Il decreto Minniti-Orlando sull’immigrazione è legge
Il 12 aprile la camera ha approvato il decreto Minniti-Orlando sull’immigrazione con 240 voti a favore, 176 voti contrari e 12 astenuti. Il governo di Paolo Gentiloni ha blindato il decreto ponendo la mozione di fiducia, che è stata approvata con larga maggioranza l’11 aprile. Il decreto, presentato dall’esecutivo lo scorso febbraio, era già stato approvato dal senato, sempre con un voto di fiducia, il 29 marzo. Il termine per trasformare il decreto in legge sarebbe scaduto la prossima settimana, ma con la fiducia le opposizioni non sono potute intervenire sul testo della legge né proporre emendamenti e questo ha accelerato l’approvazione della misura.
Cosa prevede la legge
Il decreto porta il nome del ministro dell’interno Marco Minniti e del ministro della giustizia Andrea Orlando e contiene “Disposizioni urgenti per l’accelerazione dei procedimenti in materia di protezione internazionale, nonché misure per il contrasto dell’immigrazione illegale”. Secondo le dichiarazioni degli stessi ministri, il decreto nasce dall’esigenza del governo di accelerare le procedure per l’esame dei ricorsi sulle domande d’asilo, che nell’ultimo anno sono aumentati e hanno intasato i tribunali. Dall’altra parte il governo vuole aumentare il tasso delle espulsioni di migranti irregolari.
I punti principali del decreto sono quattro: l’abolizione del secondo grado di giudizio per i richiedenti asilo che hanno fatto ricorso contro un diniego, l’abolizione dell’udienza, l’estensione della rete dei centri di detenzione per i migranti irregolari e l’introduzione del lavoro volontario per i migranti. Nel primo grado di giudizio l’attuale “rito sommario di cognizione” sarà sostituito con un rito camerale senza udienza, nel quale il giudice prenderà visione della videoregistrazione del colloquio del richiedente asilo davanti alla commissione territoriale. Senza contraddittorio e senza che il giudice possa rivolgere domande al richiedente asilo che ha presentato il ricorso.
Il piano prevede inoltre un allargamento della rete dei centri per il rimpatrio, gli attuali Cie si chiameranno Cpr (Centri permanenti per il rimpatrio). Si passerà da quattro a venti centri, uno in ogni regione, per un totale di 1.600 posti. Di fronte alle preoccupazioni espresse da numerose organizzazioni impegnate per la difesa dei diritti umani, il ministro dell’interno Minniti ha assicurato che i nuovi centri saranno piccoli, con una capienza di cento persone al massimo, sorgeranno lontano dalle città e vicino agli aeroporti e soprattutto saranno “tutt’altra cosa rispetto ai Cie”.
Le critiche delle associazioni
L’11 aprile mentre l’aula di Montecitorio dava la fiducia al governo, numerose associazioni e partiti hanno formato un presidio davanti al parlamento per contestare la nuova legge. Arci, Acli, Fondazione Migrantes, Baobab, Asgi, Medici senza frontiere, Cgil, A buon diritto, Radicali italiani, Sinistra italiana tra i promotori del sit-in contro la nuova legge. “Noi abbiamo già un’esperienza dei Cie e abbiamo visto che ogni volta che ne è stata estesa la capienza si sono moltiplicate le violazioni dei diritti umani”, afferma Patrizio Gonnella presidente dell’Associazione Antigone, tra gli organizzatori della protesta. “Possibile che non riusciamo a immaginare nessun altro metodo per le persone che sono in attesa di un’espulsione?”, chiede Gonnella. “Se il problema è aumentare i rimpatri, non potremmo pensare di estendere i programmi di rimpatrio volontario? Se invece questi centri servono a recludere i presunti terroristi in attesa di espulsione allora stiamo sbagliando perché per i presunti terroristi ci sono le carceri”.
Dello stesso parere Valentina Brinis dell’associazione A buon diritto che definisce il decreto Minniti “un balzo indietro di dieci anni”. Le associazioni per la tutela dei diritti umani denunciano da anni l’inefficacia e la disumanità dei centri di detenzione per i migranti irregolari che sono “i peggiori centri che abbiamo in Italia”, afferma Brinis. “Questi posti li visitiamo settimanalmente e vediamo quali sono le condizioni delle persone lì dentro: non possono portare nemmeno un libro, una penna, prendono psicofarmaci perché non riescono a dormire”.
“Si ripropongono vecchie soluzioni securitarie, che già sappiamo non funzioneranno invece di mettere mano a una pessima legge sull’immigrazione: la legge Bossi-Fini”, afferma Riccardo Magi dei Radicali italiani, che insieme ad altre associazioni e gruppi impegnati nell’assistenza di migranti come il Centro Astalli, l’Arci, l’Asgi il 12 aprile ha lanciato una raccolta firme per una legge di iniziativa popolare che porti a una riforma del Testo unico sull’immigrazione. “Per rispondere alla richiesta di sicurezza che viene dai cittadini bisogna creare dei canali legali per l’immigrazione nel nostro paese, la possibilità di ottenere un visto per lavoro, o la regolarizzazione delle persone che già lavorano in Italia”, conclude Magi. Per Grazia Naletto di Lunaria “il problema è l’idea alla base del decreto: la correlazione tra immigrazione e sicurezza”. È un approccio che presta il fianco a “una strumentalizzazione razzista e xenofoba dell’immigrazione”, dice Naletto.
A criticare il decreto anche un gruppo di operatori sociali che si è riunito a Roma l’8 aprile per fondare la Rete degli operatori sociali contro i decreti Minniti-Orlando. Secondo gli operatori la nuova legge costringe chi lavora nelle strutture di assistenza a comportarsi come un pubblico ufficiale, minando il rapporto di fiducia con le persone assistite. “Dove si identifica l’operatore sociale con la figura del pubblico ufficiale che deve sovraintendere alla richiesta d’asilo si fa un passo molto grave e rischioso”, spiega Naletto che conferma la volontà degli operatori di fare rete e organizzare delle azioni di protesta coordinate contro le nuove disposizioni.
Le accuse di incostituzionalità
Molti giuristi hanno sostenuto che il decreto Minniti-Orando non è in linea con la costituzione italiana e con la Convenzione europea sui diritti dell’uomo. In particolare violerebbe l’articolo 111 della costituzione (il diritto a un giusto processo), l’articolo 24 (il diritto di difesa), e l’articolo 6 della Convenzione europea sui diritti umani (diritto al contraddittorio). I punti più contestati sono l’abolizione del secondo grado di giudizio per i richiedenti asilo e la cancellazione dell’udienza. L’Associazione studi giuridici sull’immigrazione ha criticato, inoltre, il ricorso stesso allo strumento del decreto legge: “Una misura che si applica solo in condizioni di urgenza” e che però in questo caso verrà applicata “sui processi in vigore tra 180 giorni”.
Gianfranco Schiavone, vicepresidente dell’Asgi e presidente del Consorzio italiano di solidarietà-Ufficio rifugiati onlus, di Trieste, spiega che la proposta più grave è quella di annullare l’udienza, cioè la possibilità del giudice di primo grado di ascoltare di persona il richiedente asilo. “Questa proposta è in contrasto con quello che è previsto dal nostro ordinamento per quando riguarda il ruolo del giudice nell’accertare la violazione di un diritto soggettivo”. Secondo Schiavone, la proposta collide anche con la direttiva europea sulle procedure (art. 46, 32/2013). “Assicurare un ricorso effettivo ex nunc comporta che il giudice debba ascoltare il richiedente asilo, fargli delle domande e andarsi ad ascoltare le fonti: cioè esaminare tutti gli elementi di fatto e di diritto, non solo una videoregistrazione”, spiega Schiavone.
Anche l’Associazione nazionale magistrati (Anm) ha espresso “un fermo e allarmato dissenso” rispetto alla nuova legge perché produce “l’effetto di una tendenziale esclusione del contatto diretto tra il ricorrente e il giudice nell’intero arco del giudizio di impugnazione delle decisioni adottate dalle Commissioni territoriali in materia di riconoscimento della protezione internazionale”. Preoccupazione condivisa anche dal presidente della cassazione Giovanni Canzio che ha detto: “Pretendere la semplificazione e razionalizzazione delle procedure non può significare soppressione delle garanzie. In alcuni casi non c’è neppure il contraddittorio come si può pensare allora al ruolo di terzietà del giudice?”.
Su questi punti è intervenuto lo stesso ministro della giustizia Andrea Orlando dicendo: “Voglio rassicurare sul fatto che il giudice di primo grado sarà tenuto a fissare l’udienza quando valuterà la necessità di sentire personalmente il richiedente asilo, quando riterrà indispensabile che le parti diano chiarimenti. Il richiedente asilo potrà inoltre chiedere al giudice di essere sentito, e spetterà a quest’ultimo valutare se l’ascolto diretto sarà o meno necessario”. Tuttavia questo aspetto, secondo gli analisti, accentua la discrezionalità con cui si potrà godere di un diritto.