Le frontiere dell’Unione europea si spostano in Africa
Dakar, giugno 2022. C’è grande fermento nella sede dell’ong italiana Cospe, nel quartiere di Sicap Sacre Coeur. Per il progetto Nouvelles perspectives, finanziato dall’Unione europea, sono stati selezionati – insieme alla Federazione europea dei giornalisti (Efj) – otto giornalisti senegalesi, due italiani e due belgi per coprodurre dei reportage sulla questione migratoria tra Senegal ed Europa.
Prende la parola Abdoulaye Mballo, chiamato dai colleghi più giovani “il decano”. Mballo, 66 anni e una carriera di quasi trent’anni alle spalle, è il giornalista che vanta più esperienza del gruppo, con un lungo trascorso alla radio e televisione nazionale, oggi direttore della radio comunitaria Mamacounda Fm e responsabile del sito d’informazione Actumedia.sn: “Vorrei lavorare sui negoziati tra Frontex e il Senegal, visto che da tempo non abbiamo più informazioni su questo tema”.
Quattro mesi prima, l’11 febbraio 2022, durante una conferenza stampa a Dakar, la commissaria per gli affari interni Ylva Johansson, aveva formalizzato la proposta europea di dispiegamento di Frontex – l’agenzia europea della guardia di frontiera e costiera – sulle coste senegalesi, dichiarando: “È la mia offerta e spero che il governo senegalese sia interessato a questa occasione unica”. La rappresentante dell’Ue ha poi aggiunto che, in caso di firma, l’agenzia europea sarebbe sbarcata nel paese al massimo entro l’estate del 2022. Da allora, però, non è più stata diramata alcuna notizia o comunicazione ufficiale, né dall’Unione né dal governo senegalese.
A che punto sono i negoziati per il dispiegamento operativo degli agenti di Frontex in Senegal? Quali sono le condizioni discusse? Qual è la posizione del governo senegalese? Perché nessuna istituzione né africana né europea è trasparente su questo tema? Sono solo alcuni dei quesiti a cui abbiamo cercato delle risposte in otto mesi di lavoro con Abdoulaye Mballo e Philippe Davy Koutiangba, videoreporter burkinabé residente in Belgio, dove collabora con Bel’Afrika Media Tv.
‘È un dispositivo poliziesco altamente costoso e inefficace a risolvere i problemi, tanto africani quanto europei’
Nei giorni successivi all’annuncio di Ylva Johansson, alcune associazioni della società civile senegalese hanno organizzato manifestazioni e sit-in a Dakar contro la firma dell’accordo con Frontex, giudicato contrario agli interessi nazionali e regionali. In un clima politico reso già incandescente dalle elezioni presidenziali del 2024, il presidente del Senegal Macky Sall – fortemente criticato nell’ultimo anno dall’opinione pubblica nazionale e regionale per la malcelata tentazione di ripresentarsi per un terzo mandato formalmente vietato dalla costituzione – ha preferito prendere tempo e riconsiderare le iniziali aperture trapelate sull’accordo con Frontex.
“È un dispositivo poliziesco altamente costoso e inefficace a risolvere i problemi, tanto africani quanto europei, legati alle migrazioni. Per questo è impopolare in Africa. Frontex partecipa, con mezzi militari, a erigere muri in casa nostra, trasferendo il confine europeo sulle coste senegalesi. E questo è inaccettabile. Se mai i nostri dirigenti politici l’avessero accettato, la popolazione senegalese e africana non sarebbe stata d’accordo”.
Seydi Gassama è il direttore esecutivo di Amnesty international in Senegal. “L’Unione europea fa molta pressione sugli stati africani. Gran parte degli aiuti allo sviluppo europei sono ormai condizionati dalle politiche per l’esternalizzazione delle frontiere. Gli stati africani devono essere in grado di giocare un ruolo attivo in questa partita, non devono accettare quello che gli viene imposto, cioè delle politiche contrarie agli interessi delle loro comunità”. Nella sua analisi le rimesse dei migranti hanno un peso cruciale in Senegal: secondo i dati della Banca mondiale, nel 2021 hanno raggiunto i 2,66 miliardi di dollari, il 9,6 per cento del prodotto interno lordo, ossia quasi il doppio della totalità degli aiuti internazionali allo sviluppo destinati al paese africano, pari a 1,38 miliardi di dollari nel 2021. “Oggi, visitando la maggior parte dei villaggi senegalesi, che siano nelle regione del Futa, in Senegal orientale o in Alta Casamance, si nota chiaramente che tutto ciò che funziona (gli ospedali, i dispensari, le strade, le scuole) è stato costruito grazie alle rimesse delle persone emigrate”, afferma.
“Lasciare il proprio luogo di nascita per vivere in un altro paese è un diritto umano fondamentale, sancito dall’articolo 13 della Convenzione di Ginevra del 1951”, continua Gassama. “Delle società capitaliste come quelle dell’Unione europea non possono dire ai paesi africani: ‘Voi dovete accettare la libera circolazione dei capitali e dei servizi, mentre noi non accettiamo la libera circolazione della forza lavoro’. Questo crea un problema anche rispetto alla filosofia liberale applicata nella maggior parte dei paesi europei, secondo cui lo sviluppo è frutto della somma tra capitale e lavoro”.
Il dirigente di Amnesty international propone una soluzione: “L’Europa dovrebbe garantire delle vie di migrazione regolare, oggi quasi inesistenti, e contemporaneamente affrontare le radici profonde dell’esclusione, della povertà, della crisi democratica e dell’instabilità dei paesi dell’Africa occidentale per dare ai giovani prospettive alternative all’emigrazione forzata e al reclutamento nelle file di gruppi jihadisti”.
Una politica disumana
È della stessa opinione Mamadou Mignane Diouf del Forum sociale senegalese (Fss): “L’Unione europea si comporta in maniera paradossale, inumana, intellettualmente e diplomaticamente disonesta”. Il coordinatore dell’Fss cita i recenti casi dell’accoglienza riservata ai profughi ucraini scappati dalla guerra e li paragona ai continui naufragi nel Mediterraneo e nell’oceano Atlantico, con la chiusura dei porti italiani alle imbarcazioni delle ong internazionali impegnate in operazioni di ricerca e salvataggio. “Che mondo è quello in cui i diritti umani sono concessi solo a qualcuno a seconda della provenienza? Quale giustizia sociale c’è nel respingere imbarcazioni di naufraghi che bussano alle porte dell’Europa e costringerli a tornare nei lager libici?”. Anche Diouf chiama in causa l’agenzia europea della guardia di frontiera e costiera. “A ogni incontro internazionale sulle migrazioni ripetiamo ai dirigenti europei che se investissero un terzo di quanto indirizzano a Frontex in politiche trasparenti di sviluppo locale, i giovani africani non sarebbero più costretti a partire”. Il budget totale di cui beneficia Frontex, in costante aumento dal 2014, nel 2022 ha superato i 754 milioni di euro, contro i 535 milioni dell’anno precedente.
Durante l’inchiesta Abdoulaye Mballo, che vive a Vélingara, cittadina della regione sudoccidentale di Kolda, è andato più volte nella capitale, affrontando lunghi viaggi in autobus. Nonostante le reiterate richieste d’intervista, formalizzate sia via mail sia via posta ordinaria, in otto mesi nessuna autorità senegalese ha accettato di rispondere alle domande. “Il governo è consapevole di quanto la questione sia sensibile per l’opinione pubblica nazionale e regionale, per questo non ne vuole parlare. E probabilmente non lo farà prima delle presidenziali del 2024”, confida, chiedendo l’anonimato, un politico senegalese che sottolinea come la questione migratoria sia diventata, negli ultimi anni, tanto un collante per la società civile, quanto un tabù per la classe politica dell’Africa occidentale.
Boubacar Seye, direttore dell’ong Horizon sans frontières, parla chiaramente di “gestione catastrofica e inumana delle frontiere e dei fenomeni migratori, che dal 1990 ha causato più di 45mila morti nel mar Mediterraneo di cui nessuno parla, nonostante le leggi oppressive e repressive dei paesi d’accoglienza, che calpestano apertamente il diritto internazionale”.
Secondo le stime fornite da un dettagliato rapporto dell’ong spagnola Caminando fronteras, impegnata nel monitoraggio quotidiano di quella che chiamano la “necrofrontiera occidentale euro-africana”, tra il 2018 e il 2022 almeno 7.865 persone di trentuno paesi diversi, di cui 1.273 donne e 383 bambini, hanno trovato la morte cercando di raggiungere le coste spagnole delle isole Canarie, a bordo di piroghe di legno e gommoni malconci. È una delle rotte migratorie più pericolose e mortali al mondo, con il triste record negli ultimi cinque anni di sei morti al giorno e almeno 250 imbarcazioni scomparse dai radar e affondate con tutti i passeggeri a bordo.
Una rotta pericolosa
L’ultimo naufragio di cui si ha notizia è avvenuto il 2 ottobre 2022. Secondo il racconto di un ragazzo ivoriano di 27 anni, l’unico sopravvissuto, l’imbarcazione è colata a picco dopo nove giorni di navigazione, portando con sé 33 persone. Per contrastare e controllare questo flusso – stando alle cifre fornite dal ministero dell’interno spagnolo circa 15mila persone sono arrivate alle Canarie nel 2022, in diminuzione rispetto al 2021 (21mila) e al 2020 (23mila) – la guardia civil spagnola è presente con navi ed elicotteri sulle coste del Senegal e della Mauritania nel quadro dell’operazione Hera, attiva dal 2006 (l’anno della cosiddetta “crisi delle piroghe”) grazie ad accordi di cooperazione militare con entrambi i paesi africani e in coordinamento con Frontex.
Seye, che dopo anni di lotta sulle due sponde ha ottenuto la cittadinanza spagnola, denuncia: “Le frontiere dell’Europa sono diventate luoghi di sofferenza, dei cimiteri, invece di essere intrecci di comunicazione e condivisione, nel rispetto dello spirito di libera circolazione di Schengen. L’Europa si sta barricando dietro frontiere giuridiche, politiche e fisiche. Oggi sono dotate di mezzi di sorveglianza molto avanzati. Ma, nonostante tutto, i naufragi e le stragi d’innocenti continuano. C’è evidentemente un problema”.
Una domanda su tutte lo tormenta: “Quanti fondi sono stati destinati in questi anni di lotta all’emigrazione irregolare in Africa? Non c’è mai stata una valutazione. Chiedere pubblicamente una revisione trasparente dei conti, come cittadino europeo e come ricercatore, mi è costato la prigione (è stato detenuto una ventina di giorni nel gennaio 2021, ndr)”. Dalla finestra del suo ufficio scruta l’oceano e lancia un’allerta: “L’era postcovid e postguerra in Ucraina genererà ancora più tensioni geopolitiche legate alle migrazioni”.
Il futuro è l’Europa?
Bruxelles, novembre 2022. Per la trasferta in Belgio Abdoulaye Mballo sfoggia vestiti eleganti, ma soffre il vento gelido e il freddo pungente dell’autunno europeo. Si scatta dei selfie davanti alla sede locale dell’europarlamento e a un grande murales con la scritta “Il futuro è l’Europa” che copre l’intero fianco di un palazzo poco distante.
Conosciamo professori, esperti di migrazioni e militanti di alcune associazioni belghe che solidarizzano con la sponda meridionale, denunciando l’approccio neocoloniale delle politiche migratorie dell’Unione europea. Più difficile, invece, scambiare qualche parola con gli europarlamentari, che corrono indaffarati tra un’ala e l’altra del parlamento, dove si entra solo su invito. Poche ore prima della fine della missione, però, riusciamo a incontrare in un bar poco lontano Amandine Bach, consigliera politica sulla questione migratoria del gruppo parlamentare The Left. “Siamo l’unico partito che si oppone sistematicamente a Frontex come strumento di polizia per gestire e contenere i flussi migratori in direzione dell’Unione europea”, spiega.
Ci tiene a sottolineare la differenza tra “status agreement” (accordo di status) e “working arrangement” (accordo di lavoro). “Non è un semplice cavillo giuridico. Il primo, cioè quello inizialmente proposto al Senegal, è un accordo formale che permetterebbe a Frontex un dispiegamento operativo a tutti gli effetti ed è negoziato dalla Commissione europea per poi passare al voto dell’europarlamento, che può solo ratificare o meno, senza possibilità di proporre emendamenti. Il secondo, invece, è più simbolico che operativo e, fornendo un quadro giuridico più semplice, non sarebbe discusso dal parlamento, non comporterebbe un dispiegamento di agenti e mezzi, ma regolerebbe la cooperazione e lo scambio d’informazioni tra l’agenzia europea e gli stati terzi”. Altra differenza sostanziale è che solo lo status agreement può concedere, a seconda di quanto negoziato tra le parti, l’immunità parziale o totale degli agenti di Frontex sul suolo non europeo. “Attualmente l’agenzia ha accordi di questo tipo in vigore nei Balcani, con dispiegamenti in Serbia e Albania, presto sarà operativo anche in Macedonia del Nord e, forse, anche in Bosnia, dove sono in corso negoziati”.
Prima di congedarci, Amandine Bach ci informa che il mese successivo, a fine dicembre del 2022, due parlamentari, Cornelia Ernst (The Left) e Tineke Strik (Verdi), saranno nominate relatrici dell’europarlamento per l’accordo con Frontex rispettivamente con il Senegal e con la Mauritania. Non appena sarà ufficializzato l’incarico, potremo intervistare Ernst. Un incontro che si concretizza nel febbraio del 2023, sempre a Bruxelles, questa volta all’interno della sede del parlamento europeo.
La relatrice per l’accordo tra Frontex e il Senegal va dritta al punto: “Sono scettica, ho molte perplessità su questo tipo di accordi. La Commissione europea non sta discutendo solo con il Senegal, ma anche con la Mauritania e altri paesi africani. Il Senegal è un paese di transito di migranti provenienti da tutta l’Africa occidentale, per questo l’Unione europea offre soldi nella speranza che accetti di bloccarli. Noi pensiamo che ciò metta a rischio la libertà di movimento e altri diritti fondamentali delle persone, così come lo sviluppo dei paesi coinvolti, com’è già successo in Sudan”. Poi rivela: “Ho sentito che Dakar in questo momento non è interessata a discutere un accordo (status agreement), ma al limite un negoziato (working arrangement) con Frontex. Mentre la Mauritania sta negoziando un accordo sostanziale che dovrebbe prevedere un dispiegamento di Frontex nel paese”.
Secondo Cornelia Ernst, l’approccio tipico di Frontex è inviare agenti, armi, veicoli, droni, imbarcazioni e sofisticati strumenti di sorveglianza, come le telecamere termiche, oltre a fornire l’addestramento alle guardie di frontiera locali. “Così intendono ‘proteggere’ l’Europa impedendo ai rifugiati di avanzare nel loro viaggio. La domanda è: cosa succederà ai rifugiati bloccati in Senegal? Ne dobbiamo discutere con le autorità senegalesi. Così come dobbiamo capire l’impatto sull’economia locale e sulla pesca dell’arrivo delle navi europee nelle acque dell’oceano Atlantico. Abbiamo molti esempi negativi dell’azione di Frontex in Europa, perciò abbiamo bisogno di più informazioni pubbliche su questi accordi perché, se saranno firmati, avranno un grosso impatto”.
Un ruolo centrale
Principale strumento di dissuasione delle partenze irregolari messo in campo dall’Unione europea come risposta alla “crisi migratoria del 2015-2016”, nel 2019 Frontex ha beneficiato di un sostanziale rafforzamento del proprio mandato, con l’impiego di diecimila guardie di frontiera previste entro il 2027 (oggi sono circa 1.500) e maggiori poteri in tema di rimpatri e cooperazione con paesi extraeuropei, anche non direttamente confinanti con l’Unione europea. Nel 2021, però, alcune inchieste giornalistiche hanno portato a indagini ufficiali. Un rapporto della corte dei conti europea dell’agosto 2021 parla dell’“inefficacia di Frontex nella lotta all’immigrazione irregolare e alla criminalità transfrontaliera”.
Un rapporto dell’ufficio europeo di lotta antifrode (Olaf), pubblicato nel marzo del 2022, ha invece fatto emergere sue responsabilità dirette e indirette in “atti di cattiva condotta” tra cui molestie, violazioni dei diritti fondamentali in Grecia e respingimenti illegali di migranti in operazioni di rimpatrio dall’Ungheria (continuate nel 2020, nonostante una sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea ne abbia stabilito l’incompatibilità con il diritto comunitario). Violazioni che chiamano in causa le più alte cariche di Frontex, minuziosamente riportate anche dal Frontex scrutiny working group (Fswg), la commissione d’inchiesta istituita nel febbraio del 2021 dal parlamento europeo per “monitorare in modo permanente tutti gli aspetti del funzionamento di Frontex”.
Un polverone che ha portato, nel marzo del 2021, alla decisione del parlamento europeo di sospendere temporalmente l’estensione del bilancio di Frontex e, a maggio del 2022, alle dimissioni di Fabrice Leggeri, a capo dell’agenzia dal 2015. Dopo la sostituzione del direttore e la promessa di ampliare l’unità diritti umani, Frontex ha però continuato ad ampliare il suo campo di azione e, soprattutto, il suo budget. Una tendenza che indica chiaramente l’importanza strategica di Frontex nelle politiche migratorie della Commissione europea, incentrate sulla militarizzazione e sull’esternalizzazione di difesa, controllo e gestione delle frontiere comunitarie.
La responsabile della comunicazione di Frontex Paulina Bakula, rispondendo via mail alle nostre domande, scrive: “Manteniamo uno stretto rapporto di cooperazione con le diverse autorità senegalesi responsabili della gestione delle frontiere e della lotta alla criminalità transfrontaliera, in particolare con la Direzione generale della polizia nazionale, ma anche con la gendarmeria, l’aeronautica e la marina”. La cooperazione con il Senegal, infatti, è stata rafforzata con l’introduzione di un ufficiale di collegamento di Frontex a Dakar nel gennaio 2020. “Data la continua pressione sulla rotta isole Canarie-oceano Atlantico il Senegal rimane uno dei paesi prioritari per la cooperazione operativa di Frontex in Africa occidentale”, continua Paulina Bakula. “Tuttavia, in assenza di un quadro giuridico per la cooperazione con il Senegal, al momento l’agenzia ha possibilità molto limitate di fornire supporto operativo”.
Dopo aver precisato che – a differenza degli accordi operativi già esistenti nei Balcani – “attualmente nessun quadro giuridico è stato definito con alcuno stato africano”, Frontex indica che “durante la visita della commissaria Johansson in Senegal, nel febbraio 2022, è stato proposto alle autorità senegalesi di avviare i negoziati per un accordo di status con l’Unione europea”. Se in un primo momento (19 gennaio 2023) l’agenzia sostiene che le discussioni con il Senegal siano in atto, in una mail successiva (1 febbraio 2023) dichiara che “mentre i negoziati della Commissione europea con il Senegal per la conclusione di uno status agreement non sono ancora cominciati, Frontex è a conoscenza di negoziati in corso tra la Commissione e la Mauritania”.
Chiamata a rispondere delle preoccupazioni della società civile senegalese circa il rispetto dei diritti umani in caso di un dispiegamento operativo in Africa occidentale, Paulina Bakula scrive: “Gli accordi di status vengono stipulati solo a seguito di una valutazione della Commissione europea sulla situazione dei diritti fondamentali del paese terzo interessato e relativa alle aree coperte, che viene condivisa con il parlamento europeo. Ad oggi, non ci sono dispiegamenti in nessun paese africano a causa dell’assenza di tali accordi di status. Se in futuro l’Europa dovesse concludere accordi di questo tipo con i partner africani, sarà responsabilità di Frontex assicurare l’attuazione nel pieno rispetto dei diritti fondamentali e garantire l’esistenza di garanzie efficaci durante le attività operative”.
Grazie alla perseveranza di Abdoulaye Mballo, da alcuni scambi informali è emerso che il governo del Senegal ha rifiutato di discutere il dispiegamento di Frontex, ponendo l’accento sul binomio migrazioni-sviluppo, mentre la Mauritania ha accettato la logica migrazioni-sicurezza. “Il presidente senegalese ha cambiato posizione, dimostrando di non essere più disposto a obbedire agli ordini”. Telefonando da una regione del Senegal, quella di Kolda, caratterizzata dai cambiamenti climatici, disoccupazione e mancanza di prospettive, soprattutto per i giovani – e che, conseguentemente, registra un tasso di emigrazione tra i più alti del paese – “il decano” non nasconde la sua soddisfazione: “Ora che sono a fine carriera voglio dedicarmi esclusivamente a sensibilizzare l’opinione pubblica e a cercare di cambiare le cose”.
Questa inchiesta è stata realizzata in collaborazione con Abdoulaye Mballo e Davy Koutiangba nell’ambito del progetto Nouvelles perspectives.
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