Cosa prevede il nuovo ddl sicurezza e perché colpirà chi ha già meno diritti
In passato i cosiddetti decreti sicurezza hanno riguardato le politiche migratorie e in generale hanno preso di mira gli stranieri. Quelli del 2018 e del 2019 – che sono diventati le leggi bandiera del governo gialloverde, e in particolare dell’allora ministro dell’interno Matteo Salvini, oggi vicepremier – erano volti a smantellare il sistema di accoglienza dei richiedenti asilo e a penalizzare l’operato delle organizzazioni non governative, in particolare quelle che facevano soccorsi in mare. Invece l’ultimo disegno di legge (ddl) voluto dal governo di Giorgia Meloni e approvato il 18 settembre dalla camera dei deputati va a toccare in maniera generalizzata il diritto di protestare a diversi livelli. Ma se guardiamo alla norma con maggiore attenzione ci accorgeremo che sono sempre gli stranieri a pagare il prezzo più alto e a essere ulteriormente criminalizzati.
La misura (ddl 1660, ora all’esame del senato) introduce una trentina di modifiche al codice penale formulando venti nuovi reati, estendendo sanzioni e aggravanti, e in alcuni casi ampliando le pene previste per reati già esistenti: prevede che i blocchi stradali diventino reati con pene fino a due anni di reclusione, criminalizza le proteste pacifiche, con l’aggravante per chi si oppone alla costruzione di grandi opere pubbliche, e prevede pene fino a vent’anni per chi protesta nei Centri di permanenza per il rimpatrio (Cpr) e nelle carceri.
Il giurista Patrizio Gonnella, presidente dell’associazione Antigone, ha definito il disegno di legge sicurezza “il più grande e pericoloso attacco alla libertà di protesta nella storia repubblicana”. E anche se in molti punti probabilmente la norma sarà bocciata dalla corte costituzionale (come d’altro canto è avvenuto in passato per gli altri decreti sicurezza), perché è in evidente contrasto con gli articoli 3, 13 e 27 della costituzione, è abbastanza chiaro che nel frattempo determinate fasce sociali saranno criminalizzate e notevolmente marginalizzate: per esempio gli immigrati irregolari, i mendicanti, i senzatetto, i rom, quelli che vivono in occupazioni abitative (che spesso sono stranieri), i detenuti (anche in questo caso spesso stranieri), gli attivisti e le organizzazioni che manifestano dissenso, anche in maniera pacifica.
La misura introduce pene carcerarie fino a vent’anni per chi partecipa a proteste all’interno dei Cpr, i centri di detenzione amministrativa in cui sono trattenuti gli stranieri se non hanno il permesso di soggiorno in regola.
Questi luoghi, previsti dal Testo unico sull’immigrazione che quindi sarà modificato, sono stati spesso al centro di proteste per le condizioni di vita degradanti al loro interno. Negli ultimi mesi alcune di queste strutture sono state poste sotto indagine dalla magistratura per abusi, cattiva gestione e condizioni inumane.
Nella norma appena approvata è scritto: “Chi, mediante atti di violenza o minaccia o mediante atti di resistenza anche passiva all’esecuzione degli ordini impartiti, posti in essere da tre o più persone riunite, promuove, organizza o dirige una rivolta è punito con la reclusione da uno a sei anni. Per il solo fatto di partecipare alla rivolta, la pena è della reclusione da uno a quattro anni. Se il fatto è commesso con l’uso di armi, la pena è della reclusione da due a otto anni. Se nella rivolta taluno rimane ucciso o riporta lesioni personali gravi o gravissime, la pena è della reclusione da dieci a venti anni. Le pene di cui al quarto periodo si applicano anche se la lesione personale o la morte avvengono immediatamente dopo la rivolta e in conseguenza di essa”.
Il reato di rivolta
La nuova legge, inoltre, introduce il nuovo reato di “rivolta all’interno di un istituto penitenziario” e di fatto prevede la stessa criminalizzazione per chi protesta nei centri di detenzione amministrativa.
“Chiunque, all’interno di un istituto penitenziario, partecipa a una rivolta mediante atti di violenza o minaccia o di resistenza all’esecuzione degli ordini impartiti, commessi da tre o più persone riunite, è punito con la reclusione da uno a cinque anni”, è scritto nel disegno di legge. Tra gli “atti di resistenza” rientrano anche i comportamenti di resistenza passiva che ostacolano il mantenimento dell’ordine nel carcere o l’attuazione di atti d’ufficio. Come nel caso del Cpr, la pena può arrivare fino a vent’anni, se la protesta diventa violenta e qualcuno rimane ferito o ucciso.
Uno dei punti più dibattuti del disegno di legge riguarda l’introduzione del reato di “occupazione arbitraria di immobile destinato a domicilio altrui”, che punisce con il carcere, dai due ai sette anni, chi occupa una casa, destinata a domicilio di qualcun altro, con la violenza o la minaccia. Rischia la stessa pena chi si appropria della casa di qualcuno raggirandolo oppure chi cede un immobile occupato. Al netto del fatto che il codice penale punisce già l’occupazione di immobili: da un lato, infatti, esiste il reato di invasione di terreni o edifici (articolo 633 del codice penale), dall’altro c’è il reato di turbativa violenta del possesso di cose immobili” (articolo 634 del codice penale).
Sia nelle carceri sia nelle occupazioni abitative, gli stranieri sono una popolazione molto numerosa e sovrarappresentata per ragioni che hanno a che fare con il mal funzionamento del sistema italiano (qui un articolo sui motivi di una presenza degli stranieri in carcere superiore alla media europea, qui invece un articolo sulla presenza delle comunità straniere nelle occupazioni). Quindi le nuove misure colpiranno soprattutto persone che hanno in partenza meno garanzie e meno diritti.
Il ddl prevede inoltre che il blocco stradale diventi reato con condanne fino a due anni di carcere, fino a quindici anni per resistenza attiva a pubblico ufficiale, fino a quattro anni per resistenza passiva, il carcere anche per le donne incinte o per quelle con figli di età inferiore a un anno. Infine si cerca di vietare ai migranti irregolari l’uso del cellulare, vincolando l’acquisto della sim telefonica al possesso del permesso di soggiorno.
La norma ha suscitato molte proteste e critiche da parte di partiti, sindacati e organizzazioni che si occupano di difendere i diritti umani. Il portavoce italiano di Amnesty international Riccardo Noury ha dichiarato: “Questo testo intacca pesantemente il diritto di protesta”. Aggiungendo: “Nella prefazione al nostro rapporto 2023-2024 sulla situazione dei diritti umani nel mondo, abbiamo evidenziato come il centro di ricerca di scienze politiche V-Dem abbia rilevato che il numero di persone che vivono in contesti democratici è regredito ai livelli del 1985, vale a dire ai livelli precedenti alla caduta del Muro di Berlino”. Tra i peggioramenti avvenuti nell’ultimo anno, Noury annovera l’ultimo provvedimento sicurezza del governo Meloni che definisce “un modello di ‘cattivismo’ che intacca profondamente, tra gli altri, il diritto di protesta pacifica inasprendo criminalizzazioni o introducendone di nuove”.
Questo articolo è tratto dalla newsletter Frontiere.
Iscriviti a Frontiere |
La newsletter sulle migrazioni. A cura di Annalisa Camilli. Ogni lunedì.
|
Iscriviti |
Iscriviti a Frontiere
|
La newsletter sulle migrazioni. A cura di Annalisa Camilli. Ogni lunedì.
|
Iscriviti |