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Telefono a scuola sì, telefono a scuola no

Durante le lezioni gli studenti del liceo Timber Creek devono lasciare i cellulari in custodie apposite. Orlando, Florida, il 6 ottobre 2023. (Zack Wittman, The New York Times/Contrasto)

“All’inizio degli anni dieci del duemila qualcosa improvvisamente è andato storto per gli adolescenti. Ormai conoscerete le statistiche: secondo molti studi dal 2010 al 2019 negli Stati Uniti il tasso di depressione e ansia, abbastanza stabile negli anni precedenti, è aumentato del 50 per cento. Tra gli adolescenti dai dieci ai diciannove anni il tasso di suicidi è cresciuto del 48 per cento. Per le ragazze tra i dieci e i quattordici anni, l’aumento è stato del 131 per cento. Il problema non riguarda solo gli Stati Uniti: nello stesso periodo un andamento simile è emerso in Canada, Regno Unito, Australia, Nuova Zelanda, nei paesi nordici e altrove. In base a vari parametri e in diversi paesi, la generazione Z (i nati a partire dal 1996) soffre di ansia, depressione, autolesionismo e disturbi correlati più di qualsiasi altra generazione per la quale abbiamo dati a disposizione”, scrive lo psicologo sociale Jonathan Haidt nell’articolo che abbiamo pubblicato questa settimana in copertina.

Un’infanzia al telefono
L’uso costante degli smartphone altera molti processi di sviluppo dei bambini e degli adolescenti, e sta causando problemi di salute ai giovani, sostiene lo psicologo sociale Jonathan Haidt. Un articolo che ha fatto discutere

Per Haidt il malessere mentale è solo uno dei tanti segnali che qualcosa “è andato storto”. Da circa dodici anni gli adolescenti statunitensi hanno anche meno amici, e vanno peggio a scuola. “Molte di queste tendenze sono cominciate con le generazioni precedenti”, spiega “ma la maggior parte ha subìto un’accelerazione con la generazione Z”. E secondo lui a fare da catalizzatore sono stati gli smartphone. “Una volta che i giovani hanno cominciato a portarsi internet in tasca, disponibile giorno e notte, le loro esperienze quotidiane e i percorsi di sviluppo sono stati alterati a tutti i livelli”. I telefoni, insomma, li stanno facendo ammalare e bloccano la loro crescita verso l’età adulta. Per Haidt bisogna intervenire in modo drastico, e subito, con delle regole chiare e condivise: niente smartphone prima delle superiori e niente social prima dei sedici anni.

Ha ragione? Da un lato, dare a questi dispositivi la colpa di tutti i problemi che vivono oggi gli adolescenti forse è esagerato. Dall’altro, è innegabile che la dipendenza dagli smartphone ha un impatto negativo sulle nostre vite. Quindi in alcuni momenti sarebbe meglio metterli via, e uno dei contesti in cui ha più senso farlo, per ovvie ragioni, è la scuola.

Partiamo da qualche dato. In una ricerca del 2022 dell’istituto Pew, citata da Haidt, un terzo degli adolescenti diceva di essere sui social network praticamente sempre e quasi la metà passava gran parte del tempo su internet. In un’altra indagine del Pew, pubblicata a marzo, tre quarti dei ragazzi e delle ragazze ammettono di sentirsi felici o sereni quando non hanno con sé il telefono, però questo non li porta a usarlo di meno. Molti di loro dicono che lo smartphone li aiuta a essere creativi e dedicarsi a un hobby, e anche ad andare bene a scuola. La maggioranza, insomma, è convinta che i vantaggi di averlo superino i danni.

Questa seconda analisi del Pew è interessante perché fornisce anche degli indizi su un elemento che è impossibile ignorare: i genitori. Quasi due terzi di loro controllano il cellulare dei figli adolescenti. E circa la metà mette dei paletti sugli orari in cui adoperarlo, cosa che spesso fa scoppiare litigi furiosi. Più o meno la stessa percentuale, però, riconosce di passare troppo tempo al telefono, cioè di non essere un grande esempio, e di adoperarlo molto per comunicare con il resto della famiglia.

Mamme e papà, infatti, si sono rivelati grandi fan degli sms, mandandoli ai figli durante tutta la giornata. Joe Clement, insegnante della Virginia, tiene traccia dei messaggi che i suoi studenti ricevono mentre sono in classe con lui: “Che voto hai preso al test?”, “Hai fatto firmare il modulo per la gita?”, “Per cena vuoi pollo o hamburger?”. Clement fa un appello ai genitori: smettetela. Se avete bisogno d’informare i vostri figli su un cambio di programma o un’emergenza, dice, potete contattare l’ufficio scolastico. Se il messaggio non è urgente, può aspettare. Se i vostri figli continuano a cercarvi, ignorateli.

Imparare a stare lontani da casa

Liz Shulman, un’altra insegnante, ha raccontato su Slate: “Di recente una mia studente di prima superiore mi ha detto che i suoi genitori l’hanno premiata per essere tra gli alunni migliori permettendole di mandargli dei messaggi durante le lezioni. ‘A loro piace sapere cosa sto facendo in classe’, ha aggiunto. Allora le ho ricordato che abbiamo un regolamento sui cellulari. Lei mi ha risposto che lo sapeva, ma che si poteva non rispettarlo per scrivere ai genitori”.

“Molti adulti sono così legati ai loro figli”, continua Shulman, “che sembrano essere in classe con noi. Ci contattano per i compiti, in modo che non debbano farlo i ragazzi. Un mio studente mi ha detto che non vedeva il senso di confrontarsi con me su un lavoro che trovava difficile, perché tanto sua madre mi avrebbe inviato un’email. Ai genitori non entra in testa che la scuola non è un evento in diretta streaming. Ed è per gli studenti, non per loro. La scuola dovrebbe essere un luogo in cui gli adolescenti imparano a stare lontani da casa mentre crescono e capiscono chi stanno diventando, imparano a farsi domande, a riflettere sui problemi, a sbagliare e a riprovare. Questa separazione tra casa e scuola li aiuta a pensare con la propria testa. Ci sono famiglie che ne sono consapevoli e non vogliono che i figli usino i telefoni in classe. Alcune hanno addirittura formato un movimento che promuove il divieto dei cellulari nelle scuole”.

Secondo un recente rapporto dell’Unesco, quasi un paese su quattro ha approvato leggi o misure che impediscono o limitano l’uso dei telefoni a scuola, in genere prevedendo deroghe per gli studenti con disabilità o per consentire attività con l’insegnante.

Negli Stati Uniti il 43 per cento delle scuole superiori pubbliche vieta a ragazze e ragazzi di usare lo smartphone per scopi che non c’entrano con l’apprendimento. Ma le restrizioni variano in modo significativo da un istituto all’altro. E non sono neanche una novità, ricorda il New York Times: presidi e funzionari le inseriscono e tolgono da oltre trent’anni.

Nel 1989, per contrastare lo spaccio di stupefacenti tra i giovani, il Maryland introdusse una norma che proibiva agli studenti di portare a scuola cercapersone e cellulari, da poco in commercio; i trasgressori rischiavano multe e perfino il carcere. Negli anni novanta, con un numero crescente di persone che si distraevano in classe per colpa dei telefoni, i limiti si moltiplicarono. Poi, all’inizio degli anni duemila, dopo la strage alla scuola di Columbine e gli attacchi terroristici dell’11 settembre, le scuole hanno cominciato a revocarli, per cambiare di nuovo idea con l’arrivo degli iPhone e i primi social network: nel 2010 più del 90 per cento degli istituti non permetteva a ragazze e ragazzi di stare al telefono durante le lezioni. Da allora le scuole alternano aperture a linee più intransigenti.

Più di una ha scelto di eliminare completamente i cellulari, invece di moderare il loro utilizzo. Altre hanno deciso di combattere questa tecnologia con altra tecnologia. In Massachusetts, per esempio, un istituto privato ha bandito gli smartphone ma ha dato a tutti – allievi e personale – un Light Phone, un telefono con funzionalità ridotte. Questi dispositivi possono effettuare chiamate e inviare messaggi (molto lentamente). Non sono in grado di caricare le app che riempiono normalmente gli smartphone ma sono dotati di versioni volutamente basiche di app per ascoltare la musica o usare mappe. Hanno le dimensioni di un mazzo di carte, e schermi in bianco e nero.

Altre scuole hanno speso milioni di dollari per acquistare sacchetti sigillati magneticamente che interrompono il funzionamento dei telefoni. L’azienda che li produce si chiama Yondr. Era stata fondata nel 2014 per rispondere a esigenze di privacy in situazioni come i concerti o spettacoli comici, ma con il tempo ha cominciato a ricevere richieste dai distretti scolastici di tutto il mondo. Oggi serve più di un milione di ragazze e ragazzi in 21 paesi. Le sue custodie sono in neoprene (la gomma usata anche per le mute da sub), si chiudono con una cerniera e si sbloccano con un magnete affidato agli insegnanti. Il set costa dai 25 ai 30 dollari per studente.

I divieti dividono esperti e opinione pubblica. Chi li appoggia sostiene che tengono gli studenti lontani dai social media e da altre distrazioni, e aiutano a ridurre fenomeni di bullismo e l’ansia. Chi li critica sottolinea invece che potrebbero penalizzare in modo sproporzionato i ragazzi che lavorano o hanno responsabilità familiari, e incentivare il ricorso a provvedimenti disciplinari severi come la sospensione. Senza contare che esistono poche ricerche rigorose sugli effetti a lungo termine di un approccio ai telefoni così poco conciliante.

Uno studio del 2022 sulle scuole spagnole ha riscontrato una riduzione significativa del cyberbullismo in due regioni che avevano proibito i cellulari a scuola. E in una di queste regioni, anche i punteggi dei test di matematica e scienze erano aumentati in modo significativo. Un’altra ricerca, norvegese, mostra che le limitazioni aiutano le ragazze a fare meglio a scuola, ma non sembrano avere nessun effetto sulla media dei voti dei ragazzi.

Per approfondire
  • Un’intervista a Jonathan Haidt trasmessa da Npr, il network delle radio pubbliche statunitensi (potete ascoltarla o leggere la trascrizione).
    
 - Nel suo articolo Haidt a un certo punto cita una ricerca condotta da Leo­nardo Bursztyn, economista dell’univer­sità di Chicago, sulla trappola che rappresentano i social media per gli studenti. Di questo studio parla anche Tim Harford in una column che abbiamo pubblicato a marzo su Internazionale.
  • Nel 2017 l’Atlantic aveva proposto un altro lungo pezzo sul ruolo delle nuove tecnologie nelle difficoltà emotive vissute dagli adolescenti, scritto dalla psicologa (e collaboratrice di Haidt) Jean M. Twenge. L’articolo era un estratto del libro Iperconnessi. Perché i ragazzi oggi crescono meno ribelli, più tolleranti, meno felici e del tutto impreparati a diventare adulti, pubblicato in Italia da Einaudi.
  • Non tutti condividono la crociata di Haidt, di Twenge e di altri ricercatori contro i telefoni. Vari commentatori insistono che la realtà è più complessa e sfaccettata, e che sulla salute mentale di ragazze e ragazzi incidono più fattori, per esempio le condizioni economiche, la perdita di spazi di aggregazione, le pressione scolastica, anni e anni di austerità, l’epidemia da oppioidi, oltre a modi diversi d’intendere il disagio psicologico e di trattarlo. Vi segnalo in particolare le osservazioni di David Wallace-Wells sul New YorkTimes e di Sophie McBain sul New Statesman.
  • Tornando invece al rapporto tra scuola e telefoni, se vi siete persi nelle varie questioni Tim Daly, esperto d’istruzione e autore di un’apprezzata newsletter, mette un po’ di ordine, precisando che le regole dovrebbero valere anche per gli adulti, non solo per gli studenti.

Questo testo è tratto dalla newsletter Doposcuola.

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