha scritto LaCivita su X in un post che ha cancellato poco dopo.
Queste dichiarazioni mostrano il tentativo di ribaltare il modo in cui si è parlato della violenza politica negli ultimi anni negli Stati Uniti. Gli attacchi ai rivali sono da sempre un elemento centrale del trumpismo, e spesso hanno trovato la loro principale espressione proprio nei comizi dell’ex presidente. In passato le persone che contestavano Trump durante questi eventi erano aggredite, spesso su richiesta esplicita del leader repubblicano. Più volte Trump ha definito “parassiti” i suoi avversari e ha avvertito che potrebbe esserci un “bagno di sangue” se non dovesse vincere a novembre. Andando un po’ più indietro, il più grave episodio di violenza politica nella storia recente degli Stati Uniti si è verificato il 6 gennaio 2021, quando una folla aizzata dall’ex presidente ha attaccato e saccheggiato il congresso degli Stati Uniti.
Nel breve periodo, l’attacco del 13 luglio sembra destinato a inasprire una campagna elettorale già estremamente tesa. Trump è in testa ai sondaggi con una campagna incentrata sulla punizione dei politici che lo contrastano e che rivela pulsioni autoritarie (ha detto che almeno per un giorno vorrebbe avere i poteri di un dittatore). Tutto questo mentre la posizione di Biden come candidato del Partito democratico è in discussione per via dei dubbi sulla sua età e sulla sua lucidità mentale.
Già prima del dibattito tv del 27 giugno, in cui Biden è sembrato estremamente fragile, Trump aveva puntato sul contrasto fisico con il suo avversario, cercando di trasmettere forza e vigore in ogni evento pubblico. La convention del Partito repubblicano, che comincia domani, gli darà un palcoscenico per presentarsi al paese come una vittima della violenza politica e allo stesso tempo come un eroe inscalfibile. “Il pugno alzato diventerà il simbolo della convention”, ha previsto Mike Murphy, esperto stratega repubblicano che si è opposto alla candidatura dell’ex presidente. È molto probabile che Trump guadagnerà ulteriormente terreno nei sondaggi, con più elettori indipendenti (quelle persone che non si identificano con nessun partito politico) che si sposteranno dalla sua parte. “Ci sarà un po’ di buona, vecchia compassione americana per Trump”, ha previsto Murphy.
Il presidente Biden ha condannato l’attacco contro il suo rivale (con cui avrebbe parlato al telefono), sostenendo che negli Stati Uniti non c’è posto per questo tipo di violenza. La storia statunitense suggerisce il contrario.
In tre cicli elettorali consecutivi, durante gli anni sessanta e i primi anni settanta, ci sono stati attentati contro candidati presidenziali. L’ultimo episodio di questo tipo risale al 1972, spiega il New York Times, quando il governatore dell’Alabama George C. Wallace fu colpito da un proiettile mentre faceva campagna elettorale in un centro commerciale vicino a Washington. Wallace rimase parzialmente paralizzato e dovette usare una sedia a rotelle fino alla sua morte, nel 1998.
Quattro anni prima Robert F. Kennedy, senatore ed ex procuratore generale degli Stati Uniti, favorito per vincere le primarie del Partito democratico, fu colpito e ucciso da un proiettile in un hotel di Los Angeles. Suo figlio Robert F. Kennedy Jr. è attualmente in corsa per la presidenza come candidato indipendente e ha chiesto la protezione del secret service, senza ottenerla. Il presidente John F. Kennedy, fratello maggiore di Robert F. Kennedy, fu ucciso da Lee Harvey Oswald mentre era in visita a Dallas nel novembre 1963, un anno prima delle elezioni in cui avrebbe chiesto un secondo mandato.
Prima del 13 luglio 2024, ci sono stati almeno quindici attentati contro presidenti, presidenti eletti e candidati alla presidenza. Nel 1975 ci furono due tentativi di assassinio contro il presidente Gerald R. Ford in meno di tre settimane. Nel marzo 1981, circa due mesi dopo il suo insediamento, il presidente Ronald Reagan fu colpito e gravemente ferito fuori da un hotel di Washington da John W. Hinckley Jr., un uomo che aveva cercato di attirare l’attenzione dell’attrice Jodie Foster dopo averla vista nel film Taxi Driver.
Il fatto che per più di quarant’anni non si siano compiuti attentati così eclatanti non significa che la violenza politica sia diminuita. Come raccontava lo scorso anno Adrienne LaFrance in un lungo articolo uscito sull’Atlantic, gli Stati Uniti stanno affrontando un tipo di violenza estremista – diffusa e a bassa intensità – che non sanno come fermare. “Negli ultimi anni gli americani hanno contemplato lo scenario peggiore, in cui le estreme e crescenti divisioni portano a una seconda guerra civile. Ma quello che il paese sta vivendo ora – e che probabilmente continuerà a vivere per una generazione o più – è qualcosa di diverso. La forma di estremismo che stiamo affrontando è una nuova fase di terrore interno, caratterizzata da individui radicalizzati con ideologie mutevoli disposti a uccidere i loro nemici politici. Una condizione che, se non sarà messa sotto controllo, potrebbe aprire un’era di anarchia al rallentatore”.
Di recente alcuni sondaggi hanno rivelato che un numero ridotto, ma non trascurabile, di americani sostengono l’idea di usare la violenza per promuovere le idee politiche.
Questo testo è tratto dalla newsletter Americana.
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