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Come sopravvivere all’inconveniente di essere nati

Sarajevo, Bosnia-Erzegovina, 1994. (Derek Hudson, Getty Images)

Che succede quando si rompe il legame che ci dovrebbe proteggere durante l’infanzia, cioè quello con i genitori? Quando improvvisamente, e senza sceglierlo, si viene trasferiti in un luogo lontano e sconosciuto per essere messi al sicuro? E quante ambivalenze e ambiguità possono nascondersi dietro alle azioni caritatevoli? Nel romanzo Mi limitavo ad amare te (Feltrinelli 2023) Rosella Postorino si fa ispirare da una storia vera – il trasferimento in Italia, nel luglio 1992, di migliaia di profughi minorenni dagli orfanotrofi di una Sarajevo sotto assedio – per capire come si può sopravvivere alla perdita del legame con i genitori a causa di una decisione imposta. Apparentemente, per il bene e la sicurezza dei ragazzi.

“Nel 2019 ho letto un articolo sul sito Osservatorio Balcani e Caucaso che parlava di alcuni bambini scappati da Sarajevo, trasferiti in Italia con dei pullman, e ho sentito che c’era qualcosa che mi riguardava in quella storia”, racconta Postorino. La maggioranza di quei bambini portati in Italia durante la guerra nei Balcani veniva da un orfanotrofio, ma i loro genitori erano ancora vivi e non hanno saputo più niente di loro per anni, perché nella fuga non ci fu il tempo di avvertirli.

“È l’aspetto che mi ha colpito di più: i genitori li avevano messi nell’istituto perché non riuscivano a prendersi cura di loro come avviene spesso in paesi poveri, ma durante la guerra le relazioni con le famiglie d’origine si sono interrotte bruscamente. I bambini sono stati separati dai genitori senza il loro consenso per essere portati al sicuro. E non solo: come tutti i profughi hanno dovuto abbandonare il loro paese e la loro lingua, ma hanno anche sacrificato il rapporto con i genitori”.

Postorino per un anno e mezzo ha cercato quei bambini, che oggi sono persone adulte, per capire come hanno fatto a sopravvivere a quel trauma. “Quello che accade ai miei personaggi è che instaurano dei legami orizzontali, una fratellanza, delle amicizie che portano dentro tutti i sentimenti e durano per tutta la vita”, sottolinea la scrittrice, vincitrice del Premio Campiello nel 2018 con Le assaggiatrici e finalista al Premio Strega con Mi limitavo ad amare te nell’edizione di quest’anno.

L’infanzia inquieta

L’idea che abbiamo dell’infanzia è colma di retorica, chiarisce Postorino. Per questo vale la pena cercare una rappresentazione più veritiera di quella fase della vita attraverso lo studio dell‘“infanzia danneggiata”, secondo la definizione della stessa Postorino che è autrice di diversi libri per bambini. Il filosofo romeno Emil Cioran parlava dell‘“inconveniente di essere nati”.

“Tutti veniamo al mondo senza sceglierlo, nessuno chiede di nascere”, spiega. “Però i bambini non sono strutturati, sono ancora più sguarniti di fronte alla sofferenza inevitabilmente connaturata alla vita. Le paure dell’infanzia sono senza nome, perché in quella fase non si ha ancora il vocabolario per chiamare le cose: è un momento di adesione completa al mondo interiore”.

Per Postorino “l’infanzia è un momento inquieto e pieno di segreti, non è l’Eden che vorremmo credere che sia. In questo senso m’interessa la condizione di bambini che si trovano in situazioni che sono conseguenza di decisioni che non sono state fatte da loro: questa condizione esistenziale in fondo mi sembra che ci faccia capire qualcosa di comune a tutti gli esseri umani”. La scrittrice ha letto e studiato molta letteratura balcanica per scrivere la storia di Omar, Nada e Danilo, i tre bambini bosniaci protagonisti del suo romanzo.

La storia determina la vita delle persone, mentre le persone continuano a fare cose normali, come amare qualcuno

“Importantissime sono state le poesie di Izet Sarajlić”, un poeta bosniaco che ha vissuto a Sarajevo, anche durante l’assedio. Il titolo del libro è tratto dalla sua poesia Cerco la strada per il mio nome che dice: “Cosa facevo io mentre durava la Storia? Mi limitavo ad amare te”.

“Questi versi per me sono commoventi, perché raccontano come gli esseri umani si relazionano alla storia: la maggior parte delle persone non fa gesti eroici, la storia determina la vita delle persone, mentre le persone continuano a fare cose normali, come amare qualcuno. Chi oggi vive in Ucraina non può sottrarsi a quella guerra. Ma continua a vivere, a innamorarsi, ad attaccarsi alla vita”. Oltre a Sarajlić, è stata fondamentale la lettura della scrittrice croata Slavenka Drakulić o dello scrittore serbo Danilo Kiš. Per ricostruire l’atmosfera della Sarajevo sotto assedio un libro importante è stato Le Marlboro di Sarajevo di Miljenko Jergović. Ma i suoi modelli, confessa la scrittrice, sono stati anche autori come David Grossman ed Elsa Morante.

La guerra rimossa

Come nella Guerra in casa di Luca Rastello, pubblicato dal giornalista e scrittore piemontese nel 1998, Rosella Postorino trasferisce nel suo romanzo anche molti interrogativi sulle ambivalenze della cosiddetta “accoglienza” dei profughi bosniaci in Italia. “A volte uno sguardo innocente è disposto a uccidere per preservarsi tale”, ha scritto Rastello nel suo libro sul conflitto jugoslavo.

Per Postorino c’è un’inconsapevole ambiguità nei sentimenti di chi accoglieva quei ragazzini: “Sono partita dalle interviste, dai racconti dei testimoni. Mi sono chiesta quanto doveva essere strano per quei ragazzini musulmani dovere partecipare al catechismo, per esempio. O essere affidati a famiglie di ferventi cattolici. Molti di quelli che li hanno accolti, infatti, lo hanno fatto per rispondere a un’imperativo morale e religioso, ma poi non hanno avuto molta sensibilità per le differenze culturali. Certo, spesso questi meccanismi sono inconsci, inconsapevoli. Ma credo che a questo serva la letteratura: a capire, a indagare la natura sempre ambigua delle relazioni umane, anche quelle animate da sentimenti positivi”.

La guerra come evento che mostra in maniera estrema il male possibile, sempre possibile, è anche la situazione in cui emergono più chiaramente dei meccanismi che sono costitutivi degli esseri umani e delle loro capacità di sopravvivenza. “La guerra nei Balcani è durata dieci anni, eppure è stata completamente rimossa dal sentire comune europeo, forse perché è legata al senso di colpa di non avere fatto abbastanza, forse perché in fondo quei territori non sono stati considerati davvero europei”, afferma Postorino. Un fatto ancora più grave per una generazione che è cresciuta con il mito dell’Europa, dopo la caduta del muro di Berlino.

Ma la rimozione ha delle conseguenze: “Per questo la guerra in Ucraina ci ha colto così impreparati: perché avevamo già dimenticato quella nei Balcani. Non riteniamo possibile che la guerra possa accadere. Invece la guerra c’è, è in corso in decine di paesi del mondo. E ancora oggi migliaia di bambini arrivano da soli in Italia per cercare salvezza, lasciandosi alla spalle famiglie e paesi distrutti. Ma la reazione più comune è quella di non volerli vedere”.

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