Nessuno risponde più al telefono
Negli Stati Uniti il telefono è entrato nelle vite quotidiane delle persone all’inizio del novecento. All’epoca nessuno sapeva esattamente come si usava. L’inventore scozzese Alexander Graham Bell voleva che si cominciassero le conversazioni dicendo “Ahoy-hoy!”, mentre la At&t voleva che le persone evitassero di dire “pronto”, perché riteneva che fosse scortese.
Quando il telefono squillava, comunque, c’era un solo imperativo: bisognava rispondere. Era un pensiero che permeava la cultura di tutti, adulti e bambini. In un cartone animato concepito per insegnare ai bambini l’uso del telefono, Hello Kitty sta giocando quando si sente uno squillo. “È il telefono. Evviva!”, dice. “Mamma! Mamma! Suona il telefono. Sbrigati! O riagganceranno”.
Quando ancora non era possibile vedere l’elenco delle chiamate perse, o non esisteva la funzione per richiamare l’ultima persona che ti aveva telefonato, se non rispondevi in tempo non c’era nulla da fare: dovevi aspettare che ti richiamasse. E se quella persona aveva qualcosa di veramente importante da dirti? Perdere una chiamata era terribile. Sbrigati!
Non rispondere al telefono era maleducato e anche un po’ inquietante, come ignorare qualcuno che bussa alla porta. Per questo rispondere era una consuetudine universale.
Frammenti sonori
Personalmente non credo che ci sia bisogno di tornare allo stato originario della cultura del telefono. Si tratta semplicemente di qualcosa che è esistito, come i licheni cresciuti sulle rocce della tundra o i batteri che s’impadroniscono di un frutto caduto da un albero. Il motivo per cui m’interessa scavare in questo strato culturale è perché sta sparendo. Nessuno risponde più al telefono. Anche molte attività commerciali fanno tutto il possibile per evitare di rispondere.
Delle circa cinquanta telefonate che ho ricevuto nell’ultimo mese, avrò risposto a quattro o cinque. Uno dei motivi è che oggi abbiamo più modi per comunicare. I messaggi di testo e le loro alternative multimediali sono meravigliosi, perché mescolano parole con emoji, gif, foto, video, link. Mandare messaggi è divertente, leggermente asincrono, e si può comunicare con più persone contemporaneamente.
Questo tipo di comunicazione ha l’immediatezza di una telefonata, ma non esattamente. Usiamo Twitter, Facebook, Slack, l’email, le chiamate su FaceTime e riceviamo continuamente le notifiche. Quest’abbondanza di suoni ha reso obsolete le suonerie del telefono.
Ma c’è un altro motivo per cui, ultimamente, reagisco con sospetto allo squillo del telefono. La maggior parte delle telefonate che ricevo sono spam. Ci sono le telefonate robotizzate con messaggi preregistrati. Ci sono i cibervenditori dei call center, che leggono frammenti sonori preregistrati per simulare una conversazione. Ci sono le telefonate il cui unico obiettivo è verificare che il numero sia attivo. Sono almeno dieci anni che la Commissione federale statunitense per le comunicazioni cerca di limitare le telefonate robotizzate, ma non sembra aver invertito la tendenza.
Spesso, quando faccio l’errore di rispondere al telefono, parte un messaggio registrato
YouMail è un’app per bloccare le chiamate di questo tipo, e crea una stima di quante telefonate robotizzate si fanno ogni mese. Le cifre sono impressionanti: nell’aprile del 2018 negli Stati Uniti sono state 3,4 miliardi. Le macchine, almeno quei software che possono digitare numeri di telefono, sono economiche. Non si ubriacano, non smettono di lavorare per riprendere gli studi e non hanno figli malati. Semplicemente chiamano, chiamano e chiamano ancora.
Spesso, quando faccio l’errore di rispondere al telefono, non sento altro che silenzio, magari solo per alcuni secondi, il tempo di far intervenire una persona. O forse, se non dico niente, il silenzio dura per un tempo più lungo, finché la macchina non riattacca. A volte parte un messaggio registrato. E la cosa peggiore è che quando rispondo faccio sapere a uno spammer che il mio numero è attivo, un’informazione che rivenderà al prossimo spammer.
Ad aprile ci sono state 3,4 miliardi di telefonate simili. Ogni volta una persona ha dovuto decidere se rispondere o lasciar perdere, accettando il cambiamento.
(Traduzione di Federico Ferrone)
Questo articolo è uscito l’8 giugno 2018 nel numero 1259 di Internazionale, a pagina 115. L’originale era uscito su The Atlantic. Leggi la versione originale.
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