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Il sorriso di Agitu Idea Gudeta

Agitu Idea Gudeta nella valle dei Mocheni , vicino a Trento, l’11 luglio 2018. (Alessandro Bianchi, Reuters/Contrasto)

Agitu Idea Gudeta era soprattutto il suo sorriso: un’espressione aperta, piena di fiducia che offriva come un sacchetto d’oro a chi la incontrava. Era una donna piena di vita, indipendente, colta, impavida. Per questo non riesco a pensare che sia morta. E la notizia che sia stata uccisa con un martello nella sua casa in Trentino provoca un dolore indicibile.

L’avevo incontrata per la prima volta nel 2016 a Trento e poi, da allora, molte altre volte in occasioni pubbliche in cui era invitata a parlare del suo impegno per i diritti umani e contro il land grabbing in Etiopia, ma anche della possibilità che si era inventata di fare l’allevatrice di capre nelle valli trentine e di mettere in piedi un’azienda casearia in cui riusciva a conciliare la sostenibilità ambientale e la qualità della produzione, recuperando le specie di capre autoctone che faceva pascolare nei terreni demaniali abbandonati. Ne aveva parlato anche nel 2017 al festival di Internazionale a Ferrara con i ragazzi di Occhio ai media.

Come aveva raccontato lei stessa era arrivata in Italia nel 2010 “con duecento euro in tasca”, dopo essere scappata dal suo paese, l’Etiopia, dove era perseguitata per il suo attivismo contro le speculazioni e gli espropri forzati dei latifondisti che costringono i piccoli agricoltori e gli allevatori ad abbandonare i loro terreni. Era venuta prima per studiare sociologia a 18 anni, aveva imparato molto bene l’italiano e per questo nel 2010 aveva chiesto l’asilo in Trentino, quando aveva capito che in Etiopia rischiava di essere uccisa. Invece è stata assassinata a Frassilongo, nel maso e nell’azienda che aveva fondato e che l’aveva fatta conoscere in tutto il paese per la qualità dei suoi formaggi. Avrebbe compiuto 43 anni il 1 gennaio.

Secondo gli inquirenti, il responsabile dell’omicidio è un pastore originario del Ghana, 32 anni, che lavorava per lei da un paio di mesi, con cui aveva avuto dei dissidi legati a uno stipendio non pagato. L’uomo, che avrebbe anche provato a stuprarla dopo averla aggredita, ha confessato ed è stato arrestato. Negli ultimi anni Gudeta aveva ricevuto diversi attacchi razzisti, aggressioni fisiche, minacce di morte per la sua attività. Aveva paura e lo aveva denunciato anche a Internazionale e in diversi post su Facebook, fino a rivolgersi alle autorità. L’autore delle minacce era un vicino di casa che poi è stato condannato a gennaio del 2020 a nove mesi. L’uomo è stato interrogato dopo l’omicidio, ma è stato subito escluso il suo coinvolgimento.

La notizia del suo assassinio aveva fatto pensare a molti in un primo momento, anche a me, che le gravi minacce di morte che aveva ricevuto in passato fossero state sottovalutate, finché è stato escluso qualsiasi collegamento. E tuttavia, in un paese in cui i femminicidi sono aumentati del 5 per cento nel 2020 a fronte di una diminuzione di tutti gli altri reati, dà angoscia pensare alla sequenza di violenze psicologiche e fisiche che una donna di 43 anni ha dovuto subire nel corso della sua vita per il fatto di essere una donna, per il fatto di essere un’attivista e un’ambientalista, per il fatto di essere nera e immigrata, per il fatto di essere economicamente indipendente al punto da dare lavoro ad altri come imprenditrice, per essere riuscita a inventarsi un lavoro in un ambito tipicamente maschile come la pastorizia, dando forma ai suoi studi e ai suoi desideri. Per quel sorriso che sfidava l’ordine delle cose e anche per futili motivi.

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