×

Fornisci il consenso ai cookie

Internazionale usa i cookie per mostrare alcuni contenuti esterni e proporti pubblicità in linea con le tue preferenze. Se vuoi saperne di più o negare il consenso, consulta questa pagina.

La radice dell’odio per i migranti nel nuovo film di Ken Loach

The old oak. (Lucky Red)

“È un film sulle connessioni, non vi sembra?”, chiede subito Ken Loach, 87 anni, al pubblico del cinema Troisi di Roma, venuto a vedere l’anteprima del suo ultimo film, The old oak, in sala dal 16 novembre. Mentre scorrono i titoli di coda, il regista si ferma a stringere mani e a salutare le persone. “Sono davvero curioso di sapere che ne pensate di questo film”, dice appena prende il microfono in mano.

Due volte Palma d’oro a Cannes, Leone d’oro alla carriera, Loach è uno dei più importanti registi europei e un attivista. Per tutta la vita con i suoi film ha cercato di raccontare e indagare la condizione dei lavoratori e delle classi subalterne, ma questa è la prima opera in cui si occupa dell’ostilità e del razzismo diffuso verso gli immigrati proprio in questi gruppi sociali.

“Questo film avrei dovuto farlo prima”, ammette. “A me e ai miei collaboratori interessava capire perché le persone buone possano diventare ostili nei confronti di chi è ancora più vulnerabile di loro”, spiega. The old oak è il nome di un pub in un piccolo paese di minatori in Inghilterra. La maggior parte della popolazione lavorava nelle miniere di carbone e in passato c’era un sindacato molto unito. L’arrivo di un gruppo di siriani in fuga dalla guerra scatena proteste, aggressioni e razzismo.

“Un pub è un luogo d’incontro, ma è lì che si vedono meglio i conflitti”, racconta. In effetti il film ricorda nell’impostazione il breve reportage di Emmanuel Carrère A Calais (Adelphi 2016). Come il romanziere francese, Loach ha scelto di raccontare il modo in cui una cittadina della provincia reagisce all’arrivo degli stranieri, a partire da quello che succede in un pub.


“Ci siamo ispirati a fatti realmente accaduti: per esempio la scena dell’aggressione all’autobus di siriani è successa davvero. Alcuni degli attori sono attivisti, impegnati nell’accoglienza dei profughi”, racconta il regista britannico, che ha scritto la sceneggiatura insieme al suo collaboratore storico, Paul Laverty. Le riprese sono durate sei mesi, ma il lavoro per il film circa due anni. Molti dei fatti narrati risalgono al 2016, uno degli anni più critici per l’arrivo di migliaia di profughi in Europa.

In Inghilterra i minatori erano i lavoratori che avevano “la coscienza politica più profonda”. Ma nel corso del tempo “sono stati distrutti dalla premier Margaret Thatcher. Così le comunità di minatori più unite si sono gradualmente disgregate”.

Secondo Loach è un’enorme contraddizione che le comunità politicamente più unite e internazionaliste nel suo paese siano diventate nel corso degli anni quelle più ostili agli stranieri, e la radice dell’odio sta proprio in quella disgregazione e nell’isolamento: “Avevano questo grande senso di solidarietà e sostegno reciproco, ma gli effetti di questa disgregazione li ha lasciati arrabbiati e vulnerabili rispetto alla propaganda dell’estrema destra. Volevamo raccontare questa storia, insieme all’arrivo dei rifugiati siriani. A quel punto c’erano due comunità: una lasciata senza nulla e l’altra altrettanto abbandonata, ma con il trauma di una guerra alle spalle, in un paese di cui non conoscevano neanche la lingua. La domanda era: riusciranno a trovare un modo per andare avanti? Vincerà l’amarezza, la rabbia, la propaganda dell’estrema destra o l’antica solidarietà dei lavoratori?”.

Nel film Loach decide di lasciare la porta aperta alla speranza: due donne – una britannica e una siriana – chiedono al proprietario del pub, TJ Ballantyne (Dave Turner), di aprire il retrobottega, in disuso da molto tempo, e di organizzare una mensa per i poveri in cui possano sedere fianco a fianco sia i profughi siriani sia gli ex minatori inglesi, esattamente come succedeva in passato durante i lunghi scioperi dei lavoratori, di cui rimane traccia proprio nelle foto in bianco e nero appese alle pareti. Essere compagni significa proprio questo, condividere il pane. Da questa iniziativa comincia la possibilità di una conoscenza tra i due gruppi apparentemente così lontani, e una nuova storia.

“Iniziative come quelle che raccontiamo nel film sono diffuse in tutta Europa: non è solo un’idea romantica che ci possano essere attività di solidarietà dal basso con i profughi. Non c’era nessuna preparazione da parte del governo e da parte delle autorità locali quando nel 2016 i profughi sono arrivati nel Regno Unito, sono stati i cittadini a occuparsene. Non tutti, alcuni. Ma questa non è un’illusione, una speranza, è quello che già succede, è quello che già siamo”, spiega Loach. In quest’opera il regista recupera una fiducia nel prossimo e nel futuro che sembrava avere smarrito nel film sui lavoratori della gig economy Sorry we missed you.

“Io credo che un altro mondo è ancora possibile, assolutamente. C’è un vecchio slogan statunitense che dice: ‘Agita, educa, organizza’. Il problema che abbiamo a sinistra non è che non abbiamo persone attive e solidali, ma che consentiamo al potere di dividerci. L’urgenza è quella di essere uniti. Abbiamo un problema di leadership, certo. Ma l’unità e la solidarietà sono le prime pietre che ci servono, insieme al riconoscere che chi fugge da una guerra e dalla fame è uguale a chi combatte contro lo sfruttamento del lavoro”.

Scandisce le parole con lucidità e passione Loach, che ha annunciato il ritiro dal cinema, sostenendo che The old oak è il suo ultimo film. Ma nessuno crede davvero che possa ritirarsi quando arringa il suo pubblico dicendo: “Abbiamo gli stessi nemici di classe e dobbiamo combatterli su ogni fronte. I sindacati devono essere in prima linea sull’accoglienza, ci dobbiamo organizzare insieme. L’ironia è che noi cantiamo L’internazionale, ma i veri internazionalisti sono le multinazionali, e le loro canzoni parlano di patriottismo. Quand’è che ci sveglieremo?”.

Un governo razzista dopo la Brexit

Secondo Ken Loach l’attuale governo conservatore britannico, guidato da Rishi Sunak, è “razzista”: è stato promotore di diverse iniziative molto discutibili come l’accordo per deportare i richiedenti asilo in Ruanda, le misure per fermare le barche che attraversano il canale della Manica e il confinamento dei richiedenti asilo sulla nave Bibby Stockholm. Ma per il regista il problema è che la sinistra istituzionale non sembra esprimere punti di vista alternativi sul tema.

Il 14 novembre la ministra dell’interno Suella Braverman è stata sostituita in un rimpasto di governo e il 15 novembre la corte suprema britannica ha definito “illegale” l’accordo con Kigali che prevedeva la deportazione dei richiedenti asilo arrivati nel Regno Unito in maniera irregolare.

“Braverman era una razzista, ma il nuovo ministro dell’interno, James Cleverly, ha lo stesso orientamento. La prima cosa che ha detto dopo il suo insediamento è stata: ‘Fermeremo le barche che attraversano il canale della Manica’. Loro sanno che i veri problemi del paese sono il sistema sanitario fatto a pezzi e il numero crescente di senzatetto. Ma in maniera cinica provano a distrarre l’opinione pubblica”, afferma il regista.

Iscriviti a
Schermi
Cosa vedere al cinema e in "tv". Una newsletter a cura di Piero Zardo. Ogni giovedì.
Iscriviti
Iscriviti a
Schermi
Cosa vedere al cinema e in "tv". Una newsletter a cura di Piero Zardo. Ogni giovedì.
Iscriviti

Una delle questioni, secondo lui, è l’inadeguatezza dei laburisti, che sono in vantaggio nei sondaggi per le elezioni politiche del 2024: “Sono contrari alle deportazioni dei migranti in Ruanda, ma continuano a dirsi contrari anche all’immigrazione ‘clandestina’, quando tutti sappiamo che non c’è alcun modo legale di arrivare nel Regno Unito. Quindi anche loro recitano in una specie di commedia dell’arte”.

Loach pensa che i governi europei abbiano grosse responsabilità, di cui non si vogliono occupare: “Il mio paese ha condotto una guerra illegale in Iraq e in Afghanistan, ha costretto molte persone a lasciare i loro paesi, è stato responsabile di una parte dei flussi migratori arrivati in Europa. E ora non vorrebbe occuparsi delle conseguenze. E anche i leader della sinistra non dicono niente. Abbiamo molti movimenti sociali in Europa, ma abbiamo un problema di leadership”.

Infine, secondo il regista britannico, la Brexit, cioè l’uscita del suo paese dall’Unione europea decisa in un referendum nel 2016, era “un’idea” della classe borghese britannica e ha rinforzato un approccio razzista nei confronti degli stranieri: “I promotori avevano l’idea romantica della Gran Bretagna come un’isola e pensavano che i britannici dovessero combattere contro gli invasori e restaurare l’impero, quell’impero in cui ‘il sole non tramonta mai’. Volevano che il Regno Unito continuasse a rubare la terra degli altri, a sfruttarne le risorse naturali, a pagare poco la manodopera in giro per il mondo, proprio come in passato. Questo è puro veleno. Ma attenzione perché anche in questo caso c’è un problema che riguarda la sinistra: perché sicuramente l’Unione europea ha delle qualità, ma è soprattutto un’unione economica, che andrebbe riformata. Ma questa riforma non è in programma”.

Per esempio l’Italia e la Grecia in questi anni hanno accolto molti più migranti rispetto ad altri paesi europei e la mancanza di solidarietà “è stata vergognosa”. “Questo ha mostrato che la presunta unità dell’Unione europea era di facciata, quando si è trattato di aiutare davvero gli altri è venuta meno”, conclude.

Se sei qui…
…è perché pensi che informarsi su quello che succede nel mondo sia importante. In questo caso potresti prendere in considerazione l’idea di abbonarti a Internazionale. Non costa molto: fino al 13 ottobre solo 1,50 euro alla settimana, oppure 2,18 euro alla settimana se vuoi ricevere anche il giornale di carta. E in più ogni mattina all’alba ti mandiamo una newsletter con le notizie più importanti del giorno.
pubblicità