All’opposizione venezuelana restano solo le proteste-lampo
Una decina di attivisti esce furtivamente da alcune auto, si avvia con decisione verso il ministero dell’alimentazione, nonostante le guardie che lo proteggono, e deposita due sacchi d’immondizia di fronte all’ingresso principale.
I soldati formano rapidamente un cordone e un giovane deputato dell’opposizione comincia a battere i pugni sui loro scudi antisommossa, mentre i sostenitori del governo appaiono dal nulla e cominciano a malmenare i manifestanti.
Gli attivisti, che usano l’immondizia per mostrare come la gente debba rovistare tra i rifiuti alla ricerca di cibo a causa della crisi economica venezuelana, intonano gli slogan “la gente ha fame !” e “democrazia!”. Dopo alcuni minuti vengono respinti verso le loro auto da una folla crescente di sostenitori del presidente socialista Nicolás Maduro.
Mettere in imbarazzo il governo
Il tafferuglio di metà mattinata in un quartiere operaio di Caracas è l’ultimo, quest’anno, di una serie di proteste a sorpresa a cadenza quasi settimanale organizzate dall’opposizione venezuelana, che vuole in questo modo mettere in imbarazzo Maduro, rinvigorire le proteste di strada e sottolineare i problemi del Venezuela. “Tre milioni di venezuelani devono rovistare tra i rifiuti per mangiare”, spiega il deputato Carlos Paparoni, 28 anni, curandosi alcuni lividi che si è procurato durante la protesta al ministero dell’alimentazione. “Nessuno può farci tacere. Combatteremo dovunque sarà necessario”.
Anche se le piccole e improvvisate manifestazioni paralizzano le strade, attirano l’attenzione e garantiscono foto pittoresche ai giornalisti avvisati in anticipo, per Maduro sono poco più che una piccola scocciatura.
In realtà quest’anno sono aumentate perché sono fallite le tradizionali marce di massa nel 2016, che hanno toccato il loro apice durante la manifestazione da un milione di persone a Caracas. Una manifestazione che non ha impedito alle autorità di annullare un referendum sul governo Maduro e che avrebbe cambiato l’equilibrio di potere nel paese sudamericano, membro dell’Opec e con una popolazione di trenta milioni di abitanti.
Dovremo usare il fattore sorpresa per far capire al governo che deve rispettare la costituzione
Il risultato è stato un dialogo di breve durata, promosso dal Vaticano, e che è servito a rafforzare l’impopolare presidente e dividere la coalizione dell’opposizione, Unità democratica, demoralizzando gli attivisti di base.
Il mandato di Maduro termina all’inizio del 2019 e così le autorità stanno ritardando le elezioni locali, costringendo i partiti d’opposizione a complicate trafile burocratiche se vogliono continuare a essere legalmente registrati. “Dovremo rinunciare alle manifestazioni tradizionali e usare il fattore sorpresa per far capire al governo che deve rispettare la costituzione”, racconta il leader dell’opposizione Henrique Capriles, il cui partito Primero justicia (Prima la giustizia) è uno dei principali promotori delle proteste-lampo.
All’indomani del 23 gennaio, dopo che per l’ennesima volta le marce tradizionali erano state ostacolate dalle forze di sicurezza, Capriles ha organizzato la prima protesta a sorpresa bloccando per breve tempo alcuni veicoli in autostrada. I manifestanti esponevano striscioni con cui chiedevano “elezioni ora!”. Da allora gli attivisti, coordinandosi di nascosto e alternandosi gli incarichi, sono apparsi con regolarità per bloccare il traffico, intonare slogan e chiedere incontri con le autorità. Un giorno hanno organizzato tre proteste contemporaneamente.
I partecipanti, tuttavia, sono pochi, e raramente superano la ventina. Le forze di sicurezza solitamente le disperdono velocemente e i sostenitori di Maduro gironzolano intorno agli edifici governativi proprio per mostrare il loro zelo politico in queste occasioni. “Questi golpisti fascisti cercano la violenza. Dovrebbero andare in prigione”, esclama Jorge Montoya, 48 anni, che indossa una maglietta con la scritta “Chávez vive!” fuori del ministero dell’alimentazione dove ha contribuito ad allontanare i manifestanti.
Silenzio stampa, disobbedienza civile e scoraggiamento
Le autorità non hanno risposto alle richieste di un’intervista sulle proteste-lampo. Maduro e altri alti funzionari governativi denunciano regolarmente gli attivisti dell’opposizione come golpisti che mirano ad abbattere il socialismo in Venezuela. Tra i principali sostenitori dell’attivismo di strada c’è anche un altro partito d’opposizione, Voluntad popular (Volontà popolare), che da lungo tempo pratica metodi di disobbedienza civile.
A febbraio i suoi sostenitori hanno dipinto un mosaico del loro leader Leopoldo López, oggi in carcere, su un’autostrada, appendendo di notte sui lampioni alcuni manifesti neri con la scritta “no alla dittatura!” e distribuendo fiori al personale di sicurezza il giorno di san Valentino.
“Queste azioni devono essere creative, avere un grande impatto comunicativo, intaccare il senso d’invincibilità del governo, trasmettere un messaggio… E far diminuire la paura”, spiega Emilio Graterón, capo degli attivisti di Volontà popolare. Gli oltre 150mila attivisti s’ispirano a modelli di protesta non violenta di successo provenienti dall’estero, come quelli del leader sindacale Lech Walesa negli anni ottanta contro il comunismo in Polonia o l’opposizione alla dittatura militare di Augusto Pinochet in Cile. Paragoni così arditi sembrano tuttavia eccessivi oggi in Venezuela, dove non solo i funzionari governativi ma anche alcuni cinici sostenitori dell’opposizione liquidano le proteste-lampo come espedienti inutili.
“Nessuno si accorge di queste proteste a sorpresa”, spiega Julio Pereira, 25 anni, studente e sostenitore di lunga data delle marce d’opposizione. “Il governo gli ride dietro”. Anche se la coalizione dell’opposizione ha dimostrato di possedere la maggioranza, vincendo le elezioni legislative alla fine del 2015, e nonostante le condizioni disastrose dell’economia venezuelana, quest’anno la prospettiva di un cambiamento politico si è attenuata. “Non molto tempo fa, ero pronto a marciare verso (il palazzo presidenziale) di Miraflores”, racconta Pereira, che attualmente si prepara a raggiungere alcuni amici che hanno trovato lavoro in Argentina. “Oggi invece sto per dirigermi in aeroporto e andarmene dal paese. Il governo è un disastro, l’opposizione è un disastro, il mio paese è un disastro. Me ne vado”.
(Traduzione di Federico Ferrone)
Questo articolo è stato pubblicato dall’agenzia di stampa Reuters.