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Come Kamala Harris ha imbrigliato Donald Trump

Chicago, 22 agosto 2024. Kamala Harris al termine del suo discorso alla convention democratica. (Hannah Beier, Bloomberg/Getty Images)

Giorni fa Donald Trump ha parlato davanti a una folla ad Asheboro, in North Carolina, circondato da pannelli antiproiettile. Era il suo primo comizio all’aperto dopo l’attentato subìto a Butler, in Pennsylvania, il mese scorso. Trump sembrava dentro una scatola di vetro, un’immagine che simbolicamente descrive il punto in cui si trova adesso nella campagna elettorale. È bloccato in una scatola che gli hanno costruito intorno Kamala Harris e i democratici, e per ora fa fatica a uscirne.

Nell’ultima newsletter dicevamo che le possibilità di vittoria di Harris alle elezioni presidenziali dipendono dalla sua capacità di ricompattare l’elettorato democratico, ridando entusiasmo e speranza alle tante persone scontente della candidatura di Joe Biden, e al tempo stesso di ricalibrare la sua figura pubblica in modo da riuscire a conquistare consensi anche tra gli elettori più moderati. Da fine luglio la vicepresidente sembra essere riuscita a fare entrambe le cose in modo abbastanza sorprendente. Secondo alcuni è una svolta senza precedenti, se si considera quanto Harris fosse impopolare solo un mese fa.

Andiamo un po’ nello specifico.

Per prima cosa, Harris sembra aver risolto il problema principale che avevano i democratici quando Biden era il candidato, cioè la perdita di consensi tra gli elettori afroamericani e quelli di origine latinoamericana. I numeri del presidente erano così disastrosi da compromettere completamente le sue possibilità di vittoria in stati con percentuali rilevanti di elettori neri e ispanici, anche in alcuni in cui aveva vinto nel 2020; dopo che Harris è diventata candidata il sostegno di questi gruppi elettorali per i democratici è tornato su livelli simili alle elezioni precedenti, una novità che da sola cambia la dinamica del voto. Quando sentite dire che “Harris ha allargato la mappa elettorale” si sta parlando di questo: il sostegno delle minoranze potrebbe permetterle di essere competitiva in stati come Georgia e North Carolina, dove i neri rappresentano una percentuale rilevante degli elettori, e in Arizona e in Nevada, dove il voto degli ispanici ha un gran peso.

Paradossalmente Harris è stata aiutata dal fatto di essere entrata nella corsa all’improvviso, con un’energia che ha fatto risaltare il contrasto con Biden

Harris sembra guadagnare consensi anche tra i giovani, che erano i più freddi sulla candidatura di Biden, e tra le donne, come era prevedibile vista la sua battaglia da vicepresidente a favore della libertà di scelta sull’aborto (una dinamica che potrebbe avere implicazioni importanti, se si considera che le donne tendono a votare più degli uomini e in genere rappresentano una quota leggermente maggiore dell’elettorato).

Ma l’elemento più sorprendente che ha contribuito alla crescita di Harris riguarda i consensi guadagnati tra gli indipendenti, cioè quegli elettori che non si identificano con nessun partito e tendono a essere più moderati. Come ci è riuscita? Ci sono fattori diversi.

Paradossalmente Harris è stata aiutata dal fatto di essere entrata nella corsa quasi all’improvviso, e con un’energia che ha fatto risaltare all’istante il contrasto con Biden, soprattutto a livello anagrafico. Alcuni dati mostrano che sull’inflazione, il tema in cima alla lista delle preoccupazioni degli americani, Harris è considerata meno responsabile di quanto lo sia Biden, pur facendo parte della sua amministrazione. In altre parole, la sua rapida ascesa potrebbe aver portato alcune persone a vederla come un’outsider, in un certo senso togliendo a Trump il ruolo di “sfidante”.

Poi c’è stato un chiaro cambio di tono nella campagna elettorale dei democratici, che con una candidata più giovane e combattiva hanno potuto cominciare a parlare di futuro – invece che limitarsi a prevedere un ritorno al passato in caso di vittoria di Trump – e questo probabilmente li fa sembrare più credibili tra chi si rifiuta di vedere la politica come uno scontro all’ultimo sangue tra fazioni contrapposte.

Le radici di Kamala Harris
L’influenza della madre, l’attivismo nei movimenti giovanili, i rapporti con l’élite politica di San Francisco, le scelte da procuratrice. Da dove viene la candidata democratica che sfida Donald Trump alle presidenziali statunitensi

Soprattutto, con Harris è cambiato il modo in cui i democratici si confrontano con l’ingombrante figura di Trump. Per Biden l’obiettivo è sempre stato quello di ingigantirlo, per far venire fuori i suoi limiti politici e caratteriali. Questa strategia ha funzionato nel 2020, quando Trump era un presidente in carica molto impopolare; ma con l’avvio della campagna elettorale del 2024, quando era Biden il presidente impopolare, la dinamica si è ribaltata: la sua età e i suoi passi falsi hanno continuato ad attirare più interesse di Trump e della sua palese inadeguatezza. Harris e Tim Walz, il suo candidato alla vicepresidenza, insistono sul fatto che Trump, il suo candidato vice J.D. Vance e gli altri intorno a loro sono strambi, inquietanti, più che pericolosi. Come ha scritto Ezra Klein in un articolo che pubblichiamo questa settimana su Internazionale, puntano a far sembrare Trump più piccolo, e più debole.

Un altro fattore è il posizionamento politico. Harris ha preso le distanze da alcune sue posizioni impopolari prese durante la campagna per le primarie del 2020, cercando di ridefinirsi come una candidata più moderata. Nel giro di pochi giorni ha rinnegato il suo impegno contro il fracking, il sostegno all’assistenza sanitaria universale e le proposte per ridurre i fondi della polizia. Ha potuto farlo senza creare spaccature nel partito perché le pressioni per spostarla a sinistra si sono ridotte rispetto a qualche anno fa – va anche detto che alcune delle proposte progressiste, per esempio su economia e crisi climatica, fanno ormai parte dell’agenda politica democratica – e perché la prospettiva di una vittoria di Trump, che a un certo punto sembrava inevitabile, ha spaventato a morte tutto il partito facendo da collante.

Appena quattro mesi fa qualcuno pensava che il Partito democratico potesse sprofondare nel caos per le divisioni sulla guerra di Israele a Gaza; invece alla convention di Chicago di questa settimana è sembrato chiaro che Harris – che ha seguito fedelmente la linea della sua amministrazione sul Medio Oriente – non sta pagando lo stesso prezzo elettorale per la guerra a Gaza rispetto a Biden quando era candidato alla presidenza. I più importanti critici di Israele nel partito la sostengono. E le proteste pro-palestinesi, che secondo alcuni avrebbero potuto rovinare il clima della convention, sono state molto meno partecipate del previsto.

A proposito dell’immigrazione, uno dei temi su cui i repubblicani insisteranno di più per metterla in difficoltà, la strategia di Harris prevede di prendere di petto il problema invece di stare sulla difensiva. In uno dei suoi primi spot elettorali si è presentata come “una procuratrice di frontiera”, ha sottolineato il suo impegno per mandare in carcere i trafficanti di esseri umani e ha promesso di assumere migliaia di nuovi agenti. Ha detto qualcosa di simile nel discorso con cui ha accettato la nomination, il 22 agosto.

Politico ha scritto che Harris sta cercando di somigliare il più possibile a una “democratica generica”, cioè una politica di buon senso lontana dall’immagine estremista che i repubblicani cercano di appiccicarle addosso, e mentre gli elettori imparano a conoscerla, non sembrano particolarmente preoccupati per le sue posizioni politiche passate.

A Chicago la vicepresidente ha cercato di approfondire questo discorso, usando il momento di massima visibilità nazionale per inquadrare la sua storia personale e familiare nel grande racconto americano e per rassicurare gli elettori incerti sul suo percorso politico. Si è impegnata a “superare l’amarezza, il cinismo e le battaglie divisive del passato. Una possibilità di tracciare una nuova strada per il futuro”. Ha commentato Molly Ball sul Wall Street Journal: “Il discorso di Harris alla nazione è stato il classico intervento pensato per trasmettere normalità. C’erano note di ottimismo e appelli alla classe media, per comunicare fermezza e fiducia, un tono uniforme davanti a uno sfondo simile a un’aula di tribunale, con pannelli di legno e bandiere americane. Ci sono stati pochi momenti di poesia, solo una donna di 59 anni che ha raccontato a una nazione curiosa da dove viene e cosa spera di ottenere. Come ha sottolineato la sua campagna elettorale, alla convention democratica ‘non c’erano palloncini dorati’”. In altre parole, è riuscita a sembrare “presidenziale”.

Questo riposizionamento dei democratici ha mandato in crisi Trump, perché gli ha tolto quello di cui ha più bisogno – l’attenzione – e ha smussato i principali argomenti della sua campagna elettorale. Come prevedibile, il candidato repubblicano è entrato in una spirale di uscite folli e comportamenti autodistruttivi. Dopo aver sostenuto che Harris non è veramente nera, che Biden ha cambiato idea e vuole riprendersi la nomination, aver fatto affermazioni senza senso sulle folle ai comizi di Harris, qualche giorno fa, parlando a dei poliziotti in Michigan, ha definito la sua sfidante una “marxista”; poi ha pensato bene di dire una cosa antisemita su Josh Shapiro, popolarissimo governatore della Pennsylvania, forse lo stato più importante nel voto di novembre, e di fingere di aver avuto il sostegno di Taylor Swift.

I numeri descrivono il modo in cui questa strategia ha cambiato la corsa presidenziale. Il grafico in basso, preso dalla newsletter di Nate Silver, mostra (nella prima colonna da destra) i punti percentuali guadagnati dai democratici nei sondaggi dopo aver cambiato candidato, a livello nazionale e negli stati considerati decisivi alle elezioni. Si vede che la crescita di Harris rispetto a Biden le ha permesso di andare in vantaggio in molti di quegli stati. Allo stesso tempo, come si vede nella seconda colonna da destra, di recente Trump ha ricominciato a guadagnare qualcosa su Harris. Segno che l’effetto novità della sua entrata in scena si è esaurito. La convention democratica potrebbe darle un’ulteriore spinta, ma poi la corsa si assesterà, e a quel punto comincerà la parte più complicata della campagna elettorale di Harris.

Gli elettori probabilmente la vedranno meno come la sfidante (soprattutto se continuerà a essere data per favorita) e più come la vicepresidente in carica, e storicamente è sempre difficile gestire una campagna elettorale da questa posizione quando buona parte dell’opinione pubblica è scontenta della direzione del paese, ancora di più se il presidente è il più impopolare di sempre.

Harris non potrà più limitarsi a farsi vedere solo in comizi e altri eventi organizzati davanti a folle amichevoli. Dovrà rispondere a vere domande in lunghe conferenze stampa e partecipare a un dibattito televisivo con Trump, il 10 settembre, cioè mettersi alla prova in contesti in cui in passato è andata in difficoltà. Va detto che nel frattempo ha accumulato esperienza e oggi sembra molto più a suo agio nei contesti pubblici.

Inoltre gli stravolgimenti delle ultime settimane non hanno cambiato alcuni elementi decisivi della corsa. Gli elettori nel complesso si fidano molto più di Trump che di Harris sulla sicurezza delle frontiere – con un margine di 14 punti secondo un sondaggio commissionato da Cook – e sono divisi su chi sarebbe migliore per l’economia. Inoltre i sondaggi di Trump sono rimasti stabili dalla fine di luglio, circa il 44 per cento di consensi a livello nazionale, il che significa che Harris ha guadagnato elettori che in precedenza erano indecisi o pensavano di votare per un terzo partito, ma non ha convinto un numero significativo di sostenitori di Trump a cambiare idea.

L’ultima notizia della settimana, la decisione di Robert Kennedy Jr. di sospendere la sua campagna elettorale e di sostenere Trump, difficilmente sposterà voti ed equilibri. Di recente Kennedy Jr., inquietante complottista figlio di Robert Kennedy e nipote di Jfk, ne ha combinate di tutti i colori, perdendo qualsiasi credibilità e quasi tutti i consensi che aveva ottenuto nei primi mesi di campagna elettorale.

Nelle prossime settimane può succedere ancora tanto – siamo in una campagna elettorale in cui c’è già stata la condanna penale di uno dei candidati, un attentato e un cambio tardivo di candidato – ma al momento c’è da aspettarsi un’elezione combattuta. Secondo il modello di previsioni di Nate Silver, Harris ha il 52,8 per cento di possibilità di vincere, Trump il 46,9.

Il secondo grafico mostra il sostegno ai candidati in diversi gruppi elettorali, in percentuale.

Questo testo è tratto dalla newsletter Americana.

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