Un ragazzo biondo e sorridente in maglia gialla dall’alto di un cartellone pubblicitario ci avverte che dal primo giugno l’Ikea rimane aperta fino alle 22. Il ragazzo con il dito alzato dice: “Hai un’ora in più. Dopo la cena hai un’ora in più per fare acquisti”. Un’isola gialla e blu sulla via Tuscolana nella torrida estate romana: aria condizionata e cucina nordica a basso costo. Ecco forse le polpettine con la marmellata di frutti rossi e il purè di patate non sono proprio piatti estivi, ma vuoi mettere una cena al fresco circondati da librerie Billy e da famiglie sorridenti? Tutto alla modica cifra di 6,99 euro a persona.
Quando ha aperto il primo negozio Ikea a Roma nel 2000, i romani hanno scoperto lo stile informale, spartano e politicamente corretto degli svedesi. Era possibile per tutti ristrutturare casa con pochi soldi e con un po’ di fai da te, ci si poteva permettere armadi scorrevoli, librerie componibili, camerette colorate. Il tutto avvolto in un’idea di sostenibilità e di rispetto per l’ambiente e per i lavoratori.
Ma l’11 luglio, in uno dei sabati più caldi e afosi dell’anno, nel negozio dell’Ikea di Anagnina e in altre decine in tutta Italia gli avventori hanno scoperto che i lavoratori dell’Ikea non sono poi così contenti di come vengono trattati dal loro datore di lavoro. Sono proprio gli straordinari, le domeniche e i festivi il motivo del contendere tra azienda e lavoratori.
“Ikea è stata presa a modello nelle aule universitarie come caso di impresa partecipativa, che coniuga il benessere dei lavoratori con il buon business”, spiega Gioia, che lavora per l’Ikea dal 2000. “Ma in questi ultimi tempi il comportamento dei dirigenti ci ha lasciato senza parole”.
Per la prima volta da quando l’Ikea ha aperto il primo negozio in Italia nel 1989, i sindacati di categoria hanno indetto l’11 luglio uno sciopero su base nazionale, dopo che l’azienda svedese ha deciso di revocare il contratto integrativo aziendale che prevedeva una serie di benefici per i suoi dipendenti rispetto al contratto nazionale del commercio e dopo il fallimento delle trattative tra sindacati e azienda avvenuto il 3 luglio.
“Una pessima Ikea”, era lo slogan della protesta. Secondo i sindacati ha aderito allo sciopero l’80 per cento dei lavoratori, che hanno organizzato presidi e picchetti davanti ai negozi. Tuttavia i negozi sono rimasti aperti e l’azienda ha negato che ci sia stata una vasta partecipazione allo sciopero.
“L’azienda vuole revocare il premio fisso aziendale per i suoi dipendenti, un bonus di 59,5 euro al mese, circa 700 euro all’anno, che rappresentano una risorsa per questi lavoratori che per la maggior parte hanno contratti part time. Lavorano venti o trenta ore alla settimana e ricevono uno stipendio base di 500 o 600 euro al mese”, spiega Stefano Chiaraluce, sindacalista della Filcalms Cgil. “Se non si torna al tavolo delle trattative, dal 1 settembre i lavoratori dell’Ikea vedreanno decurtato il loro stipendio attuale del venti per cento”, continua.
In Italia i dipendenti dell’Ikea sono 6.200, a Roma circa 900 persone. L’80 per cento di loro ha un contratto part time di venti o trenta ore. “Fa comodo all’azienda fare contratti di questo tipo, gli garantisce flessibilità. E a chi ha chiesto di fare più ore è stato negato di passare al tempo pieno”, spiega Chiaraluce.
La maggior parte del fatturato viene realizzato durante i fine settimana, per questo l’Ikea chiede ai lavoratori maggiore disponibilità a lavorare il sabato e la domenica. “Niente di male, ma il problema è che ora l’azienda vuole pagare di meno i festivi e le domeniche”, spiega Chiaraluce.
Secondo i sindacati, i festivi che ora vengono pagati il 130 per cento in più dei giorni feriali, verranno retribuiti come semplici domeniche, cioè il 70 per cento in più (nel caso dei negozi di Roma). Inoltre si perderanno le maggiorazioni previste per chi lavora di domenica che variano in base al negozio e alla città. “Nel mio caso potrei passare da una maggiorazione domenicale del 70 per cento a una del 30 per cento”, spiega Gioia, una dipendente del negozio di Roma. “La tendenza è quella a equiparare i festivi e le domeniche ai giorni normali”, dice.
L’azienda ha annunciato nel maggio del 2015 che non avrebbe rinnovato il contratto integrativo che era scaduto ad agosto del 2014, suscitando le proteste e le preoccupazioni dei lavoratori. “Secondo l’azienda il motivo dei tagli è la crisi, ma anche la necessità di risparmiare sul costo del lavoro per investire sull’apertura di nuovi punti vendita”, dice Gioia. “Ma perché l’espansione deve essere fatta rinunciando ai diritti dei lavoratori?”, chiede.
A preoccupare sindacati e lavoratori, inoltre, c’è l’adesione da parte dell’Ikea a una federazione di imprese della grande distribuzione chiamata Federdistribuzione, che non ha adottato il nuovo contratto nazionale del commercio, rinnovato nel marzo del 2015.
Allo sciopero l’azienda ha replicato in maniera molto dura e in un comunicato ha scritto: “L’intransigenza del sindacato non contribuisce a una prospettiva positiva del confronto avviato. La decisione di sospendere il dialogo e indire uno sciopero nazionale va nella direzione opposta rispetto a quella della trattativa e del confronto, cui Ikea crede da sempre, come da sempre ha manifestato la volontà di arrivare ad un accordo sul contratto integrativo”.
Il 12 luglio i dipendenti dell’Ikea torneranno a indossare le divise gialle, ma se non si trova un accordo sul contratto entro fine luglio promettono nuove proteste. Le trattative riprenderanno il 22 luglio.
“L’azienda dice di ispirarsi a criteri di equità per questi nuovi tagli, valore che fatichiamo davvero a scorgere, se perseguito con tagli lineari a danno soprattutto dei lavoratori più fragili”, afferma Giuliana Mesina segretaria nazionale della Filcams Cgil.
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